Benasayag: Chat GPT non pensa

15 Maggio 2024

Miguel Benasayag, filosofo e psicoanalista di origine argentina che vive e opera a Parigi da decenni, in questo libro, Chat GPT non pensa (e il cervello neppure)(Jaca Book, 2024, pp. 153) dialoga con il suo amico Ariel Pennisi, filosofo argentino che svolge una funzione di contrappunto virtuoso nell’affrontare il tema, caro a entrambi, della perdita di esistenza e di realtà provocata da una tecnologia che alimenta la predominanza del funzionamento e l’illusione che tutto sia possibile.

Il libro presenta punti di somiglianza con quello di Gerd Gigerenzer Perché l’intelligenza umana batte ancora gli algoritmi (Raffaello Cortina, 2023) laddove sfata il mito che si possa trovare il vero amore sul web, o quando mette in discussione la predominanza delle macchine che possono sì essere utili ma solo in un mondo stabile e per certo non in quello in continua trasformazione in cui viviamo, ma è molto più radicale perché, facendo riferimento al suo libro fondativo La singolarità del vivente (Jaca Book, 2021), rileva che il cervello umano non pensa in quanto la realtà consiste di meccanismi dinamici e complessi a cui partecipa l’insieme degli organismi e dei loro ecosistemi. Ed è in linea con il libro di Umberto Galimberti (molto amico di Miguel) Il corpo (Feltrinelli, 1983, 2021) nel mettere in discussione l’immagine antropocentrica, cartesiana e binaria del cervello. Noi siamo essenzialmente il nostro corpo, e una descrizione astratta e rigida della realtà che ne prescinda, e prescinda dai contesti in cui si verifica, è illusoria e ingannevole.

Mentre le macchine e ovviamente ChatGPT sono soggetti alla densità statistica, i corpi sono catturati da desideri, sofferenze e segni che agli algoritmi sono preclusi proprio perché, nonostante la loro incommensurabile potenza di calcolo, non pensano e non sentono. Gigerenzer notava che il campione mondiale di scacchi era stato stracciato da una macchina, ma sottolineava che una macchina non è in grado di disporre i pezzi sulla scacchiera e a rigore non sa neppure di star giocando a scacchi, può solo eseguire calcoli molto più in fretta di qualunque essere umano. Il mondo degli algoritmi è un mondo di pura legalità che non ammette scarti, deviazioni, interpretazioni, un mondo in cui non c’è posto per le astuzie, un mondo di muri insuperabili: “E quando magari è la legge stessa a produrre un’aberrazione, come nel caso dei nazisti… i giapponesi riuscirono ad adattarvisi mentre gli italiani, per quanto vi si sforzassero, no”.

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È a partire dall’attrito che le discontinuità di funzionamento possono diventare forme concrete di conoscenza, sensazioni, senso, mentre in un mondo basato su regole fisse e inalterabili non lasciano lo spazio a quel che è specificamente umano. La macchina opera attraverso l’accumulazione e il funzionamento, ma l’informazione non produce mai una sensazione. “Per questo affermiamo che tra i fenomeni del vivente non vi è traduzione, bensì trasduzione. La trasduzione è una relazione di attrito e di affezione, non di traduzione e codifica”. Senza contare che gli organismi operano anche in modo stocastico: lo stimolo cade dove cade e gli organismi hanno quindi una variabilità aleatoria al di là della loro stabilità relativa.

L’intelligenza artificiale per certi aspetti ricorda il pensiero coloniale, poiché tutto quel che esorbita dal modus vivendi del colonizzatore resta privo di valore, inconcepibile, inaccettabile. Un conto è riconoscere che il multiculturalismo o è “boutique”, vale a dire attento esclusivamente agli aspetti più superficiali e esotici, o non può essere perché il multiculturalismo radicale ammetterebbe anche il cannibalismo. Ma il settimo della popolazione mondiale rappresentato dall’Occidente svaluta sistematicamente quel che avviene al di fuori di esso, benché spesso quel che riteniamo corretto sia semplicemente disumano. Michel Houellebecq, in La possibilità di un’isola, descriveva “gli anziani che o si suicidano per la prostrazione o vengono lasciati morire nelle corsie degli ospedali, agonizzanti, coperti soltanto dai pannoloni, privati finanche dell’acqua mentre i familiari si rifiutano di venire a vederli e ad assisterli: ‘Scene indegne di un paese moderno’, scriveva il giornalista senza rendersi conto che esse erano la prova, per l’appunto, che la Francia stava diventando un paese moderno, che solo un paese autenticamente moderno era capace di trattare i vecchi come meri rifiuti, e che un simile disprezzo sarebbe stato inconcepibile in Africa o in un paese tradizionale dell’Asia” (La possibilità di un’isola, Bompiani 2005, p. 78). Con il trionfo del funzionamento sull’esistenza sono solo le persone che ne difettano a essere considerate superflue e degne della discarica.

