Uno sguardo psicoanalitico / Lessico da pandemia
La lingua registra ogni cambiamento sociale. Nel corso di eventi di portata storica come esplorazioni, scoperte scientifiche, crisi, guerre, epidemie, quando nella collettività circolano forti emozioni e nuove idee, si verifica il massimo di innovazioni linguistiche. Si importano vocaboli da altre lingue, si introducono neologismi, termini specialistici entrano nell’uso comune, vengono evocate metafore belliche e bibliche. Durante questo anno caratterizzato dalla pandemia sono avvenuti tutti questi mutamenti, descritti e analizzati da linguisti, sociologi, psicologi.
In questo ambito è nata l’espressione “…ai tempi del coronavirus” (o del Covid-19, o della pandemia, termini che qui vengono considerati equivalenti e non saranno più nominati). Tale locuzione, in combinazione con soggetti diversi, è entrata in uso per ridefinire ogni specie di attività, individuali e collettive, declinate nelle inedite forme consentite nel periodo della pandemia: “il trekking ai tempi del coronavirus” (giri di corsa intorno all’isolato), “l’amicizia ai tempi del coronavirus” (comunicazioni online e invio di foto e video in chat), “l’aperitivo ai tempi ecc.” (brindisi virtuali tra amici riuniti su piattaforma online), “il 25 aprile ai tempi del coronavirus” (cantare Bella Ciao dai balconi), “il dating ai tempi ecc.” (cauti corteggiamenti a distanza su siti internet), “il sesso ai tempi ecc.” (indicazioni per un sesso sicuro senza baci), “la psicoterapia ai tempi del coronavirus” (riflessioni sulle sedute per telefono e su internet), e via dicendo.
L’espressione, rimbalzata e condivisa su carta stampata e nel web, ha avuto fin dall’inizio della pandemia la diffusione tipica della comunicazione di massa: veloce, trasversale e virale; è diventata così rapidamente un nuovo modo di dire convenzionale, che sarà comprensibile anche a epidemia finita. Si aprono alcune riflessioni sulla fortuna di un’espressione apparentemente di scarso significato.
La funzione più evidente dell’espressione “…ai tempi del coronavirus” è di tipo cognitivo, poiché si applica al tentativo di descrivere, analizzare, comprendere i cambiamenti apportati dalla pandemia ai comportamenti e agli stili di vita. Nella crisi generale, i processi cognitivi sono mirati a potenziare la capacità di resilienza (altra espressione che ha avuto fortuna nei mesi scorsi) e la comunicazione collettiva consente di ampliarli oltre la sfera individuale. Ma poiché “…ai tempi di…” è una locuzione piuttosto antiquata e stereotipata, la stessa funzione si sarebbe potuta compiere con formulazioni altrettanto concise, ma più variegate e ricche di contenuto. Invece la comunicazione collettiva ha scelto di esprimersi in maniera ripetitiva e ridondante tramite questa locuzione, dove con “scelta” si intende l’adesione spontanea e intuitiva di ciascuno a un modello che sta affermandosi.
L’elemento più significativo del successo di un’espressione linguistica è probabilmente ciò che eccede il livello descrittivo e informativo, dando luogo al formarsi di un’immagine. Questo passaggio avviene tramite la costruzione “… ai tempi di…”, nella quale il verbo, esplicito o implicito, dovrebbe essere al passato, come in espressioni del tipo “ai tempi di Noè”, “ai tempi che Berta filava”, “al tempo dei tempi” e simili. Il risultato psicologicamente significativo per chi legge è quello di collocare l’epidemia in un’epoca trascorsa e ormai conclusa. Sembra che si stia raccontando “tutto questo accadeva… ai tempi del coronavirus”. Si può così ridefinirlo come un’epidemia narrata, che “c’era una volta”: viene comunicata l’immagine di una pandemia alla quale sembra che stiamo guardando da un futuro in cui le saremo sopravvissuti.
Nel contesto della crisi il valore degli enunciati non consiste solo nella funzione descrittiva o esplicativa, ma anche e soprattutto in quella di una comunic-azione capace di influenzare la realtà, intesa come realtà psichica. Poiché il negativo minaccia l’esistenza umana e al contempo si diffonde un incontrollabile flusso di informazioni spesso contrastanti che, anziché rassicurare, accresce l’angoscia e fa dubitare anche degli strumenti della scienza e della tecnica, la psiche rischia di perdersi in un caos insorgente. Di fronte a questa minaccia, l’essere umano può cercare di salvarsi tramite le diverse forme protettive di cui dispone; la narrazione è uno dei processi fondamentali che intervengono per restituire significato all’esperienza di eventi che, altrimenti, rischierebbero di apparire una serie insensata, e per ridare organizzazione al mondo interno delle persone. Narrare ha un valore terapeutico, generalmente riconosciuto ai contesti di cura propriamente detti, ma che esiste anzitutto nelle relazioni spontanee e naturali: come afferma Hillman (1983), la mente si fonda nella sua stessa capacità narrativa
Analogie narrative
Nei mesi scorsi molto è stato scritto, in particolare, con il titolo L’amore ai tempi del coronavirus (o del Covid-19, o della pandemia): innumerevoli articoli, e poi saggi, racconti, un romanzo, una miniserie televisiva, un film (tra tanti autori hanno scritto Bianco, Gramellini, Improta, Manzini, Oneglia, Saviano). Non è casuale – e spesso è esplicito – il riferimento al romanzo di García Márquez L’amore ai tempi del colera (1985). L’analogia concerne il titolo, ma anche il senso del romanzo.
