La Model: memoria necessaria / Barcellona. La chiusura del carcere

12 Luglio 2017

Barcellona, Lunedí 3 Luglio 2017, ore 10.00

Fa caldo, ma La Model è così alta che riusciamo a trovare dei tagli d'ombra dove ripararci e respirare. 

È il primo turno di visita per il pubblico, il primo in assoluto in 113 anni di vita. 

Siamo in 15 e tra 15 minuti ne entreranno altri 15 e avanti così fino a novembre, quando La Model, il centro penitenziario di Barcellona, verrà chiusa per l'impossibilità economica di restaurarla e riconvertirla.

Per il momento sono 30.000 le persone che come noi hanno prenotato il loro turno per entrare nel carcere di Barcellona e visitare la mostra "La Model ci parla", curata da Ignasi Cristiá.

 

 

Decidere di chiudere La Model è stato un processo lungo voluto da Ada Colau che il 2 settembre dello scorso anno ha fatto pressione sul governo catalano ottenendo 123 voti a favore della chiusura e 9 astensioni. Mentre le porte del carcere si aprono alla cittadinanza, il Parlamento catalano dichiara nulli i giudizi di colpevolezza emessi dai consigli di guerra franchisti di 63961 persone. Alcune passarono molti anni in prigione per essere in seguito stigmatizzate ed emarginate e 3358 ebbero un destino decisamente peggiore: vennero giustiziate. 

I nomi di queste persone, vittime della spietata repressione franchista, sono finalmente pubblici e si possono consultare online, dopo l'approvazione di una legge pioniera in Spagna, a favore della riparazione dell'errore giudiziario delle vittime del franchismo. 

È un grande passo, perché dopo 40 anni di democrazia decine di migliaia di cittadini recuperano finalmente l'innocenza. 

 

 

Nel cortile interno de La Model, tutto è fermo. 

L'orologio sulla torre è rotto.

Il pavimento è crepato.

Ad alzare gli occhi si vede una gran bella fetta di cielo prepotentemente azzurro, ma l'aria non scorre. Ci invitano a sistemarci davanti a una spessa porta di ferro che qualcuno deve avere ordinato di aprire, ad un certo punto, perché giusto ora sta scorrendo in senso laterale per lasciar intravedere un nuovo cancello, con sbarre color crema. 

Non si aprirà finché la porta alle nostre spalle non sarà completamente chiusa. Una voce registrata ci prega di rispettare in ogni momento la memoria dello spazio che stiamo per visitare. Stiamo per superare i tre varchi che ci separano dal cuore de La Model: il panottico circolare con il suo centro di controllo esagonale. Era esattamente questa la galleria che percorrevano i prigionieri entrando in carcere. 

 

 

Le sei gallerie che si stirano verso l'esterno come le punte di una stella o i tentacoli di un polipo, sono da oggi tutte visitabili, così come il cortile – dove i prigionieri godevano dell'ora d'aria – e tutti gli altri pochi spazi di vita in comune. Quando La Model venne costruita, l'area all'esterno delle mura era interamente costituita da campi. Con il tempo la città s'è inghiottita il carcere e prigionieri e vicini del quartiere – affacciati ai balconi a stendere panni, fumarsi una sigaretta o vedere il tempo che fa – hanno potuto per molti anni guardarsi negli occhi.

 

 

I parlatori – l'unico link attivo con il mondo esterno – sono stati lasciati esattamente così com'erano. Non c'è stato il tempo di togliere i cartelli, gli avvisi, le piccole regole per i parenti in visita. Sono passati solo 30 giorni da quando Carlos, l'ultimo prigioniero, ha lasciato la cella 530 per essere trasferito in un'altra struttura (della quale può solo parlar male), ma fino a trenta giorni fa questi muri stavano ancora assolvendo al proprio dovere: assorbire pianti, risa, confessioni, menzogne, verità e silenzi.

Ancora si sente l'odore di tutta questa vita.

 

 

Nella memoria collettiva La Model è inevitabilmente associata alla repressione della dittatura franchista. Durante la guerra civile, tra il 1936 e il 1939, ha accolto tra i suoi tentacoli fino a 13.000 persone di età media compresa tra 14 e i 18 anni. Il 2 marzo 1974, mentre in Italia Ugo La Malfa faceva saltare il IV governo Rumor (il ventinovesimo della Repubblica Italiana), La Model si preparava a praticare l'ultima pena di morte mediante il metodo della garrota su un ragazzo di nome Salvador Puich Antich. 

