Alan Turing: la gaia mente

29 Dicembre 2013

Lettera inedita, ben temperata, di Alan Mathison Turing ai membri dell’Accademia di Svezia

 

1

 

Chiese il necessario per scrivere. Glielo portarono subito. Forse non era quella la carta che avrebbe voluto avere: i fogli non avevano intestazioni di sorta – e questo andava bene – ma era troppo ruvida al tatto e granulosa. Anche la penna poi, vecchia stilografica recuperata chissà dove, non era proprio ciò che desiderava.
Suonò ancora. Abituato da vent’anni ad avere come esclusivi strumenti di lavoro una risma di carta quadrettata e un mazzetto di matite ben appuntite, rinunciava malvolentieri a queste abitudini, ovunque gli capitasse di mettersi a lavorare.
Finalmente gli fecero avere la matita: una matita sola, ma nuova e ben temperata. Mancava, tuttavia, il temperino. Solo avendolo a portata di mano la scrittura avrebbe potuto prender corso senza limite alcuno e, le rotture della mina, o il suo progressivo spuntarsi, non sarebbero diventate interruzioni poste al fluire dei pensieri.
Ma, più piacevolmente, si sarebbero trasformate in soste durante le quali sarebbero state le mani e le dita – impegnate nel gesto di infilare, sostenere, ruotare e raccogliere – a mimare o scolpire, in una sorta di aerea scultura, le volute che il pensiero inanellava.
Cercò di dimenticare un vecchio calendario, fermo al dicembre dell'anno precedente, appeso alla parete, sopra la semplice scrivania di metallo verde.

 

 

2

"Maestà, Illustri Membri dell'Accademia di Svezia, Signore e Signori..."
No, non sarebbe stato facile farsi comprendere, accompagnare pensieri nascosti fino a quei volti sconosciuti, mandarli incontro ad occhi nei quali non si sarebbe mai specchiato.
Non riusciva, nonostante ogni sforzo, a immaginare la sua voce: bassa e imbarazzata avrebbe trovato, alla fine, respiro che l'alzasse sicura?
Sarebbero riuscite, le sue parole, a planare uguali a quelle che ora stavano volando via dalla sua mente?
Avrebbero trovato accoglienza?

Sorrise di quella parte di sé che aveva suggerito, sommessa e sussiegosa al tempo stesso, l'ultima domanda. Questo sorriso s'allargò riconoscendo un'altra ingenuità, per la verità non solo sua: credere che stupefacente – del pensiero – sia la forza con la quale nasce e si fa strada nella mente.
No.
“Poderoso del pensiero non è il suo fulmineo accendersi ma l'arte sapiente con cui sa fuggire dalla prigionia che lo rinserra.
È l'inesausta capacità di andare a modellarsi presso altre menti. Gli sono lontane, estranee. Eppure è lì che s'introduce”.

 

 

3

“Strano ospite, davvero: perché, appena varcata l'invisibile soglia dove trova rifugio, è già scomparso. Ospitato diventa ospite e si cela. Persino a se stesso. Sommerso s'amalgama con altri pensieri: vi si smarrirà per sempre? O non è sempre lui - dopo un istante o infinite generazioni - a riaffiorare? A venire incontro, mutato sotto altra forma, affidato ad altre parole, portato da altre voci?
Il mistero di questo movimento è l'unico segreto del pensiero umano.
Fuori d'ogni modestia, intuirlo e ricostruirlo è stato – per me, Alan Mathison Turing – tutt'uno col costruire la macchina che questa sera onorate del vostro riconoscimento”.

