Tutti autistici?

23 Giugno 2023

Immaginiamo di sorvolare la Brianza e di osservare sotto di noi le distese verdi inframezzate da capannoni industriali e complessi residenziali. Nonostante la fisionomia di queste zone si sia trasformata nel corso degli anni, è facile riconoscere qua e là le tracce di un vecchio cascinale – magari suddiviso in appartamenti. Le caratteristiche arcate del cortile sono ben visibili, così come l’originale struttura in mattoni. Certi tratti tipici non mutano mai, quel che cambia è la loro funzione e l’uso che se ne fa. In altre parole, cambia il modo di abitare. L’idea di ‘casa’, infatti, non è universale, non risponde a un’unica definizione e varia a seconda del contesto e delle persone che vi abitano. Cosa caratterizza, allora, una ‘casa’? O meglio, un modo di vivere insieme? Perché di questo si è occupato Edo Massa nel suo interessante esordio a fumetti dal titolo «Tutti autistici?» (Becco Giallo editore, 128 pp.), uscito lo scorso 28 aprile e realizzato in collaborazione con l’associazione Abilitiamo Autismo. Si è impegnato a raccontare una casa tutta particolare, anzi una cascina, e un modo di vita differente (e poco conosciuto) caratterizzato da tempi e bisogni specifici, che sono i tempi e i bisogni specifici delle persone autistiche.

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Ci troviamo a Cantù, più precisamente nella frazione di Fecchio – Fecc in dialetto brianzolo. La nostra cascina porta il nome di Cristina – nobildonna milanese che proprio in queste zone ha conosciuto gli ideali del risorgimento italiano nella persona di Silvio Pellico. Fin dalle prime pagine il tratto di Edo Massa ci invita a entrare non solo in un luogo, ma in una diversa disposizione di elementi, forme e significati che porta a leggere la realtà fuori dai soliti schemi interpretativi. Già questa descrizione potrebbe valere come una efficace illustrazione della condizione autistica. Il segno grafico che Edoardo svolge in queste pagine diventa un ponte fra neuro-tipici e neuro-divergenti.

Probabilmente solo il disegno può rappresentare pienamente lo spettro dell’autismo, cioè un range di variazioni, uno sviluppo graduale, un’ampiezza. Perché il disegno, si potrebbe dire, non conosce gerarchie. Il suo linguaggio – fatto di pressioni diverse, segmenti, punti e tratteggi – può produrre un effetto di profondità e restituire i volumi unicamente basandosi su elementi che dispone sempre in orizzontale. Questo modo di procedere permette di uscire più facilmente da una prospettiva rigida, dalle divisioni nette. Sul foglio tutto è sullo stesso piano.

Ecco perché i disegni dei bambini sono meravigliosi: sono meno guidati da pregiudizi, i fiori appaiono grandi quanto gli uomini. Edoardo disegna così, imitando un po’ i bambini. L’uso che fa della prospettiva è ridotto e tendenzialmente vari dettagli si affastellano uno affianco all’altro, addensandosi o meno intorno a uno stesso punto. Se dovessimo provare a descrivere in cosa consiste l’autismo – dal greco autós, quindi una chiusura in sé, l’essere isolati in se stessi – da un punto di vista prettamente cognitivo, potremmo dire che a livello delle rappresentazioni cerebrali non si realizzano quelle proiezioni verso l’esterno che sono istanziate da certi tipi di neuroni, i neuroni-specchio.

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Le azioni che noi compiamo sono caratterizzate non solo da specifici movimenti, ma anche da specifiche modalità che rivelano le intenzioni di partenza e le aspettative del soggetto agente. Quando porgiamo un bicchiere d’acqua a un’altra persona possiamo farlo in modo gentile, aggressivo o sbrigativo a seconda dei tempi, del pattern motorio che adoperiamo, di quanto ci avviciniamo al destinatario del nostro gesto e così via. Tutti questi aspetti formali devono poter essere interpretati dal nostro cervello, grazie per l’appunto alla proprietà di alcuni neuroni che simulano l’azione che sta avvenendo al di fuori, come se fossimo noi a star compiendo quell’azione. Questo meccanismo ci permette di capire se il bicchiere che stiamo ricevendo ci viene posto in modo gentile, aggressivo o sbrigativo perché sappiamo esattamente che il nostro corpo si comporterebbe in modo analogo in ciascuno di questi tre casi.

