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Coccoina, Pelikan, Zenith 458 / Cartoleria: scrivere con carta e matita

5 Giugno 2017

 

Se sniffate un barattolo di Coccoina e il profumo di mandorla vi sommerge di ricordi – cannucce e pennini, calamai, carta assorbente, quaderni con la tavola pitagorica, temperamatite – allora siete pronti a entrare nel club. La passione per la cartoleria sta diventando un fenomeno mondiale, si aprono negozi nelle grandi città, da New York a Londra a Parigi a Berlino a Tokyo a Milano, dove gli appassionati possono perdere la testa. E non si tratta solo di nostalgia o di collezionismo. È che molti, e perfino giovani della generazione biro, cominciano a pensare che le mani non servono solo a digitare su whatsapp o a pestare su una tastiera. Scrivere davvero vuol dire prendere in mano una penna o una matita, scegliere un taccuino o una carta da lettere, esercitare la calligrafia. È una passione che si alimenta di oggetti leggendari, di ricordi d'infanzia ma anche di novità, di storie e di piccole manie.

 

Prendiamo le matite. Oggetti genialmente semplici, di uso ordinario un tempo e oggi quasi dimenticati. Se non lo fate da quando eravate bambini, provate a scrivere con una matita: una meraviglia. La pensava così John Steinbeck, che un giorno trovò qual era la matita fatta per lui: “Ho scoperto un nuovo tipo di matita, la migliore che io abbia mai avuto. Si chiamano Blackwing, e davvero planano sulla carta”. Era la Blacwing 602, creata nel 1934 da Eberhard Faber, che è considerata la matita migliore mai prodotta. La fanno ancora: dopo vari passaggi, una azienda californiana ha acquisito il marchio, che ora è Palomino Blackwing. A Steinbeck hanno dedicato il modello 24, perché lo scrittore aveva un rito: ogni mattina, prima di cominciare a scrivere, metteva davanti a sé sul tavolo una scatola con 24 Blackwing perfettamente temperate, e appena una perdeva la punta la spostava in un'altra scatola e ne prendeva una nuova. Finite le 24, le temperava e ricominciava. La Valle dell'Eden è stato scritto così. Ma quella matita è stata usata anche da Chuck Jones per disegnare Bugs Bunny, da Duke Ellington per comporre musica, da Truman Capote e da Eugene O'Neill. Compare in molti film di Hollywood, con la inconfondibile testa piatta di metallo che contiene la gomma per cancellare.

 

Ecco, la nuova passione per la cartoleria si alimenta anche di una sua epica. A Milano il posto dove bisogna andare è la Fratelli Bonvini, in una traversa di corso Lodi. Una cartoleria-tipografia aperta nel 1909, che tre anni fa è stata acquistata da sei soci, amici accomunati da questa mania: l'hanno lasciata intatta nell'arredamento, e anche la tipografia con una vecchia pedalina e una Heidelberg funziona ancora. È l'unico negozio italiano citato nel volume “Stationery Fever”, storia della cartoleria e dei suoi oggetti di culto, e rassegna delle botteghe imperdibili in tutto il mondo. Una recensione del negozio è uscita sull'ultimo numero di "Monocle", rivista internazionale di tendenza. “Capita adesso che arrivino clienti stranieri – racconta Edoardo Fonti, il gestore. – Gli ultimi erano designer di Bangkok: una guida thailandese ci mette fra i dieci posti di Milano da visitare.

 

Ph Leo Torri.


E lo stesso ha fatto Canon, con cui abbiamo collaborato, in una brochure spedita a tutte le filiali nel mondo: qui siamo citati fra i sei posti da visitare”.

Una sorta di nuovo feticismo internazionale, che tiene insieme vecchi nostalgici, giovani designer, gente dello spettacolo e della moda, Linus e Paul Smith, o la Gucci che da Bonvini organizza due giorni di workshop con venti manager, per capire come si lavora su un brand. Il comparto della cartoleria è in espansione nel mondo: si prevede che nel 2020 il fatturato globale supererà i 200 miliardi di euro. Le fiere internazionali più importanti sono il London Stationery Show di fine aprile e il Paperworld di Francoforte, concluso da poco e che l'anno prossimo si allarga al Medio Oriente con una edizione a Dubai. La cartoleria italiana, molto quotata nel segmento di qualità, ha un'ottima reputazione. Il numero delle botteghe tradizionali diminuisce, ma aumenta quello degli store per collezionisti e appassionati. Le ricerche qualitative e motivazionali confermano che il ritorno alla carta ha un suo perché: aumenta l'ordine mentale nella programmazione nella scrittura, e stimola la "mindfulness", la consapevolezza. La storia, il mito di un oggetto e di un marchio sono gran parte del fenomeno.