4

“Maestà, abuserei della Vostra pazienza, e di quella degli Accademici di Svezia e delle Signore e dei Signori convenuti in questa sala, così densa di memorie, se indulgessi a rammentare i passi che hanno portato alla nascita di quel primo prototipo di macchina per pensare.
Di quella che – vent'anni fa presso i Laboratori dell'Università di Manchester – ci abituammo a conoscere come Madam (Manchester Automatic Digital Machine).
Grazie a lei l'intelligenza artificiale ha mosso i primi passi. Ha dipanato gomitoli di pensieri affidati al metallo e al silicio: percorsi da brividi elettronici facevano eco ai bisbigli della nostra mente. Madam simulava - maldestra - l'incessante lavorio dei nostri neuroni.
Madam era inconsapevole, al pari di chi l'aveva costruita, dell'immenso futuro che le si apriva. Non era, però, inconsapevole di sé.
Nata per far nascere pensieri colpiva, allora, per la sua goffa originalità. Per la bizzarra e ossessionante furia generatrice.
La sua instancabile fatica fece scordare, per qualche tempo, che quella macchina, oltre a generare pensieri, sapeva anche farli crescere.
In altre parole rifletteva su se stessa. E il suo dividere e riunire qualcosa che era difficile definire, pensieri forse?, sembrava un pulsare pieno di vita.
Quella che Madam dipanava era un'intelligenza lieve e mobilissima, paradossale e sfuggente. Aliena dalle contrapposizioni che imprigionano la mente umana.
Messa al lavoro sul problema (solo apparentemente semplice) di stabilire l'identità sessuale degli interlocutori che rispondevano alle sue domande per mezzo di una tastiera, Madam superò la duplice contrapposizione tra maschile e femminile che sembrava darsi come soluzione logica e scontata.
Scartò ogni rigida contrapposizione. S'avventurò in un caleidoscopio mutevole di risposte: quasi respingesse ogni direzione obbligata, ogni identità prefissata.
Fu questa sua capacità a farmi presagire un futuro di cangiante duttilità. E non solo per lei”.

 

 

5

“Signori,
È tradizione che, in questa sala, siano la limpidezza dell'ingegno, il bagliore dell'intuizione, a prender posto sotto la luce diffusa dalla magia da questi antichi lampadari.
Sentimenti, sotterranee pulsioni, che pure sembrano costituire la sostanza del pensiero e dell'esperienza umana, debbono restare, per tacita convenzione fuori: là dove la luce cede spazio alla penombra.
Eppure viene da questa penombra, addirittura dal buio, la sorte che m'ha voluto portare qui, davanti a Voi, protagonista dell'incredibile avventura che Madam, e le successive macchine per pensare da lei derivate, hanno originato.
Così chiedo venia se – in questa occasione – non enumero i miei debiti verso i dotti e brillanti colleghi delle diverse università a cui pure devo tanto.
Se non rievoco grandi nomi, pure a Voi già noti, di maestri e studiosi che hanno fatto del pensiero artificiale, che mosse i primi passi con Madam, una rivoluzione planetaria.
Invece di far sfilare davanti a Voi questi personaggi autorevoli la mia memoria va indietro negli anni. Si ritrae dalla luce di questa sala dirigendosi altrove.
Torna a quando la scommessa di trasformare Madam in una incomparabile compagna dei nostri pensieri era ancora all'inizio, interamente affidata alle mie umili forze.
S’avventura nel buio di una notte che nulla sembra poter rischiarare”.



6

“Fu allora che l'incontrai: artefice inconsapevole di quest'incomparabile rivoluzione.
Il suo nome, adesso, non ha importanza.
Ben più rilevante, per me, in quella notte, era la leggiadra curva della sua nuca, l’arco armonioso delle spalle e i suoi capelli biondi che intravedevo quando i bagliori dello schermo illuminavano le ultime file, accanto all'ingresso e alle toilettes.
Accadde in un cinematografo pressoché deserto della periferia di Manchester, dopo una lunga seduta di lavoro spesa nei labirinti logici di Madam.
Presi posto vicino a lui.
Per lunghi minuti, spostandomi impercettibilmente sulla poltrona, facendo aderire la mia destra al bracciolo e poi facendo debordare lentamente, col cuore in gola, la mano e il braccio verso il suo corpo, mi sembrò d'assorbirne il calore, la vitalità tesa di gioventù. Stetti per interminabili momenti con il mio braccio e la mia spalla accostate al suo braccio, alla sua spalla.
Temevo di sentire, come tante altre volte, in altre sale buie, in altre città, il secco scatto della poltrona che si chiudeva. Di intravedere un'ombra fugace che protestando s'allontanava. O, peggio ancora, d'avvertire improvviso e violento sugli occhi il balenare della luce della pila con cui gli agenti della polizia – a volte camuffati tra gli spettatori – individuano e poi identificano la gente come me.
Invece non accadde niente.
Guardavo lo schermo e non vedevo.
Quanto vi accadeva era nulla rispetto alla realtà – immensamente più avventurosa, brulicante di mille trame, impermeabile ad ogni cervellotica o fantasiosa classificazione – che riempiva la penombra. Sentivo – attraverso i nostri corpi accostati – il suo respiro regolare.
La mia mano cercò la sua. Grande e liscia si lasciò prendere. Percorsi le sue dita lunghe, il suo dorso, il suo palmo. Avvertii il suo respiro farsi più veloce.
La mia mano andò oltre. Esplorò, con l’emozione che solo un viaggio grande e avventuroso può dare, quel corpo a me sconosciuto ma al tempo stesso a me uguale.
Quando arrivò alla meta ebbi la rassicurante certezza che, i nostri corpi – tutti i corpi e gli elementi e le vite che popolano l'universo – sono solo la momentanea frammentazione della stessa creatura. Governati da un ordine che, per farsi comprendere, non deve ricorrere a parole”.