Ciò non avviene nel caso dell’autismo, dove la forma di un’azione viene letta con più difficoltà. Sappiamo che quell’azione è diretta ad avvicinarci un bicchier d’acqua, ma non quali intenzioni la muovono, se c’è da parte dell’altra persona una disposizione di gentilezza nei nostri confronti o meno. Di qui l’isolamento in cui si trova una persona nello spettro dell’autismo. Il registro grafico che viene utilizzato nel fumetto permette di comprendere bene questo punto importante. Spesso vi troviamo il contorno di un volto riempito da un colore uniforme, dove non sono leggibili le espressioni facciali, oppure sullo sfondo si stagliano silhouette umane che si confondono col paesaggio circostante. Possiamo così farci un’idea chiara di come deve apparire il mondo da lì, da quel sé da cui repentinamente scompaiono i punti di ancoraggio alla realtà eppure così tenacemente impegnato a costruire sbocchi sul mondo esterno.

Proprio in questa costante e continua ricerca dell’altro, di una via di prossimità e di incontro con ciò che sta al di fuori di noi, troviamo uno dei tratti più toccanti e insieme più profondi della condizione autistica, che è anche manifestazione (seppur drammatica e dolorosa) di una inesauribile vitalità. Le persone autistiche cercano forme di connessione, sviluppano abilità e guardano fuori dalle numerose finestre di cascina Cristina. Vedono il cielo e i prati, e incontrano e si ricordano delle persone che stanno insieme a loro e che le aiutano ad aprire e mantenere spiragli sul mondo esterno. Così ha fatto Edoardo, che ha cominciato il suo lavoro di ‘artista’ – rigorosamente virgolettato, come usa lui – proprio a partire dalle fasi di ristrutturazione che hanno interessato la cascina e ha conosciuto tutte le persone che abitano e ruotano intorno a questo progetto. I membri dell’associazione Abilítiamo Autismo, ma soprattutto i giovani adulti che la struttura ospita e che seguono i numerosi percorsi terapeutici che un’équipe di esperti mette loro a disposizione. Per trattare i frequenti sbilanciamenti e meltdown che sfociano in comportamenti aggressivi – come scrive nella prefazione la presidentessa dell’associazione Annalisa Martinelli –, gli approcci più diffusi prevedono la prescrizione di farmaci di contenimento.

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Lo spazio contrassegnato da modi di produzione prevalentemente agricoli – di cui la cascina è espressione – permette di svolgere varie attività, tra cui la coltivazione e la cura di un orto, che ben si prestano ad assorbire e deviare violente tensioni (riducendo i medicinali). Questo è un aspetto che va sottolineato, dal momento che caratterizza il tipo di ridestinazione che potrebbe riguardare vari edifici pubblici già presenti sul territorio (spesso in stato di abbandono), e inoltre ci porta a considerare come il tipo di urbanistica e di architettura che organizza e modula la nostra vita quotidiana sia uno specchio fondamentale della nostra società, dei valori che la animano e delle sue priorità.

È facile osservare come siano pressocché assenti, nelle nostre città, spazi che possano funzionare bene sia per una persona neuro-divergente, sia per una persona neuro-tipica – si può pensare banalmente alle aree di attraversamento pedonale, dove i semafori e la segnaletica è poco leggibile – o dove mancano luoghi di incontro adatti che possano accogliere sia neuro-divergenti che neuro-tipici. Sembra essere questo il senso dell’eloquente forma interrogativa in cui va letto il titolo del libro: «Tutti autistici?» Come a dire: chi è che non si trova chiuso in sé stesso, intrappolato in unico punto di vista?

