Amelia Rosselli. Lo spazio sonoro della mente

15 Dicembre 2014

Luca Sossella Editore ha pubblicato recentemente un audiolibro dedicato all’opera di Amelia Rosselli. L’attrice Sonia Bergamasco ha selezionato, insieme all’editore, e interpretato una scelta di testi rosselliani. Il lavoro, realizzato con la collaborazione del Centro manoscritti dell’Università di Pavia diretto da Maria Antonietta Grignani, è stato curato da Paolo Gervasi, dal cui saggio introduttivo si pubblica qui un estratto.

 

Il Cervello ha giusto il peso di Dio –

Perché – dividili – Libbra per Libbra –

Differiranno – se lo fanno –

Come la Sillaba dal Suono –

Dickinson-Rosselli

 

 

Ascoltare la poesia di Amelia Rosselli, accedere acusticamente al flusso delle sue parole dette, anziché percorrere silenziosamente i segni neri stampati sul foglio bianco, comporta il non trascurabile vantaggio di incontrare i versi in una dimensione mentale separata, parallela. Chi ascolta viene sbalzato fuori dallo spazio culturale, privato delle coordinate intellettuali che solitamente guidano la comprensione della “letteratura”. Il luogo nel quale la poesia di Rosselli accade annulla le mediazioni, cancella le cartografie, eccede le griglie della critica, elude le genealogie e le affiliazioni imperfette della storia letteraria. Disattiva gli strumenti concettuali, le categorie, le etichette: la sperimentazione formale, il plurilinguismo, il pluriculturalismo, il conflittuale avanguardismo, cessano di essere nozioni, e diventano una conoscenza in atto. Lo spazio sonoro della poesia di Rosselli contiene tutto ciò che della poesia si sa, ma lo disattiva in quanto scudo, ostacolo, barriera, pre-giudizio che tiene a distanza l’esperienza della poesia. La biografia, con tutte le tensioni che aggiunge alla poesia, la differenza di genere, il disagio psichico trasfigurato nel mito della follia (della manía), l’orfanità, il nomadismo, la perdita, il dolore pubblico e privato, è dentro l’emisssione della voce, ma smette di essere una via d’accesso obbligata, un’introduzione. La Storia, il male del mondo, il fascismo, la guerra, l’esilio, la resistenza, la politica: tutto vibra dentro l’esecuzione, senza precederla. Non la determina, e non la esaurisce.

Lo spazio sonoro della poesia di Amelia Rosselli non è soltanto il luogo ibrido, contemporaneamente interno ed esterno, dell’ascolto: è una geografia della mente, e costringe chi ascolta in un respiro, in un ritmo, imprime al pensiero di chi ascolta una forma che vanifica le costruzioni intellettuali, per immettere in una configurazione di significati misteriosa e incongrua.

 

Amelia Rosselli, traccia audio (lettura di Sonia Bergamasco)

 

Dire, vocalizzare la poesia di Rosselli, significa restituirle il corpo sonoro dal quale nasce, nel quale è incarnata, e che la scrittura traspone in segni solo apparentemente astratti. La poesia è una strategia conoscitiva incorporata, nasce come estroflessione dell’apparato fonatorio, e utilizza delle parole, scrive Rosselli, “non soltanto il loro aspetto grafico ma anche movimenti muscolari e ‘forme’ mentali.” La poesia è originariamente orale: nella sua evoluzione scritta la corporeità della dizione si ritira in una dimensione ideale, si virtualizza. La parola non ha più un suono ma “risuona soltanto come idea nella mente”, e la frase “anche poetica è solo senso logico o associativo, percepito con l’aiuto di una sottile sensibilità grafica e spaziale (spazi e forme sono silenzi e punti referenziali della mente).” Gli spazi metrici praticati, enunciati e descritti da Rosselli aderiscono alla forma stessa della sostanza psichica, e le strutture linguistiche si articolano traducendo il flusso dell’emissione vocale: “il / fiato è una strategia per confondersi nel linguaggio”, si legge in Serie Ospedaliera. Il fiato, riattualizzando l’oralità latente, si mimetizza nel linguaggio: la scansione del respiro è già una grammatica.