7

La luce della pila, improvvisa, in pieno viso, fatta ancor più violenta dal buio della sala, venne qualche attimo dopo.
Tutto avvenne troppo velocemente perché Alan Mathison Turing ne conservasse nitido ricordo.
Rivolgendo lo sguardo, dal basso verso l'alto, verso il viso di chi, seppur per fragilissimi attimi, ebbe la ventura di essere la vita più vicina alla sua vita, scorse giovanile stupore e piacere, immemore di ogni turbamento e del trascorrere del tempo.

8

Il calendario sopra la scrivania metallica ignorerà l'estate in arrivo, fermo all’ultimo dicembre: ma il tempo rotolerà egualmente il suo procedere.
Dentro v’affastellerà ogni evento possibile: vi prenderà posto anche la notte in cui qualcuno, seduto in una stazione di polizia della periferia di Manchester, crederà di decidere del destino di Alan Mathison Turing.
La scelta sarà affidata ad un uomo, insaccato in una divisa da poliziotto, la mente ottenebrata dal troppo fumo e dalla fatica dei turni notturni. A lui del tutto sconosciuta la complessità dell'intelligenza artificiale.
Mai udito il nome di Turing e lontano il sospetto che la capacità umana di avanzare verso nuove frontiere del pensiero sarà decisa, in quell’ora notturna, nei locali di una stazione di polizia.
Nella cella di sicurezza, lì accanto, Turing sentirà di tanto in tanto suonare un telefono.
Udrà l’avviarsi dei motori delle auto: le pattuglie destinate al servizio mattutino.
Indovinerà un cortile, un cancello che s'apre e chiude, dietro l'edificio principale.
Qualcuno, al di là della parete, batterà a macchina un rapporto – simile a tanti altri – su un trascurabile episodio di oscenità avvenuto in un cinematografo di periferia.
La macchina da scrivere smetterà infine di snocciolare lettere. Dei passi s'avvicineranno alla cella. Turing s’accorgerà solo allora, dopo tanto scrivere, che la sua matita avrebbe bisogno di esser nuovamente temperata.

 



9

“Maestà, Illustri Membri dell’Accademia di Svezia, Signore e Signori,
La lunga notte che ci ha sempre avvolti sta dunque terminando?
E questo mattino che si sta preannunciando ci consentirà davvero di affidare i nostri pensieri, non più prigionieri nella nostra mente, ad un vento capace di portarli lontano?
Un senso leggero di felicità, di complicità col mondo intero mi pervade.
Come se ogni confine stesse lietamente crollando.
E la mia mente già procede baldanzosa e gaia in un mare di strepitose connessioni.
Sono già pronto a navigare nei rarefatti labirinti di Madam. La matita riprende febbrile a divorare spazio sul foglio.
Non importa se quella porta metallica tra pochi attimi s'aprirà.
Se qualcuno chiamerà con voce solenne. Faticherà a trovare ascolto in me: per sempre lontano – da lui e da quella notturna prigione – di me resteranno solo i pensieri. E io li sto affidando a te, Madam”.

