Speciale
Sincopi o perdite di coscienza transitorie
Frilens a bestia
Fin'ora m'è piaciuto molto essere frilens. Mi piace perché “fri” vuol dire “libero” e “gratis”, due delle mie parole preferite, insieme a “girella” e “palavino” che però è una parola russa.
Ci sono quelli che dicono che schifo i frilens sono come i disoccupati, sono barboni. Ma non è vero perché i barboni hanno la barba brutta e dormono fuori in continuazione anche d'inverno. Noi frilens invece non esiste. Se mia madre scopre che dormo fuori di notte mi butta fuori di casa che poi non può se io sono già fuori ma si vede che certe volte, quando grida non ci pensa a quello che dice esattamente.
Ho un sacco di amici frilens come me. Tutti liberi di fare come ci pare ma non ci pare mai niente di male, poi. Siamo bravi ragazzi ce lo dicono tutti anche se abbiamo quasi cinquant'anni. Ci chiamano ragazzi perché siamo giovani nel cuore. E poi veniamo tutti da esperienze diverse, io prima di essere frilens per esempio ero disoccupato che non andava bene perché la gente parla parla e mia madre quando gli dicono che sono disoccupato ci resta male anche se già lo sa, allora mi sono fatto frilens che tanto non costa niente se non guadagno soldi. Alcuni amici miei fanno come me ché è la cosa più conveniente. Si fanno frilens ma non guadagnano niente così non pagano le tasse e poi i soldi ce li danno mamma e papà. Più mamma, veramente perché forse papà non è d'accordo col mio piano, lui è anziano, quelli della sua generazione non lo capiscono che il mio piano è molto intelligente. Anche a lui gli converrebbe ma la mamma a lui non glieli dà i soldi, solo a me. Meglio così!
Agnizione (freelance)
Secondo certi codici d'oggi,
“disoccupato” sta per “artista”
“freelance” sta per “disoccupato”
“Artista” sta per “imprenditore”
Sono andato a un meetup, che oltre a significare “incontro” è il nome del social col quale l'incontro è stato organizzato. Ero sicuro che non sarebbe venuto nessuno ma quando ci siamo guardati in faccia tutti e sette ho capito che ero l'unico ad esserlo.
Questi, mi son detto, soffrono di credulità a oltranza. Saranno artisti.
Ma gli indizi erano tanti, la leggera angoscia nello sguardo, l'entusiasmo affettato su un'apatia cronica...
Così gliel'ho chiesto. “... e voi... cosa fate?”
Nonostante la domanda collettiva non rispondono tutti insieme, si auto regolano.
Bene così, non sopporto di sbagliare valutazione. E gl'ingegneri sono così noiosi.
Rispondono comunque tutti allo stesso modo.
“Sono disoccupato.”
Nessuna incertezza nel dirlo, nessun segnale di imbarazzo, nessun “attualmente”, nessuno sguardo basso.
Questi qua vivono la disoccupazione come una condizione data. Un fatto assodato e inevitabile, non classificabile come “negativo” o “positivo”, “ottimo” o “pessimo”.
Li ammiro.
C'è però una domanda che devo fare, potrebbe suonare brutale ma proverò a lavorare sul tono. Alla peggio gli dico la verità e amen.
“E quando lavoravate...?”, alcuni sgranano gli occhi, ad altri scendono le palpebre, “...avete mai lavorato? Scusate non volevo dirla così ma sono un giornalista. Sto scrivendo un pezzo sui 'meet-up' e la gente che li frequenta, quindi...”
Si svegliano.
“E per chi scrivi...?”
“Quanto prendi a pezzo?”
“Te la pagano, la trasferta?”
Li guardo con un po' d'imbarazzo continuando a pensare, disoccupato. E poi rispondendo a una domanda o forse no, glielo dico.
“Sono un freelance...”
In un attimo i loro volti si distendono, spunta qualche sorriso, vengo fagocitato dal loro neonato cameratismo e trascinato a mangiare un trancio di pizza ai quattro formaggi a pochi metri, mentre un paio di loro mi dicono che l'avevano capito subito, quando ero arrivato; che ho proprio la classica camminata da freelance.