Il sabato del villaggio / La polvere del tempo
L’undici settembre 2001 New York fu sommersa dalla polvere e la storia ritornò a scorrere anche tra i pensieri di chi l’aveva data per finita. La polvere come un manto che copre il nostro tempo e lo trasfigura in sogno è al centro dell’ultimo film di Theo Angelopoulos, La polvere del tempo. Una scena in particolare sembra meglio descrivere il mutamento tuttora in corso che negli ultimi dieci anni ha restituito il bisogno di interferire col proprio tempo attraverso il recupero della memoria: un hotel viene messo sottosopra ; probabilmente “è stata un’azione terroristica”, valigie aperte sono state scaraventate per le scale e in una sala il pavimento è invaso da televisori rotti, i pezzi di vetro degli schermi sparpagliati. Il protagonista si siede vicino ad uno di questi televisori scaraventati da chissà dove e ritorna a pensare alla sua storia.
L’illusione che vi sia dignità nello spettatore si è esaurita, la memoria confonde la vita da troppo tempo ridotta a palinsesto. Jampinshark ci spiega cosa significa raccontare ai tempi del 2.0.
Qualcosa di simile lo avevamo già visto nella famosa scena della biblioteca in Centochiodi di Ermanno Olmi, ma se in quel caso a venire colpita era la memoria scritta dei volumi letteralmente inchiodati al pavimento, qui Angelopoulos, fa della memoria la polvere magica con cui ri-raccontare la sua storia, ogni volta uguale, ogni volta diversa. Senza la pretesa di purificazione e chiarezza quale in un certo senso è la battuta: «Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico» che nel film di Ermanno Olmi schiaccia tutto sul presente, Angelopoulos recupera la storia e lascia che si sporchi con i ricordi, che si impolveri con le ideologie e i pregiudizi. “La polvere del tempo cade su ogni cosa”, declama Bruno Ganz nella metropolitana di Berlino, mentre abbracciati Michel Piccoli e Irène Jacob ballano una musica nomade.
Ed è senza seguire un itinerario preciso, come la trama del film di Angelopoulos, che Francesco Cataluccio ci guida alla Biennale di Venezia. Nazionalità e storia in bilico tra incoerenza e stridore per sconfiggere l’entropia. Sommersa e oscurata alla Biennale da egocentrismi e meschini tornaconti, L’Italia ritorna visibile nelle pagine di Bartolomeo Pietromarchi che ci presenta il ritratto dell’Italia nella percezione degli artisti contemporanei. Al libro di Pietromarchi dedica un’analisi Stefano Chiodi.
Legate a doppio filo sono le immagini della neve e dei visi nelle fotografie sulla Groenlandia di Piergiorgio Casotti presentate da Daniele Martino e quelle scattate e raccontate da Roberta Sironi nella luce fredda di Cinisello Balsamo. Due luoghi agli antipodi che sembrano ritrovarsi nel medesimo bianco infinito.
E se il tempo è trasfigurato dalla polvere può capitare anche che il sogno prenda la forma più razionale di un lapsus, come ci racconta Giorgio Boatti a proposito di un brigatista decapitato tuttora in salute.
“Ci sono libri sui quali il trascorrere degli anni deposita una patina opaca che ne altera la fisionomia autentica e ne spegne le originarie coloriture”. Claudio Bartocci rispolvera e riscopre il capolavoro di Edwin Abbott, Flatlandia.
La polvere del tempo si conclude con una corsa leggera di Michel Piccoli sulla neve, alle spalle la porta di Brandeburgo, i piedi sulla neve lasciano impronte, l’attore sorride, il senso è tutto in quel bianco che trascolora, sotto di esso il selciato con la sua storia rigida e precisa. L’uomo corre inconsapevole inseguendo le proprie passioni e le proprie futilità e quel bianco impalpabile non conta meno della durezza della pietra sottostante. Il film, molto criticato, lascia confusi, ma vive un immaginario terzo tempo in un inconsapevole dialogo con il progetto Isole recluse che prende spunto da un lavoro del 1988, L’invisibile informa il visibile. Ce lo racconta l’autore, Luca Vitone: “Un pensiero dedicato alle nostre origini, al territorio che abitiamo, alla geografia come disciplina che pone le basi della nostra storia esistenziale sia in senso collettivo sia individuale.”