In questo l’amore è raccontato in tutte le sue sfumature e complicazioni, e si rivela non solo un personaggio, ma un protagonista. Al contempo il colera, endemico nell’ambiente del racconto, anche quando silente come batterio è germe vivo e attivo nelle vicende dei personaggi. Entra nella loro vita amorosa, combina gli incontri. È un protagonista del racconto, come l’amore, e gli somiglia per la folle esaltazione e per la sofferenza che induce.
Oggi, nel mezzo di un’epidemia di portata inedita per la nostra epoca, il riferimento alla narrazione di García Márquez istituisce nella comunicazione collettiva un parallelismo tra la vicenda romanzesca e quella attuale. L’analogia sembra dire che se due forze opposte come “amore e colera”, portatrici l’una di vita, l’altra di morte, hanno potuto convivere, analogamente “amore e coronavirus” potranno rimanere accostati e coesistere.
Quando il linguaggio e il pensiero procedono mostrando analogie e similitudini tra eventi e oggetti diversi, è al lavoro l’intuizione, che stabilisce rapporti del tipo “questo e quello”, anziché “questo o quello” come fa il pensiero logico, che ricerca rapporti di identità o di reciproca esclusione.
Nell’analogia il sistema psichico scopre una somiglianza generica tra situazioni differenti, per raggiungere una conoscenza probabile di eventi che veramente trascendono l‘esperienza, e avvicinarsi alla funzione simbolica. La finalità di tali percorsi di fronte a elementi oscuri secondo Jung è fondamentalmente adattativa (oggi si preferisce dire resiliente). In frangenti di crisi la coscienza e l’inconscio trovano aiuto nei rapporti di similarità e corrispondenza qualitative, con un’estensione dei rapporti oltre i livelli cognitivi. Il pensiero per analogie infatti è atto a produrre immagini cariche di affetti, e per questo particolarmente significative, che aiutano a trasformare il processo psichico naturale (ad esempio l’emozione della paura) in uno di tipo culturale.
Riti
La narrazione dei “tempi del coronavirus” contiene anche un escamotage linguistico, che consente, nel raccontare, di allontanare il fenomeno temuto in un tempo indefinito. Si fa così un uso blandamente apotropaico del linguaggio contro ciò che fa spavento, e se ne sminuisce l’importanza o la consistenza. Al contrario, il nominare il male – la pandemia – enfatizzandone la reale presenza potrebbe equivalere a “materializzarlo”, come emerge in alcune recenti ricerche condotte tra studenti universitari (Di Napoli et al. 2021).
Con la scaramanzia e gli scongiuri si entra nella dimensione del magismo. Gli antichi riti apotropaici, la superstizione, la scaramanzia non sono affatto scomparsi nell’epoca della scienza e della tecnica. I rituali di tipo magico mirano a orientare la realtà secondo i propri desideri e in particolare ad allontanare gli eventi negativi, sia di origine naturale sia causati da altri esseri umani. La protezione magica è una delle possibilità cui la psiche fa ricorso, con la funzione di relativizzare la negatività, contenerla, depotenziarla. I mezzi magici a carattere difensivo vertono su varie pratiche, tra le quali quelle verbali, come formule apotropaiche e uso di eufemismi (Jung 1918, 1934).
Un’analoga funzione protettiva può essere svolta dalla religione e infatti alcuni studi recenti rivelano una ripresa della pratica religiosa proprio nel periodo della pandemia. La precarietà dell’esistenza ritrova così una stabilità in un ordine superiore e metastorico.
Alcuni riti elementari possono essere creati spontaneamente e inconsapevolmente esprimendo fantasie degli individui, ma un’ampia diffusione di essi potrà avvenire solo grazie a un valore comunicativo assunto a livello collettivo. Come illustra Jung (1928/1931), la funzione creativa della psiche si svolge nel dialogo tra coscienza e inconscio, ma anche tra psiche personale e collettiva, manifestandosi in nuove immagini adeguate alla cultura del tempo. Il valore delle immagini nasce da un contenuto affettivo immediatamente comprensibile: il riconoscimento sociale è dunque il fattore che aggiunge valore a un gesto individuale che, nato all’interno di una data cultura, può interpretare i sentimenti collettivi. Acceleratori di tali fenomeni sono proprio le situazioni di crisi, nelle quali le persone sono esposte a eventi traumatici e incontrollabili. Sono questi i periodi in cui le emozioni e i sentimenti delle persone cercano nuovi percorsi in cui incanalarsi, per trovare adattamenti e sopravvivere alle potenze che li minacciano. La narrazione che aiuta a sentirsi parte di un’umanità che condivide lo stesso destino “ai tempi del coronavirus” può servire a immaginarsi capaci di difendersi dal nemico invisibile, e di sopravvivergli.
Per approfondire
Di Napoli I. et al. (2021), Italian Community Psychology in the Covid-19 Pandemic: collettive dimensions in storytelling of university students, www.frontiersin.org 18 March 2021
Hillman J. (1983), Le storie che curano. Freud, Jung, Adler, Raffaello Cortina, Milano 1984.
Jung C.G. (1918), Sull’inconscio, Opere, Boringhieri, Torino, Vol 10, I.
Jung C.G. (1928/1931), Psicologia analitica e concezione del mondo, Opere, Boringhieri, Torino, Vol. 8.
Jung C.G. (1934), Considerazioni generali sulla teoria dei complessi, Opere, Boringhieri, Torino, Vol. 8.
García Márquez G. (1985), L’amore ai tempi del colera, Mondadori, Milano, 1986.