Piero Lissoni, architetto e designer
Piero Lissoni (1956) è nato a Seregno. Nell'onomastica e nella toponomastica che connotano la sua identità anagrafica è racchiuso il suo destino. Il cognome Lissoni, infatti, rimanda alla città di Lissone, che, come Seregno, è un alacre centro produttivo della Brianza, culla del design italiano. Mai, dunque, il vecchio adagio nomen omen è stato più veritiero. Piero Lissoni di Seregno, designer al quadrato, ma anche architetto al quadrato. La Brianza, infatti, oltre che a lui, ha dato i natali a grandi architetti, come Mario Asnago (1896), nato a Barlassina; Giuseppe Terragni (1904), nato a Meda; Vittorio Faglia (1904), nato a Monza; Luisa Aiani Parisi (1914), nata a Cantù; ma soprattutto Franco Albini (1905) che, nato a Robbiate, amava definirsi, con orgoglio, ‘architetto brianzolo’.
Anche se, per motivi di studio, prima, e di lavoro poi, Piero è milanese adottivo (ha infatti aperto il suo studio a Milano nel 1986 e da quasi un decennio ne ha aperto uno anche a New York), la Brianza è nel suo DNA, il che significa, creatività, intuito, operosità, rigore, generosità, ma soprattutto tenacia e passione per il lavoro, tanta, tanta passione. Tutte queste sue doti, ed altre ancora, sono ben documentate nel libro recentemente edito da Rizzoli, Piero Lissoni Environments, (pp. 480, € 120.00), con titolo e testo rigorosamente in inglese, perché Piero Lissoni è per vocazione un cittadino del mondo e ha una clientela cosmopolita. Suddiviso in sette capitoli, alcuni dei quali metaforicamente definiti (ad esempio, tutti i manufatti che in qualche modo sembrano galleggiare o galleggiano sull’acqua, sono raggruppati sotto il titolo Walking on the Water; mentre i progetti di architettura residenziale sono accomunati sotto quello di Where every house is a home), il volume è curato da Stefano Casciani, con illustrazioni di Guido Scarabottolo, nella sezione Product Design.
L’elegante rilegatura con confezione bodoniana, con plance in Favini Sumo, rivestita con cartone nero e tela bianca sulla costa, così come l’impaginazione sono scelte progettuali della Lissoni Graphx. Infatti, lo studio di progettazione di Piero Lissoni, il Lissoni & Partners, si compone di quattro divisioni, la Lissoni Graphx, appunto, la Lissoni Casal Ribeiro, la Lissoni Associati e la Lissoni New York, ciascuna con ambiti di intervento ben definiti.
Il libro tratta di circa cento progetti, di urbanistica, di architettura, di interior, product e graphic design, di yachting e di allestimenti messi a punto dall’architetto in quasi 40 anni di carriera. Così, in proposito ha dichiarato lui stesso in una recente intervista:
“Ho provato a raccontare quello che siamo: non siamo architetti, non siamo designer, non siamo graphic designer, siamo una miscela strana a cavallo tra l’umanesimo e forse un pizzico di scienza.”
Tra i pregi di Lissoni (anche se parrebbe un difetto) mi sono dimenticata di annoverare la cocciutaggine. Eh sì, perché quando ‘il Lissoni’ si impunta, non lo smuove nessuno. Su You Tube c’è il video di una sua conferenza, nella quale, per illustrare il proprio metodo di progetto, egli sceglie di partire dai propri errori. Infatti, quando ha un’idea, cascasse il mondo, la deve vedere realizzata (in scala 1:1, la sua prediletta, ovviamente per gli oggetti di design). Si tratta di una cinquina di progetti in cui Lissoni non ha fatto Tombola, avendo dovuto poi intervenire con delle correzioni. Ma forse Tombola, in fin dei conti, l’ha fatta lo stesso, perché, se è vero che “sbagliando si impara”, noi in quel video, è proprio dai suoi errori che impariamo a conoscere il suo metodo progettuale, basato sull’eleganza e sulla leggerezza (in senso calviniano) delle forme e degli spazi da lui creati. Per raggiungere il suo obiettivo, infatti, Lissoni non cessa mai di sperimentare, applicando logiche sottrattive: anziché sommare, egli toglie elementi, fino a giungere alla forma pura, alla essenza della forma, totalmente priva di ridondanze, sobria e rigorosa, miesiana, insomma. Per di più, il suo modo di progettare, anche quando si tratta di un oggetto, tiene sempre conto dell’ambiente che lo circonda, nel quale sarà inserito. Così ha dichiarato lui stesso: “Il mio lavoro a volte potrebbe anche apparire minimalista, forse perché continuo a pensare a oggetti e spazi contemporaneamente, come si confà ad un architetto moderno, senza che le cose interferiscano con l'ambiente che le circonda, e senza che l'ambiente circostante interferisca con le cose.”