Era un anarchico. 

Aveva 26 anni.

La sua è una delle 13 vite omaggiate nella Galleria 5 della prigione. 

 

Le celle sono state aperte e riconvertite in spazi espositivi nei quali il tempo scorre in senso contrario. Si parte dal 1904, anno in cui la prigione venne inaugurata, e si arriva fino al 1984. Fuori da ogni cella sono stati montati dei pannelli nei quali si ricordano brevemente le vite di personaggi emblematici de La Model (politici, sindacalisti, attivisti, sacerdoti, sindaci) tra le quali anche quella di A.R., alias La Gilda, un cameriere di 24 anni imprigionato nel 1955 per il fatto di essere omosessuale. L'omosessualità era condannata all'epoca, non solo dalla Chiesa e dal regime franchista, ma anche dalle correnti di pensiero predominanti che la consideravano un disturbo psichico. Nel 1975 ne La Model erano rinchiusi 30 transessuali, reclusi in una galleria a parte e totalmente impossibilitati ad avere contatti con gli altri carcerati. 

 

 

La cella numero 7 ricorda invece la storia di Helios Gómez Rodriguez, di famiglia gitana, nato a Siviglia nel 1905 e morto a Barcellona nel 1956. Un altro anarchico, antifranchista, esiliato durante la dittatura di Primo de Rivera e durante la Seconda Repubblica. Nel 1936 fondò il Sindacato degli Illustratori Professionisti Catalani, che fomentava la creazione di cartelli con temi rivoluzionari. Viene catturato e portato a La Model nel 1945; viene rilasciato un anno più tardi e internato di nuovo tra il 1948 e il 1954. Una mattina del 1950 entrò nella sua cella Bienvenido Lahoz, un uomo dalla forma fisica piuttosto squadrata, con il naso grande, la bocca stretta – quasi sempre condita da un accenno di sorriso – e lo sguardo insolitamente vivace, per essere un uomo di chiesa. 

Era il sacerdote del penitenziario. 

 

Si presentò davanti all'anarchico con un progetto ben preciso in mente: voleva che adornasse con uno dei suoi dipinti una delle celle, in modo da trasformarla in una specie di cappella di preghiera. Come soggetto – disse – aveva pensato alla Vergine della Mercé, protettrice dei prigionieri e patrona di Barcellona e dato che l'anarchico Helios Gómez era così bravo con i pennelli, perché non affidare il compito di dipingerla proprio a lui? Helios venne trasferito nella cella numero 1 della 4a galleria de La Model, al primo piano, per vari giorni, dove lavorò instancabilmente alla meticolosa interpretazione del desiderio del sacerdote. 

Quando ne uscì – questa volta anche lui mezzo sorridendo – lo fece per dare le spalle alla più rappresentativa delle sue opere, in seguito ribattezzata La Cappella Gitana. La Vergine appare nell'affresco di Gómez come una splendida donna dai tratti gitani, con il capo semicoperto da un velo bianco che lascia intravedere una folta chioma castana. 

 

In braccio sorregge un bambino in carne che stringe tra le dita una girandola azzurra e ai suoi piedi la adorano un gruppo di diversi uomini, anch'essi tutti evidentemente gitani. Dal 1998 l'affresco è coperto da uno strato di pittura bianca per "ragioni di igiene", su ordine dell'allora consigliera di giustizia Nuria de Gispert e da quel giorno il figlio di Helios si sta battendo affinché l'affresco possa essere salvato come opera d'arte simbolo della lotta di suo padre contro la repressione del popolo gitano perpetuata dal regime franchista. 

 

 

Dal 9 Giugno 1904 le celle de La Model hanno vissuto gli episodi più duri della storia della città e del Paese che sono stati spesso preludio di cambiamenti e trasformazioni sociali: dalla monarchia borbonica di Alfonso XIII, alla dittatura di Primo de Rivera, passando per la Seconda Repubblica, la Guerra Civile, la Dittatura di Franco, il periodo della Transizione e la Democrazia. 

In questo contesto, mentre i turisti sgambettano per correre a tuffarsi in mare, l'esperienza di entrare ne La Model per quelli che vivono o semplicemente transitano in questa città dovrebbe diventare un atto di memoria dovuta e necessaria.

Tutte le fotografie sono di Sara Beltrame
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