1923-2023. Le vite parallele di Oreste del Buono

8 Marzo 2023

Tra coloro che, in vista del centenario della nascita, hanno provato a riassumere quello che Oreste del Buono ha rappresentato nella cultura, nell'editoria, nel giornalismo del nostro Novecento, non pochi sono caduti nella trappola dell'aneddotica. Quella che OdB stesso aveva provveduto a stendere a tempo debito. Poiché ovviamente aveva ben compreso come un'adeguata e ben disseminata fornitura di aneddoti fosse indispensabile per tenere alla giusta distanza le inutili curiosità che tanto lo infastidivano. Nonché quei prevedibili turisti della commemorazione e quei lavoratori della tastiera che a scadenze prestabilite – il decennale, il ventennale della morte; il centenario della nascita – sarebbero stati prevedibilmente precettati in rievocazioni della parabola orestiana. 

Non aveva previsto tuttavia che nel frattempo sarebbe sbocciata ChatGPT. Si sarebbe però divertito parecchio nel leggere l'articolo che, su precisa richiesta, la stessa ChatGPT, in 45 secondi, mi ha squadernato. Narrandomi vita, opere, lavori e onori del nostro OdB, in questi termini:

Oreste Del Buono (1923-2006) è stato uno scrittore e giornalista italiano noto per la sua vasta produzione letteraria e giornalistica. Nato a Genova il 3 novembre del 1923, Del Buono si trasferì a Milano con la famiglia durante l'infanzia e qui trascorse gran parte della sua vita.

Del Buono iniziò la sua carriera come giornalista negli anni '40, lavorando per diverse testate tra cui il 'Corriere della Sera' e 'Il Giorno'. Nel corso degli anni scrisse anche per importanti riviste come 'l'Europeo' e 'la Domenica del Corriere', divenendo uno dei più noti giornalisti italiani del suo tempo. 

Parallelamente alla sua attività giornalistica, Del Buono iniziò a dedicarsi alla scrittura di romanzi e raccolte di racconti. Tra le sue opere più famose si possono citare Il cappotto di Astrakan, Il grande Boh, La mala del Brenta e Salaam Bombay. La sua produzione letteraria spaziava dal romanzo noir alla saggistica, passando per la biografia e il reportage.

Del Buono ebbe anche una lunga e prolifica carriera come traduttore, lavorando su opere di autori come Ernest Hemingway, Jack Kerouac e Truman Capote. Nel 1977, insieme a Franco Fortini e Cesare Garboli, fondò la casa editrice "Meroni & Colzani", che pubblicò importanti opere della letteratura italiana e internazionale.

Oltre alla sua attività professionale, Del Buono fu anche un appassionato viaggiatore, che visitò molti paesi del mondo e documentò le sue esperienze in numerosi articoli e libri. Nel 1970 pubblica il celebre Viaggio al termine della mia solitudine, un resoconto del suo viaggio in solitaria attraverso l'Asia centrale. 

A questo punto ChatGPT, deve aver avuto la percezione di averle sparate un po' grosse (anche se non è male scambiare OdB con Piero Chiara e la casa editrice Baldini & Castoldi, fondata da del Buono assieme al nipote Alessandro Dalai, con la fabbrica brianzola di divani Meroni & Colzani). Forse è per questo che ChatGPT, nel concludere, regala tre anni di vita a Oreste, che, sentenzia, sarebbe morto "a Milano il 7 giugno del 2006, all'età di 83 anni. La sua vasta produzione letteraria e giornalistica – precisa ChatGPT – gli valse numeri premi e riconoscimento, tra cui il Premio Bancarella del 1981 per Il cappotto di Astrakan. La sua figura rimane una delle più importanti della letteratura e del giornalismo italiano del Novecento".

Degno di apprezzamento è che ChatGPT non frequenti ancora (per inesperienza?) o eviti (per precoce discernimento?) le tappe fondamentali dell'aneddotica sul nostro OdB. 

Quindi nessun cenno al suo autoincoronarsi come "inaffidabile" qualsiasi fosse la missione professionale abbracciata, e "scomodo", qualunque fosse l'editore, la testata, la redazione che, dopo averlo ingaggiato e accolto in pompa magna, lo vedeva regolarmente disertare. Di solito dopo brevissimo tempo, presentando l'ennesima e perentoria dimissione. Più di cento, dice appunto l'aneddotica, date nel corso della sua vita lavorativa. Quasi sempre contraddistinte da quella formidabile dinamica delle opposte energie che ha retto tutta l'architettura della sua traversata, e non solo professionale. 

Comunque, alla spinta espulsiva che, sancita al suo acme dalle dimissioni, lo estrometteva da un determinato contesto lavorativo, rispondeva quasi sempre un vortice di segno opposto, dunque attrattivo, con cui veniva irresistibilmente catturato e quindi insediato in una collocazione pressoché speculare a quella che aveva appena lasciato. 

