Daniel Kahneman passato e futuro

31 Agosto 2024

Daniel Kahneman si è spento a New York il 27 marzo 2024 all’età di 90 anni. Nel 2002 aveva ricevuto il premio Nobel per l’Economia per “avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d'incertezza”.

Era nato il 5 marzo 1934 a Tel Aviv, mentre la madre era in visita a parenti, proveniente da Parigi ove risiedeva con il marito, capo della ricerca in una grande fabbrica chimica. 

Aveva conseguito la prima laurea con una specializzazione in psicologia e una in matematica, all’Università Ebraica di Gerusalemme, dove la famiglia si era trasferita alla fine della guerra, 

Ancora studente del primo anno, era stato profondamente influenzato dagli scritti di Kurt Lewin e dalle sue mappe dello spazio della vita, in cui la motivazione era rappresentata come un campo di forza che agiva sull'individuo dall'esterno, e dopo 50 anni attingeva ancora agli studi di Lewin, su come indurre cambiamenti nel comportamento, per le sue lezioni agli studenti laureati alla Woodrow Wilson School of Public Affairs di Princeton. 

Un altro autore che ha avuto una influenza fondamentale è stato Paul Meehl che nel 1954 aveva pubblicato Clinical versus statistical prediction, dove dimostrava che la previsione clinica era costantemente inferiore alla previsione attuariale. Quando Kahneman è stato intervistato, dopo l’assegnazione del Premio Nobel, lo ha menzionato come una delle persone che avevano plasmato il suo pensiero. Questa influenza si evidenzia già quando, arruolato nella sezione di Psicologia delle Forze di Difesa Israeliane, e incaricato di partecipare alla valutazione dei candidati per la formazione degli ufficiali, scopre, nella completa mancanza di connessione tra le informazioni statistiche e l'esperienza avvincente dell'intuizione la base del fallimento delle metodologie di valutazione fino ad allora adottate, incontrando la prima illusione cognitiva, che chiama "l'illusione della validità". Strettamente correlata ad essa, individua un altro elemento che falsava le valutazioni nella volontà di fare previsioni estreme sulle loro prestazioni future sulla base di un piccolo campione di comportamento. Sono aspetti controintuitivi che poi svilupperà nei saggi del giudizio e la previsione di molti anni dopo, in particolare l'articolo sulla psicologia della predizione intuitiva che pubblica con Tversky molto più tardi. 

Nel 1958 avviene un’altra esperienza formativa importante. Lavorando a Berkeley, attraversa gli Stati Uniti per trascorrere alcuni mesi alla Austen Riggs Clinic di Stockbridge, nel Massachusetts e studia con lo psicoanalista David Rapaport, con cui aveva fatto amicizia durante una sua visita a Gerusalemme qualche anno prima. Con lui studia il settimo capitolo dell'Interpretazione dei sogni di Freud, ove si delinea un modello di energia mentale a cui attribuirà (lo riconosce nei ringraziamenti) una influenza importante per gli studi che portano nel 1973 alla pubblicazione di "Attenzione e sforzo", che contiene una teoria dell'attenzione come risorsa limitata.

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Attribuisce poi all’esperienza di discussione di un caso clinico di suicidio l’evidenza di un’altra illusione cognitiva, quell’effetto del senno di poi su cui molti anni dopo, Baruch Fischhoff scrisse, sotto la sua supervisione e quella di Amos Tversky, una importante tesi di dottorato.

Tornato a Gerusalemme nel 1961, inizia a insegnare nel dipartimento di psicologia dell'Università Ebraica e continua a imbattersi in bias cognitivi. Racconta che insegnando agli istruttori di volo la maggiore efficacia della lode sulla punizione, di fronte alla loro obiezione che l’elogio per quanto fatto bene porta a peggiorare mentre la punizione per quanto fatta male porta a migliorare, si era reso conto di quanto fosse importante ma controintuitiva la realtà statistica della regressione alla media, per cui siamo statisticamente puniti per aver premiato e premiati per averli puniti. 

Nel 1969 inizia la ricca collaborazione con Amos Tversky, durata per oltre 10 anni, talmente importante che nella sua biografia per il Nobel afferma che il premio è stato assegnato in realtà per il lavoro prodotto durante quel periodo di intensa collaborazione. Il primo articolo comune analizzava il bias che nasce dall’aspetto controintuitivo per cui le persone tendono a sopravvalutare la significatività dei risultati ottenuti da campioni di piccole dimensioni, portando a trarre conclusioni generali o a fare previsioni basate su un numero limitato di osservazioni, quando in realtà devono essere analizzati utilizzando le leggi dei grandi numeri. Dopo avere estratto a sorte l'ordine di paternità di questo articolo, l’ordine dei nomi sugli articoli si è semplicemente alternato nei lavori successivi, a testimoniare che le idee erano una proprietà comune. 

