Un mare di oggetti 6. Le pinne
Con le pinne, fucile ed occhiali / Quando il mare è una tavola blu / Sotto un cielo di mille colori / Ci tuffiamo con la testa all'ingiù. / (Splash)
Così comincia uno dei più allegri e scanzonati motivetti per l'estate, scritto e interpretato nel 1962 da Edoardo Vianello, il cantante più ‘futurista’ del mondo musicale italiano, non per nulla figlio del poeta futurista Alberto Vianello. (Nello stesso anno, questa canzone, insieme a Guarda come dondolo, del medesimo autore, fu scelta addirittura da Dino Risi come motivo della colonna sonora del suo film Il sorpasso.)
L’invenzione delle pinne è relativamente recente, infatti, per vederle nascere quali noi oggi le conosciamo, bisogna attendere il XX secolo. Se si esclude un’intuizione leonardesca (c’è il disegno di una pinna nel Manoscritto B, però è una pinna-guanto, da calzare sulle mani, non una pinna per piedi) e uno studio seicentesco del matematico, astronomo e fisico Padre Giovanni Alfonso Borelli, basato sulle teorie di Boyle, Galilei, Pascal e Torricelli, esse fanno la loro comparsa nella nostra era.
Tanto Leonardo quanto Borelli avevano tratto ispirazione dal mondo animale, e quest’ultimo, nel suo trattato De Motu Animalium incentrato appunto sulla fisiologia animale, nel capitolo De natatu, arrivò addirittura a descrivere "una macchina con la quale gli uomini immersi nell’acqua possono respirare e vivere per parecchie ore", comprensiva di pinne.
L’inventore delle pinne è stato l’ufficiale della marina francese Louis de Corlieur che ha sviluppato le idee di Benjamin Franklin, il quale, nel 1773 così aveva scritto:
“Da giovane, realizzai due pedane ovali, ciascuna circa dieci pollici lunga e sei larga. Sembravano una tavolozza per pittori. Con queste nuotavo più velocemente ma avevo dolore ai polsi. In seguito le ho messe ai piedi come se fossero una specie di sandali”.
Poiché de Corlieur aveva prestato servizio nella Polinesia francese, aveva avuto modo di osservare le pinne per piedi fabbricate con grandi foglie dai pescatori di quelle isole e subito gli era venuta l’idea di riprodurle con un materiale meno deperibile. Perciò, nel 1924, lasciato il servizio attivo, si dedicò a elaborare il suo progetto, registrandone il brevetto già nel 1933, con la denominazione di “apparecchio propulsore per il nuoto ed il salvataggio”, composto da due pinne palmate per i piedi e da due pinne a cucchiaio per le mani.
Per le sue pinne, de Corlieur aveva deciso di impiegare il caucciù, quel materiale naturale che Charles Goodyear aveva brevettato nel 1844. Le pinne furono prodotte a Parigi fino al 1939, quando il loro brevetto venne acquistato dal velista olimpico americano Owen Churchill, che trasferì la produzione dapprima in Algeria e quindi in America, dove a realizzarle fu la Dunlop.
Il primo impiego delle pinne fu militare. Durante la seconda guerra mondiale, infatti, esse vennero date in dotazione all’equipaggio della NCDU (unità di demolizione di combattimento navale) creata nel giugno del 1943 e addestrata per le operazioni di smistamento delle acque sulle spiagge della Normandia e nel sud della Francia. È soltanto a partire dagli anni cinquanta che le pinne, prodotte sempre dalla Dunlop, ma nel nuovo settore denominato Sports Company, divennero attrezzature subacquee a scopo ricreativo e professionale e conobbero una vasta diffusione in tutto il mondo, insieme alle mute stagne, alle maschere e ai boccagli prodotti sempre dalla medesima ditta.
In Italia le prime pinne furono prodotte a Genova nel 1948, su progetto di Luigi Ferraro, ufficiale della X Flottiglia MAS, gruppo guastatori, Medaglia d’Oro al Valor Militare.
La casa produttrice della sua pinna, chiamata Rondine, fu la Cressi Sub, che nel 1950 mise a punto il primo modello al mondo di pinne galleggianti.
Ma Ferraro migliorò ancora le sue pinne sportive creandone una, la Caravelle, dotata di una scarpetta in gomma nera e di una pala in polipropilene stampato, prodotta dalla Technisub, ditta da lui stesso fondata e diretta. E fu subito una rivoluzione talmente straordinaria da far dire al grande Jacques-Yves Cousteau che Ferraro era il “miglior designer di pinne del mondo”.
Ed è proprio a Jacques-Yves Cousteau che si deve il successo universale delle pinne, reso possibile grazie al suo film Il mondo del silenzio, del 1956 (girato insieme a Louis Malle), vincitore della Palma d'oro come miglior film al 9º Festival di Cannes e dell'Oscar come miglior documentario nel 1957. È infatti per suo merito se intere generazioni si sono innamorate del nuoto pinnato e del mondo subacqueo a cui le pinne permettono di accedere.
Un altro film che ha concorso a diffondere l’impiego delle pinne nel nuoto è stata la Sirenetta di Walt Disney, che, a partire dal 1998, ha contribuito alla nascita di un nuovo tipo di sport, il mermaiding (dall'inglese mermaid, sirena più il suffisso ing), ovvero il nuoto con monopinna. Si tratta di uno sport ancora poco conosciuto, un nuoto artistico subacqueo che prevede l'uso di una sola grande pinna, per simulare i movimenti aggraziati di una sirena. Eseguito rigorosamente in apnea, è molto coreografico e dunque vicino alla danza. La sua notorietà e la sua diffusione sono cresciute in maniera esponenziale tra il 2000 e il 2010, raggiungendo un pubblico di appassionate sempre più vasto.
Ma il nuoto in costume da sirena era già apparso nei film Splash, Una sirena a Manhattan (1984) e Splash 2 (1988). Anche le numerose sirene presenti nel film del 2011 Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare hanno contribuito alla popolarità del mermaiding e alla sua diffusione presso un pubblico sempre più vasto.
Dalla guerra, alla danza, passando per lo sport, le pinne ne han fatta di strada, nel mare of course, così come ne ha fatta lo Splash di Edoardo Vianello futurista e futuribile.
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