Quel che è precluso a ChatGPT sono le situazioni di frontiera, come il fatto che dopo aver esaurito il potenziale dell’arte figurativa con l’impressionismo nel 1900 si delineino altre vie come il cubismo o, da qualche tempo, le installazioni. ChatGPT non è in grado di collocarsi sulla frontiera perché è sempre alla ricerca della configurazione ottimale. “Per la macchina è lo stesso ascoltare rock oggi e Vivaldi domani… Per noi, perfino se oggi ascoltiamo dal vivo i Rolling Stones suonare Brown Sugar, quelli non sono più gli Stones, è come se fossero i Rolling Stones, perché il contesto e il mondo si sono trasformati, e a livello di appercezione questo conta”.

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È singolare che gli algoritmi bandiscano il negativo e finiscano per trattare la sofferenza come informazione o addirittura come una forma di errore: l’attrito, la resistenza non hanno diritto di cittadinanza nel mondo delle macchine. Manca del tutto lo spazio per ciò che non sia quantificabile. Così, se si chiede a ChatGPT di scrivere un articolo di due pagine su Paul Auster le scriverà ma la sua ricerca sarà solo quantitativa, riguarderà ciò che statisticamente ha a che fare con Auster, aggregando un’informazione dopo l’altra, stabilendo correlazioni in base a una logica aggregativa. Le ipotesi, per ChatGPT, in realtà sono solo ricombinazioni.

Sting, in un’intervista con la BBC, disse che la tecnologia può essere utile per fare musica, ma che l’intelligenza artificiale può andare bene per la musica più standardizzata ma non può sostituire l’elemento umano nella composizione di canzoni o di opere che esprimono emozioni. Il punto è che “l’indiscutibile abilità della macchina, la sua creatività combinatoria e la sua rapidità di risposta producono un luogo comune dopo l’altro”. Pensare è, in un certo senso, non sapere dove si andrà a parare, e questo non sapere quale sarà la meta è sì intrinsecamente inefficiente ma radicalmente vitale. La scuola delle competenze, su cui ha scritto un libro magistrale la compagna di Miguel Angélique Del Rey (Á l’école des competences. De l’éducation à la fabrique de l’élève performant, La Découverte 2010), è basata sull’informazione e svaluta l’intuizione. E l’intuizione è ciò che permette l’emergere di una forma da un’informazione minima, sebbene questa forma abbia tratti imprecisi. Come hanno scritto sia Ágnes Heller sia Umberto Galimberti, apprendere saperi non immediatamente utilizzabili come il greco, il latino e la filosofia, consente un’apertura sul proprio desiderio che scaturirà proprio grazie a queste informazioni scarse ma intensive.

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Il fatto che il robot non possa soffrire, che faccia tabula rasa di qualunque negatività, è legato proprio all’assenza di corpo, e in questo periodo pesantemente segnato dall’algofobia (si veda il libro di Byung-Chul Han La società senza dolore, Einaudi 2021, ma anche altri suoi lavori), in cui si tende a rifugiarsi in una comfort zone che trova il suo apogeo nei social media, dove ciascuno è re e può accettare o cancellare chicchessia, si limano le asperità, si finge che non esistano attriti, finché la vita reale irrimediabilmente fa irruzione e il risultato è l’aumento esponenziale dei disturbi psichici.

Il reale, che si può anche definire “idiota” perché non si riesce mai a dire, è esemplificato dalla scena di Don Chisciotte in cui il protagonista sbarra la strada ad alcuni mercanti e li informa che se vogliono passare dovranno dichiarare che Dulcinea è la donna più bella del mondo. Ma i mercanti seguono la strada della densità statistica: poiché non conoscono tutte le donne del mondo non possono rispondere affermativamente. Ragionano in termini quantitativi, mentre per Don Chisciotte la questione è squisitamente qualitativa, in linea con la descrizione che Montaigne fa della sua amicizia con Étienne de la Boétie: “Se mi si chiede di dire perché l’amavo, sento che questo non si può esprimere che rispondendo: ‘Perché era lui; perché ero io’”. C’è un rimedio alla deriva algoritmica? Riprendendo il titolo del suo libro precedente L’epoca dell’intranquillità. Lettera alle nuove generazioni (Vita e Pensiero, 2023), Miguel scrive: “La sfida che dobbiamo affrontare è quella di trasformare l’insicurezza in una ‘intranquillità’ che ci strappi alla passività della sensazione di insicurezza e ci permetta di cogliere ciò che sta accadendo e di assumerne la complessità senza cadere in una nuova promessa di sicurezza, che è sempre fascistizzante o tirannica”. E aggiunge che “soltanto nuove costruzioni, per esempio l’organizzazione delle donne e le loro lotte possono modificare la situazione, ma non lo fanno sulla base di informazioni, a volte nemmeno facendo capire qualcosa a qualcuno, ma attraverso lo scontro”.

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