 

Quindi da Bonvini trovate matite d'epoca come le Presbitero, anche quelle rossoblu da maestra, le Nirvana naziste, le Lyra Orlov cecoslovacche, le Koh-I-Noor, le Faber-Castell, le Caran d'Ache, le Dixon Ticonderoga, le Venus e le Templar, quelle da stenografia appuntite alle due estremità per non fare pause, quelle copiative. E il capitolo temperamatite non è meno fascinoso. 

Per esempio, la Rolls Royce dei temperamatite da tavolo è lo spagnolo El Casco, oro e cuoio, costa 400 euro. Ma ce ne sono in ottone, in plastica, a uno o due buchi, il giapponese Tsunago addirittura a tre. L'americano David Rees ci ha anche scritto un libro, di umorismo sottile e bizzarro, intitolato Come temperare le matite. Parte dalla ginnastica preparatoria (le foto sono molto buffe), elenca minuziosamente le varie tecniche, analizza le proprietà dei diversi strumenti, fino a spiegare – in odio ai temperamatite elettrici – come intrufolarsi nelle case dove ne usano uno per poi distruggerlo a martellate. In coda c'è anche una piccola guida ai vini che meglio si accostano al profumo di grafite e di legno di cedro. 

 

I nostalgici anziani vanno in deliquio soprattutto per penne, inchiostri, quaderni. Chi ha imparato a scrivere sui banchi di scuola dov'era incastrato un calamaio, che il bidello riforniva di inchiostro con una bottiglia dal lungo beccuccio, cerca i pennini prediletti, che fossero i Perry o gli Antonelliana (volgarmente detti anche “campanile”). E quindi le cannucce, prima in legno poi in bachelite poi in plastica. La carta assorbente, in fogli per la scuola o in tampone ovale da ufficio. Gli inchiostri, con le loro boccette di vetro: il Diamante che era sfaccettato, quindi si poteva appoggiare inclinato sul tavolo e diventava un calamaio, il Superstilo Gnocchi. Il Bo-Fim di Torino, il Pelikan. E Pelikan verde e nero erano le prime stilografiche che si usavano a scuola quando cannuccia e pennino vennero abbandonati. Non a cartuccia – non c'erano ancora – ma a pompetta o a stantuffo. Da Bonvini hanno anche le storiche Kaweco tascabili e senza clip, azienda tedesca fondata a Heidelberg nel 1889.

 

La Coccoina, fascinosa colla solida dall'inebriante profumo, si trova ancora. Ma è curioso scoprire che l'azienda produttrice, la Balma, Capoduri & C. di Voghera, è la stessa che ha sempre in catalogo un altro oggetto di culto: la pinzatrice Zenith 458, dal meraviglioso design che le valse un Compasso d'oro. I quaderni scolastici poi sono un capitolo in cui l'Italia non ha rivali nel mondo. Da quelli neri con la costa rossa, e la tavola pitagorica in ultima pagina, che nel ventennio avevano accanto due fasci. A quelli con le righe di prima, di seconda e di terza, che si andavano restringendo col progredire dell' apprendimento. Negli anni Trenta i patronati scolastici distribuivano gratuitamente ai bambini poveri dei quaderni che avevano il nome del bambino stampato in copertina, tanto per non mettere in difficoltà il piccolo. In Italia esiste un Museo del quaderno (virtuale), curato da due appassionati: Enzo Bottura e Tommaso Pollio. Hanno raccolto la bellezza di circa 40 mila copertine di quaderni scolastici, dove c'è di tutto: “monumenti italici”, illustrazioni esotiche, personaggi dei fumetti e dello sport, conquiste scientifiche, fiabe popolari ed episodi eroici. 

 

Ma, nostalgia e collezionismo a parte, c'è una bella fetta dei nuovi appassionati che in cartoleria cerca blocchi per scrivere, notebook. Alcuni modelli hanno fatto la storia, come il “legal notepad” americano, quello a pagine gialle, inventato nel 1884 da Thomas Holley, operaio in una cartiera del Massachusetts, che riciclò della carta di scarto. Negli Usa è un classico senza tempo, usato da romanzieri come Elmore Leonard e perfino da un presidente: nell'agosto 1974 Richard Nixon scrisse su un “legal notepad” il proprio epitaffio: “Fine carriera da combattente”. E che anche un blocco per appunti abbia bisogno di una sua storia lo dimostra l'avventura dei Moleskine, realizzazione tutta italiana intorno a dettagli pratici (finiture perfette, carta di qualità, elastico di chiusura) ma soprattutto intorno alla storia che diceva: il quaderno preferito da Bruce Chatwin.

 

Questo articolo è già apparso su Robinson | «la Repubblica», che ringraziamo.

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