10

“Maestà, e Voi Accademici di Svezia, gentili Signore e autorevoli Signori,
queste righe, queste parole che giungono a voi, sono la conferma che il vento dell’intelligenza artificiale, dal buio di quella notte, ha gonfiato davvero le vele. Il cammino compiuto da Madam è stato immenso.
A dimostrarlo è la mia stessa assenza.
Paradossalmente intrecciata ad una presenza che dovete, che dobbiamo accettare, come reale.
Perché queste parole che state ascoltando, affidate ad un ipertesto dell’ultima generazione, sono mie: e mi appartengono più che se fossero prodotte dalle mie corde vocali.
Non importa se sono originate da un sintetizzatore governato da un pensiero generato da impercettibili spasmi elettronici. Definito da tempi che non sono quelli delle nostre, anzi delle vostre, connessioni neuronali.
Qui s'incrociano le mille frammentazioni di un pensiero che ha finalmente appreso a non uccidere pensieri. S'accostano infinite informazioni, s'incontrano idee che non hanno bisogno di delimitare confini per illudersi di essere.
S'amalgamano tante realtà: il loro numero è esattamente uguale a quello di tutte le possibilità.
Nessuno potrà dire – fino a quando l'ultima parola non sarà pronunciata – che il discorso che state ascoltando, che il testo che state leggendo, sia stato definito, una volta per tutte. Che sia immune da irruzioni e da sorprese.
Tutte le parole dicibili, gli intrecci possibili, i silenzi, stanno accanto, accompagnano e precedono, la pausa che ora sopravviene.

Di questa pausa, da lungo tempo, faccio parte. Non è più mio compito interromperla. O decidere come farla proseguire.

 

Nota

 

Una voce dell'Enciclopedia Britannica, dopo aver ricordato l'immenso contributo dato da Alan Mathison Turing (giugno 23, 1912 - giugno 7, 1954) allo sviluppo dell'intelligenza artificiale, conclude riportando le voci circa la sua morte avvenuta in seguito ad avvelenamento.
La madre dello scienziato nella biografia che ha dedicato al figlio (Sara Turing, Alan M. Turing, Cambridge, W. Heffer and Sons, 1959) sostiene che Alan figlio è stato vittima di un incidente casuale, durante un esperimento.

 

La polizia, tuttavia, secondo l'Enciclopedia Britannica dichiarò che Turing si somministrò volontariamente il veleno. Altre cronache collegano la morte ad un'oscura vicenda che, dopo aver avuto inizio in un cinema di Manchester, ebbe la sua tragica conclusione in una stazione di polizia della stessa città.

 

Di Turing, Douglas R. Hofstadter ha scritto: "nacque a Londra nel 1912. Era un bambino pieno di curiosità e ironia. Molto dotato per la matematica andò a Cambridge dove i suoi interessi per le macchine e la logica matematica si alimentarono a vicenda: uno dei risultati fu il suo famoso studio sui "numeri calcolabili", pubblicato nel 1937, nel quale inventò la teoria delle macchine di Turing e dimostrò l'indecidibilità del problema della fermata.

 

Negli anni '40 i suoi interessi si spostarono dalla teoria delle macchine calcolatrici alla costruzione effettiva dei calcolatori reali. Fu una delle maggiori figure impostesi nel periodo dello sviluppo dei calcolatori in Gran Bretagna e un convinto difensore dell'Intelligenza Artificiale quando questa venne attaccata per la prima volta.

 

Uno dei suoi migliori amici fu David Champernowne (che lavorò in seguito alla composizione di musica mediante calcolatore). Champernowne e Turing entrambi accaniti giocatori di scacchi inventarono la regola "gira-attorno-la casa": dopo aver mosso si fa di corsa un giro attorno alla casa; se si ritorna prima che l'avversario abbia mosso si ha diritto di fare un'altra mossa.
A parte gli scherzi Turing e Champernowne inventarono il primo programma per giocare a scacchi, chiamato "Turochamp".

 

Turing morì giovane, a 41 anni, a quanto pare in seguito a un incidente da farmaci; o, secondo alcune voci, per suicidio. Sua madre scrisse la sua biografia. Dalle persone che cita si ricava l'impressione che Turing fosse molto anticonformista, e anche un pò maldestro, ma così onesto e discreto da presentarsi indifeso di fronte al mondo." (D.R. Hofstadter, Godel, Escher, Bach: un'Eterna Ghirlanda Brillante, Adelphi 1984, pp. 641 e sgg).

 

Nel primi anni Ottanta dello scorso secolo, quando furono diffuse voci circa la possibile assegnazione del Nobel per la fisica ad un gruppo di scienziati che avevano lavorato attorno all'intelligenza artificiale, una lettera – e un discorso registrato su cassetta – furono fatti pervenire agli accademici di Svezia. Provenivano da un centro di ricerca che da decenni, a Manchester, s'occupava di questi problemi. Poiché sembrarono attribuibili a Alan Mathison Turing, scomparso da quasi trent'anni, non furono presi in considerazione.

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