Il ping-pong che lo ha visto più volte rimbalzare con incarichi diversi e testate e progetti di due giganti di allora, come Rizzoli e Mondadori, sarebbe stato degno di figurare negli studi di fisica della complessità con cui il Nobel Parisi ha analizzato le saettanti evoluzioni serotine, sui cieli di Roma, degli stormi di storni in cerca di un luogo dove rifugiarsi. 

Forse si potrebbe addirittura creare un "album delle dimissioni di OdB", dove raccogliere il sincopato succedersi delle fughe e dei ritorni che scandiscono i suoi movimenti sulla scacchiera non solo lavorativa, ma della vita. 

Si dovrebbe iniziare infatti da quelle prime dimissioni comunicate, ad ogni cambio gioco, alla direttrice dell'asilo montessoriano, il primo in assoluto, creato a Roma e che lo vide tra i più giovani frequentatori. Senza dimenticare ovviamente quella che aveva cercato invano di presentare al comandante del campo di Gerlospass, in Tirolo, dov'era internato con altri militari italiani. Prima di tentare una fuga che lo porterà per sbaglio a rifugiarsi in un altro lager.

Vicenda questa che sembra illustrare alla perfezione il dispiegarsi della topologia assai particolare che governa non solo le vicende della vita di Oreste del Buono ma anche la visione che regge il suo esserci nel mondo. Visione che si ritrova, seppur declinata con alcune variazioni, tanto nella concretezza della sua vita quanto in ogni sua narrazione. 

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Poiché, in effetti, il suo esserci, nella vita, è uno starci che, consapevole che ciascuno di noi è simultaneamente centro e periferia del proprio abitare al mondo, prende continuamente le distanze. Da se stesso. Ovvero dal protagonista che calca la scena. 

E questo fa, delle pagine dei suoi romanzi, le quinte dietro le quali si ripara. Il rifugio dal quale osserva con occhio sconcertato ed estraneo se stesso. Commenta ogni proprio gesto e scelta e passo con implacabile verità. 

Nel ripresentare negli anni Settanta La parte difficile, il romanzo che già nel titolo riassume il ruolo con cui l'autore sta nel mondo e che OdB scrive nel giugno del 1945, appena giunto a Milano dall'internamento militare, Giuliano Gramigna scrive che in quella prima prova vi si ritrova "quella scissione e quello sdoppiamento dei contorni di figure e di eventi, che diventerà macroscopico via via che il lavoro narrativo di del Buono si amplierà". 

Da questo punto di vita, tra tutto quanto OdB andrà scrivendo nel corso degli anni (e che viene raccolto nell'Antimeridiano – in due tomi – che gli viene dedicato), non si può non sentire la profonda forza e la tensione della polarizzazione tra centro e periferia di se stesso, che connotano proprio le sue due prime prove. Vale a dire Racconto d'inverno e La parte difficile

È una focalizzazione che percorre un altro suo libro come La debolezza dello scrivere, edito da Marsilio nel 1987. Come spiega il titolo lì si parla del tema che sta sempre al centro della scrittura di OdB, vale a dire – scrive Cesare De Michelis in una nota editoriale – "il divario incolmabile che separa la letteratura dalla realtà, le aspirazioni del testimone e le ambizioni dello scrittore". 

Una riflessione dunque che investe, anche se non viene detto in modo esplicito, ogni scrittura, ogni narrazione che intende fare i conti con il mondo reale e dunque cerca di misurarsi con l'accadere delle cose che si presentano sotto i nostri occhi. Un accadere che ben sappiamo quanto oggi venga deformato in narrazioni dove ogni pretesa di veridicità dei fatti è piegata a spettacolarizzazioni fuorvianti e inquinanti a cui attingono, senza potersene difendere, grandi masse di cittadini.

Non che gli anni degli esordi narrativi di OdB, all'indomani della Liberazione, fossero da questo punto di vita tutte rose e fiori. Al contrario. Ma da questo punto di vista OdB non fa sconti né a se stesso né alla generazione di scrittori che approda alla narrativa sotto l'ombrello del neorealismo. 

Spiega OdB in La debolezza di scrivere: "Il neorealismo, quello mio e quello di tutti gli altri miei coetanei e contemporanei nasce dall'equivoco di confondere vita e letteratura. Un equivoco immediatamente presente dal quale non si esce: impossibile parlare d'altro, allora come oggi, e ancora più impossibile non tradire continuamente la verità".

Nonostante la consapevolezza di questo rischio l'impegno alla veridicità, preso con se stesso, attraversa in filigrana tutte le opere di OdB che, affrontate una dopo l'altra, a ritroso, sembrano costituire non una successione di narrazioni diverse ma l'affiancarsi dei capitoli di un unico romanzo che ha il suo sigillo conclusivo già nelle sue mosse iniziali. In quel ritorno – nella narrazione e nella realtà – di OdB dal lager dove era internato, non a conclusione della guerra ma, paradossalmente, pochi giorni prima della sua fine. 