Nel fumetto c’è anche un glossario illustrato, utile a comprendere i termini con cui si nominano i vari sintomi dello spettro autistico. Fra le voci più suggestive c’è quella dell’‘ipersensibilità sensoriale’. La sensazione di contatto o strofinamento, tra mano e mano per esempio, può venir prolungata indefinitamente e portare a una focalizzazione molto intensa. Ci si continua a toccare e si mantiene attivo lo stimolo. Così una carezza può durare ore… un gesto semplice e banale come tenersi per mano diventa una risorsa fondamentale, un qualcosa di importante a cui dedicarsi totalmente. Ciò che può apparire come un impedimento o una distrazione diventa un momento cruciale, profondo, a cui viene dedicata una bella sequenza in cui i disegni si caricano di un’atmosfera poetica e delicata. Le inquadrature sono dettagliate, grandi, e poche parole appaiono in un riquadro bianco, scritte con una grafia manuale: «Capito? È il neuro tipico che si deve incontrare con il neuro divergente». In pagine come queste si può apprezzare la qualità di un discorso grafico che viene sviluppato in modo molto naturale, mai pesante e sempre brioso e ironico. Si percepisce che questo lavoro è l’esito di un percorso, di una crescita personale che l’autore compie insieme a noi lettori.

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Lo stesso disegnatore era partito (all’inizio del libro) con toni un po’ incerti, manifestando un senso di inadeguatezza e imbarazzo nell’accostarsi a un tema così complesso. A mano a mano acquisisce consapevolezza, supera le sue remore iniziali e si sposta, ci sposta. Adesso possiamo intuire, muovendoci tra un disegno e l’altro, riquadro dopo riquadro, il particolare tono di realtà che viene esperito da una persona autistica: non una realtà degradata rispetto a quella cui siamo immersi abitualmente, non una realtà tronca o parziale, non una realtà minore: ma una realtà che co-esiste con la nostra, che quindi è disposta nello stesso orizzonte di senso. Le tinte piatte e la mancanza di ombreggiature non rendono un disegno meno valido rispetto a un altro, più dettagliato, che produce (apparentemente) un effetto di maggiore aderenza alla realtà. Quel che conta sono i rapporti in cui sono posizionati gli elementi grafici, i pieni e i vuoti che segnalano l’orientamento delle figure e il loro dinamismo. Allo stesso modo la vita e la ricchezza esperienziale di una persona autistica, seppure con le molte differenze e difficoltà che la separano da quella di un neuro tipico, non è da porre su un piano inferiore. Cascina Cristina è impegnata proprio nel tentativo di portare la qualità della vita dei suoi ospiti a un livello coerente alle aspettative comuni e unitamente a diventare un luogo di incontro che possa funzionare in maniera trasversale (per neuro tipici e non).

Tornando alla scena illustrata dedicata all’ipersensibilità, colpisce lo stacco con cui l’autore si rivolge direttamente al lettore. Eravamo intenti a seguire gli accostamenti evocati dalle immagini e a sviluppare un ragionamento sul tema dell’incontro, quando Edoardo improvvisamente puntualizza: «gli artisti, ovviamente, non capiscono». Già, immersi come siamo in una continua spettacolarizzazione – dove ogni occasione è buona per mediatizzare e aumentare le fila dei propri followers – abbiamo perso di vista il ruolo sociale e pratico che ognuno di noi riveste all’interno della società. Il lavoro dell’artista è sempre più indefinito e indecifrabile, anche perché ammantato da un’aurea di spiccata ‘sensibilità’. Sembra sempre che gli artisti debbano essere degli intrattenitori brillanti o dei geni. Invece, quando ci rendiamo conto del valore immenso che ha una giornata passata all’aria aperta, sperimentando la corretta coordinazione del proprio corpo (che per altri è preclusa) ecco che l’‘artista’ (e noi con lui) si ridimensiona, smette di mostrarsi. In questo esercizio di sottrazione, necessario, possiamo individuare un tratto fondamentale della pratica artistica, che più che impressionare o provocare, può indicare modi di stare al mondo meno autoriferiti e più inclusivi. «Tutti autistici?» è un reportage grafico che aiuta a trasmettere il bisogno urgente di una società della cura, capace di ascolto e di promuovere soluzioni. Una società in grado di vedere il futuro per quello che è, vale a dire un’alternativa realizzabile rispetto agli errori del presente.

Per maggiori informazioni sull’associazione ‘Abilítiamo Autismo’ ODV visitare il sito.

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