 

 

Nello scrivere di Rosselli la dinamica tra controllo e abbandono, tra sorveglianza e automatismo, tra l’emergenza del lapsus e la sua assunzione consapevole, risponde a una sorta di pianificazione inconscia, a un’organizzazione che precede la concettualizzazione. “Le redini / si staccano se non mi attengo al potere della / razionalità”, si legge ne La libellula, ovvero nel momento aurorale della strutturazione della poesia rosselliana, quando Rosselli sente che per dare forma ai ritmi della cognizione occorre una modalità di concentrazione capace di scivolare sotto la superficie del controllo razionale. Una concentrazione ottusa, come ottuso è il Diario che comincia: “Non so quale nuovo rigore m’abbia portato a voi, case del terreno nero.” L’applicazione del rigore non genera il conforto della comprensione: conduce verso un luogo ignoto. Specularmente, la sola “luce esatta”, la rivelazione finale che chiude il Diario, è quella di una vitalizzante fuoriuscita dal sapere: “si convinse d’aver trovato la sua dimensione vitale: il non sapere, il non vedere, il non capire.”

 

La critica ha insistito molto sulla corporeità della poesia rosselliana: per Mengaldo “Rosselli sente e lascia agire la lingua, letteralmente, in quanto corpo, organismo biologico, le cui cellule proliferano incontrollatamente in una vitalità riproduttiva che, come nella crescita tumorale, diviene patogena e mortale.” L’intuizione è decisiva, a patto però di attenuare la componente patogena, e di concepire questa fisicità come la stilizzazione di una biologia della cognizione, come una rappresentazione del superamento del dualismo corpo/mente, verso la ricomposizione di un continuum nel quale i concetti sono l’eco mentale del suono dell’organismo, proprio come la parola scritta, secondo Rosselli, diventa eco mentale della parola originaria, originariamente sonora.

Il neurologo Antonio Damasio ha ricordato suggestivamente che la parola greca che definisce la mente, psyche, era utilizzata anche per nominare il respiro e il flusso del sangue. In questa permeabilità semantica si cela forse un’intuizione arcaica del fondamento biologico della cognizione, del radicamento corporeo dei processi mentali. La coscienza del sé comincia con il controllo cerebrale dei flussi sanguigni e del ritmo del respiro, e a partire da quel controllo si delineano i confini di un corpo, e la storia delle sue relazioni col mondo. “Io sono una che sperimenta con la vita”, dice Rosselli: e la vita è la metrica del bios.

 

La poesia di Rosselli, ha scritto Zanzotto, comincia prima: “dove pullula ciò che si coagulerà, sempre riluttando, in un fatto di parole.” Il suo sperimentalismo non è volontaristico, “perché lo stesso respirare-sopravvivere della persona, del soma da cui viene questo dire è un ininterrotto, aspro tentativo, è sperimentazione.” La continuità tra il bios e il logos si imprime in un distico di Documento: “Ogni giorno della sua inesplicabile esistenza / parole mute in fila.”

 

Il corpo della poesia per Rosselli non è il luogo cieco e informe delle viscere, come vorrebbero alcune interpretazioni creaturali, non l’inconscio tiranneggiato da impulsi oscuri: “in tanta presa di buio fisico e corporeo”, avverte Zanzotto, “c’è un massimo di coscienza, tanto più lucida, esaustiva, avanzante, quanto meno capace di estrinsecarsi in distensive volute di giustificazione.” Se, come ha scritto Mengaldo, la poesia di Rosselli può essere descritta come la conseguenza di un “abbandono al flusso buio e labirintico della vita psichica e dell’immaginario”, è necessario precisare che il labirinto è una mappa della psiche che la scrittura conosce, e il flusso è scandito dai ritmi esatti della metrica biologica.

 

Amelia Rosselli, traccia audio (lettura di Sonia Bergamasco)

 

Il corpo è il luogo in cui comincia la cognizione del mondo, il luogo in cui prende forma un pensiero che non si struttura secondo le leggi della razionalità classica, ma si modella sul ritmo sincopato e spezzato, sempre minacciato dall’arresto e dall’interruzione, della psyche: “il pensiero non c’entra!”, grida la poetessa in Serie Ospedaliera, la concettualizzazione è solo la pretesa impossibile di organizzare un succedersi di aritmie: “il pensiero coalizzato non è per me che / una coagulazione collisione di infarti su della testa parrocchiale”.

 

La poesia di Rosselli per Fortini conserva il “ricordo di una origine e di una finalità, come le figure umane nelle tele di Francis Bacon”. Nella pittura stratigrafica di Bacon c’è l’intuizione di una struttura profonda dell’umano, di una sua sostanza che risiede al di là della rappresentazione umanistica del corpo. La stessa struttura profonda, la stessa forma ricomposta al di là delle forme, spazio metrico assoluto e lingua universale, è nella ricerca di Amelia Rosselli. Continuamente minacciata e sabotata dal fatto che “la realtà è così pesante che la mano si stanca, e nessuna forma la può contenere.” Ma dove la mano cede e si ferma, la poesia, rimessa in forma dalla voce, ricomincia: “La memoria corre allora alle più fantastiche imprese (spazi versi rime tempi).”

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