In quei giorni la tentazione di cambiare le carte in tavola è forte. Sono tempi in cui lo sguardo è attratto dai nuovi eroi, dalla loro epopea e dal racconto che ne fanno. Non a caso un esempio di questo profilo che si offre all'uditorio è Nerio, presenzialista e protagonista mentre, reduce dalla guerra partigiana, racconta le prodezze di cui è costellata la sua epopea da guerrigliero a

un salotto colmo di una folla disparata di ogni età e sesso. Tra quadri e specchi, piani di tavole e tavolini, schienali e braccioli di poltrone, si affollavano vecchi in abiti frusti della festa, ragazzi e ragazze in stazzonate uniformi di fantasia con capelli selvatici, mitra e chitarre.

– Chi c'è? – disse Nerio.

La folla si schiuse a rivelare me a lui e lui a me. Era spampanato su quel divano. Il mento infossato nel fazzoletto rosso, un bicchiere stretto in mano contro la canottiera bianca, i piedi gli sbucavano nudi dai pantaloni verdi. Con la mano libera ricacciò i riccioli della fronte, aguzzò gli occhi, quasi stentasse a identificarmi o addirittura rifiutasse.

– Sono proprio io… – assicurai. 

È l'incontro di due vite che più diverse non potrebbero essere. Nella pagina e, anche, nella realtà. Perché Nerio è Saverio Tutino, il partigiano, poi inviato speciale de "l'Unità", amico di Fidel e corrispondente da Cuba e da sotto altri cieli di lotta. Sempre dando l'impressione di saldare in un tutto unico, omogeneo e coerente, la vita che vive e il racconto che ne fa. A sé e ai lettori. Ovviamente non era così ma, per capirlo sin da quei primi passi iniziali, qualche decennio prima che tutto fosse leggibile e decifrabile, ci voleva qualcosa di misteriosamente profondo e speciale. Di cui OdB era maestro.

Quasi come la capacità di udire nel silenzio voci che altri non riescono a udire. Come quelle che OdB diceva di sentire provenire, nel silenzio della notte della sua grande casa di via Maggiolini, dai frigoriferi. Quelli che pur non più utilizzati insisteva nel tenere accesi in un vecchio corridoio.

Da lì talvolta giungevano, sosteneva, bisbigli e gemiti che lui cercava di trasformare in parole. Durante lunghe ore insonni. Riempite di traduzioni di decine e decine di testi. Di ricognizioni attraverso stralunate trasmissioni televisive nelle quali solo lui sembrava inciampare.

A me, nel sentire questi suoi racconti nella dependance editoriale della Baldini & Castoldi che ci ha visti pressoché dirimpettai per qualche tempo, venivano strane riflessioni. Proprio sulle geometrie che reggono i destini. Sulle topologie che sembrano dettarne gli spartiti. 

Mi pareva ci fosse ad esempio qualche legame misterioso, quasi un procedere di vite opposte e tuttavia simbolicamente parallele, nel fatto che nelle notti di quello stesso signorile palazzo di via Maggiolini nel quale non ho mai messo piede ma che mi pareva di conoscere per quei racconti, si dispiegassero le trame di due narratori paralleli e opposti. Di due narrazioni assai diverse…

Una era quella di OdB che pareva voler misurare col silenzio, e quei bisbigli che lo accompagnavano, la distanza che da sempre avvertiva tra quello che pareva essere il centro e quanto si poneva alla periferia di ogni istante del suo vivere. Una distanza che, lui ne era certo, non era affatto un vuoto. Né una mancanza, ma, al contrario una presenza poderosa e silenziosa. Della quale, come un vecchio monaco nel suo eremo, aspettava di sentire la voce. 

Nell'appartamento sopra quello di OdB abitava un altro tipo di scostante eremita. Ogni mattina usciva di casa, la testa incassata tra il bavero del cappottone blu per ripararsi dalla bruma milanese. A piedi, con qualsiasi tempo, andava nel suo ufficio, appena dietro la Scala, a comporre la narrazione con cui, da decenni ormai, reggeva i fragili equilibri dell'economia del Paese. Assoluta narrazione, anche se fatta di numeri ed esposta in bilanci. Narrazione che lui governava tenendo a siderale distanza chiunque tentasse di interferire in quello che doveva essere uno spazio inaccessibile. Connotato dal segreto, dal silenzio. Di cui lui, Enrico Cuccia, era l'unico officiante. La sera, rientrato a casa, leggeva i mistici. E le parole dei profeti. Da Elia aveva tratto il suo motto: "Non griderà, non alzerà la voce, non la farà udire per le strade...". 

Quel silenzio, così denso, così pieno, in via Maggiolini pareva costituire un tutto unico. Un luogo comune, collocato nel cuore della Milano da raccontare. Una storia di vite parallele. Da affidare ai vivi. Non all'aneddotica lasciata in eredità dai morti. 

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