Napoli / Paesi e città

11 Luglio 2011

“Il Signore resuscita a Napoli, credete a me, in quale altro paese potrebbe accorgersi di essere di nuovo al mondo, dove potrebbe ritrovarsi più umano, più giovane e più povero, fra gente che sappia egualmente, per antica esperienza, che cosa significhi abbracciare una croce o esserne finalmente schiodati?”.

 

In quest’anno che ha Pasqua cadente in aprile, a rileggere queste poche parole riviene il sapore di quello che abbiamo deposto, portando in cantina Giuseppe Marotta. I tempi son tali che a sentire quel nome e cognome qualcuno intenderebbe che si parli del direttore sportivo della Juventus. No, qui no: qui parliamo dello scrittore che morì negli anni ‘60. Derubricato a bozzettista e invece titolare d’una penna che come poche aveva una felicità: quella di scrivere.

Mandiamo perciò questa cartolina da Napoli, usando parole che sono una dedica a chi l’ha scritte, tratte da San Gennaro non dice mai di no che la Avagliano editore ha meritoriamente riportato nelle librerie in questi giorni.

È anche una dedica al popolo di Napoli. In giorni di vento, ma soprattutto di mare.

 

“La gente di Capodimonte, dell’Arenella, della Sanità può anche lasciar passare anni senza accostarsi al mare; sanno che c’è, lo odorano nel vento che si inerpica arruffando scalinate e rampe, che fa impennare la biancheria tesa ad asciugare tra muro e muro, e qui annoda una manica di camicia e là divarica un paio di calzoni. Quelli della città alta ne vedono laggiù una striscia remota e densa, carnale, è come se guardassero dentro una scollatura; le donne di ogni rione contengono a tal punto il mare che se ve le toglie lo scirocco soltanto il libeccio potrà restituirvele”.

 

Questa città di soffi e di spume è una Napoli da resurrezione dopo il calvario della seconda guerra mondiale. Marotta, “profano settentrionalizzato”, autoesiliatosi dal suo Golfo alle brume meneghine, non cancella dal cuore ciò che ha lasciato. E scrive: “Spesso a Milano succede che il mare di Napoli mi stia davanti sul tavolo mentre rifletto e scrivo, o che addirittura io me lo accosti al volto come in una tazzina. Ha cessato di essere il gran mare dell’infinito dilatarsi; è diventato, per me che ne sono privo da tanto tempo, freschezza e luce nel cavo della mano, un cuore d’acqua, ma forse esagero, una miniatura o un tatuaggio, piccolo ed emotivo come l’istantanea della madre nel portafogli”.

 

Quella Napoli ha immagini che si incontrano ancora oggi. Come i ragazzi che nelle acque (oggi molto insozzate) intorno Castel dell’Ovo imparano a lanciarsi e a stare a galla. “S’aggruma la ragazzaglia della riviera. Sono i nudi puttini di Gemito, rosoni e fregi di piccole membra nere, che si disgregano precipitando nell’acqua come per effetto di una esplosione e un attimo dopo si ricompongono”.

 

Non so voi che esperienze abbiate, ma a Napoli vi ho sempre ritrovato un’operosità da formiche. Le ciance simil-brunettesche sul fannullonismo etnico le cancella la figura geniale di Carmine Marfei, meccanico di genio, capace di trarre da un mucchio di rottami un’automobile nuova fiammante. “Guardavo l’officina del Marfei e pensavo a un cantiere in una garitta, a quelle bottiglie che risultano capaci di contenere un transatlantico, ai calligrafi che riescono a trascrivere un romanzo su una scatola di cerini”. Dice don Carmine: “Allargarmi.. mannaggia il capitale… vi farei vedere io…”. Chiosa Marotta: “Alle radici di tutto il dolore di Napoli sta questa grande assenza del denaro, il quale o manca o non si fida: non vive la sua vita, esiste soltanto nei forzieri dei miliardari locali, come un santo imbalsamato nelle cripte degli altari. Andate a capire perché all’ottimismo e alla fiducia si addicano esclusivamente le nebbie e il cappotto di pelliccia e l’ombrello; mai incontrerete vivo il capitale da queste parti, in calzoni bianchi e maglietta sotto il sole”.

 

Napoli milionaria in fondo non lo è stata mai. Anzi, lo sguardo di Marotta punge quei tipi dalle borse piene nelle dolci capitali partenopee della villeggiatura. Sorrento, Capri. Allora era così, oggi – e non solo lì – è quasi peggio: “Vidi gli elegantoni che andavano al bagno e mi fecero l’effetto della scolorina su un bel disegno a penna; io non detesto neppure il diavolo ma questi individui preziosi di erre e di baffetti, di sandali e di pullover, di molgi e di amiche, hanno il malvagio potere di trasformare in uno stesso luogo Sorrento e Venezia, Camogli e Taormina, gli antipodi di ogni geografia”.

Parole perfette per il nostro Cafonal quotidiano. E dunque che altro dire, se non: leggete, leggete Marotta, leggete e diffondete, l’anima di Napoli ve ne sarà grata. 

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