In esergo al volume pubblicato da Rizzoli, compare questa sua dichiarazione:
“I’m a rogue designer and a generous architect”.
E da buon ‘mascalzone latino’, la fase di ogni progetto che lo affascina maggiormente è, per sua stessa ammissione, quella del ‘genio e sregolatezza’ (un po’ Sturm und Drang) insiti nel momento iniziale della ricerca, dove può liberamente spaziare con la mente nei meandri della conoscenza, lasciando galoppare la fantasia ‘a briglia sciolta’. Lissoni preferisce, insomma, la dimensione creativa di ogni progetto, così come si confà ai veri artisti.
Ecco cosa scrive nella premessa al libro:
“Nell’approccio umanistico la parte più importante, o forse quella che prediligo, è quella iniziale di studio e ricerca. L’aspetto più interessante è quando entri nei labirinti e ti perdi, girovaghi nella musica, nella poesia, nella fotografia, nell'arte di vario genere … in altre architetture, in altri racconti. Ad un certo punto tutto questo gironzolare, o una parte di esso, si cristallizza e diventa un progetto.”
Il suo essere ‘a generous architect’, poi, consiste nel suo saper eclissare la propria prorompente personalità creativa nelle pieghe del progetto, sia esso di Environment come di unità abitative, lasciando che siano proprio le necessità dell’opera a guidare la sua mano. Lissoni, insomma, quando interviene nello spazio, opera sempre un distacco dal proprio sé (uno straniamento, come voleva Bertolt Brecht per i suoi attori) lasciando che sia l’oggetto progettato a dettare legge, anche la legge compositiva. Ma la generosità progettuale di Lissoni ha qualcosa in comune anche con Antonin Artaud, e non solo per il comune amore verso l’arte orientale, ma soprattutto per quel distacco dall’opera partorita dal loro ingegno che li contraddistingue e per la loro capacità di ‘mettere insieme’ vari linguaggi, fondendoli in un tutto che è, alla fine, l’opera compiuta. E se Artaud nel suo teatro fondeva insieme gesto, movimento, luce e parola, le architetture di Lissoni, come avviene in lui nel magma iniziale della propria ricerca, uniscono e fondono insieme paesaggi naturali, suoni, luci, colori, spazi, volumi, superfici, temperature, leggi della statica, ricerca dei materiali, studio delle proporzioni, cura dei dettagli, eccetera: linguaggi diversi insomma, ma magistralmente coesi, vibranti all’unisono nel progetto compiuto, che per Lissoni è sempre e comunque un “altro da sé “.
“Mi interessano l'ibridazione, gli ‘errori’, le combinazioni non troppo controllate. Penso che quando in un progetto più cose accadono contemporaneamente, come per caso, si genera un fenomeno magico di alchimia, per chi progetta come per chi abita gli ambienti,” ha dichiarato.
Nei suoi quarant’anni di carriera Piero Lissoni è stato, e in alcuni casi ancora è, art director di Alpi, Boffi, De Padova, Lema Mobili, Living Divani, Lualdi e Porro, Sanlorenzo Yachts. Ha progettato prodotti e stand espositivi per molti di questi brand e per altri ancora, tra i quali Alessi, Antrax, Atlas Concorde, Audi, B&B Italia, Bonacina 1889, Cappellini, Cassina, Cotto, Fantini, Flos, Gallo, Glas Italia, Golran, Illy, Janus et Cie, Kartell, Kerakoll Design House, KN Industrie, Knoll International, Lualdi, Nerosicilia, Olivari, Salvatori, Serapian, Tecno, Viccarbe, Wella. Lissoni Associati è Socio sostenitore della Fondazione Palazzo Te di Mantova; è partner istituzionale della Casa Museo Bagatti Valsecchi di Milano; Piero Lissoni è membro dell’Advisory Board del Politecnico di Milano ed è stato consigliere del MAXXI di Roma. È anche membro onorario dell’Altagamma International Council.
Tra i numerosi riconoscimenti che ha ricevuto, ricordiamo il Good Design Award, il Red Dot Award e il Premio Compasso d’Oro ADI nel 2014 per la porta L16 di Lualdi, oltre a numerose menzioni d’onore per lo stesso Premio.
Per la sua grafica raffinata e preziosa e per la ricchezza delle sue illustrazioni, il volume di Rizzoli ci rimanda con nostalgia a quei libri-strenna degli anni sessanta, a quelle edizioni chic, perfette anche come regalo di Natale, perché capaci di trasportare il lettore in un mondo da sogno, di fargli vivere la favola, la favola della bellezza.