Di fatto con Tverski erano stati pubblicati otto articoli nel periodo 1971-1981, cinque dei quali erano stati citati più di mille volte alla fine del 2002, mentre degli altri 200 lavori separati, solo uno di Tversky del 1977 ed il suo libro sull'attenzione hanno superato quella soglia. 

Dal 1971 al 1972, vengono riviste tre euristiche di giudizio (rappresentatività, disponibilità e ancoraggio) e una dozzina di pregiudizi associati a queste euristiche. Ne nasce un articolo che delinea le scorciatoie di pensiero (euristiche) e i bias cognitivi che, per risparmiare energia cognitiva, alterano in modo strutturale, generalizzato e costante, giudizi e previsioni delle persone. L’articolo venne inviato e pubblicato su Science ritenendo che la questione non fosse solo di interesse per la psicologia, e generando di fatto un’ampia letteratura nelle scienze cognitive, nella filosofia e nella psicologia. 

 Lo scritto è diventato presto, al di là delle intenzioni degli autori, un riferimento standard per attaccare il modello dell'uomo come agente razionale; in realtà la suscettibilità a intuizioni errate da parte di individui intelligenti e sofisticati non voleva essere un attacco alla razionalità dell’essere umano, ma voleva solo dimostrare che (alcuni, non tutti) i giudizi su eventi incerti sono mediati da euristiche, che (a volte, non sempre) producono pregiudizi prevedibili. 

Non si trattava quindi di una visione pessimistica della mente umana e di una dimostrazione dell'irrazionalità umana, proponendo invece l’obiettivo, più limitato, di dimostrare che l'euristica della disponibilità controlla le stime della frequenza anche quando tale euristica porta all'errore, un argomento che non può essere sostenuto quando l'euristica porta a risposte corrette, come spesso accade.

Kahneman nella sua Autobiografia per il Nobel ammette peraltro che non ha sempre chiarito l’esistenza di una complessa interazione tra pensiero intuitivo e riflessivo, che a volte consente giudizi distorti e a volte li ignora o li corregge; così come negli ultimi anni ha potuto osservare che le prestazioni cognitive più qualificate sono intuitive e che molti giudizi complessi condividono la velocità, la sicurezza e l'accuratezza della percezione di routine. Questo ha portato a riesaminare con Frederick, nel 2002, tutta la letteratura sperimentale, concludendo che i problemi si chiariscono se visti nella prospettiva di un modello a doppio processo dove i giudizi possono essere prodotti con un processo intuitivo rapido, associativo e automatico (a volte chiamato Sistema 1), dove è forte il ruolo dei bias nel costruire le euristiche, che consentono di risparmiare energia cognitiva, e un processo più lento, riflessivo governato da regole, deliberato e faticoso (Sistema 2). Da questo nasce il testo di Thinking, Fast and Slow del 2011.

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Dopo la pubblicazione dell’articolo nel 1974, si è dedicato con Tversky allo studio del processo decisionale, un ambito in cui, messa da parte la questione della razionalità, la teoria dominante era centrata sulle preferenze che le persone hanno effettivamente, indipendentemente dalla loro giustificazione.

Una intuizione determinante al riguardo è stata l’avversione alla perdita, dove la risposta emotiva alle perdite è costantemente molto più intensa della risposta ai guadagni corrispondenti, per cui la maggior parte rifiuterà una scommessa in cui potrebbero perdere $ 20, a meno che non vengano offerti più di $ 40 in caso di vincita. L'asimmetria tra guadagni e perdite risolve diversi enigmi, tra cui la distinzione ampiamente nota ed economicamente irrazionale che le persone tracciano tra costi opportunità e perdite "reali". Ne è nata la prospect theory pubblicata su Econometrica e non su una rivista di psicologia perché era la rivista in cui erano stati pubblicati i migliori articoli sul processo decisionale fino a quel momento. La prospect theory mette la parola fine all’illusione di un’economia centrata sul concetto di utilità attesa spiegando di fatto quello che i raffinati modelli economici razionali non erano stati in grado di spiegare.

In quel periodo, insieme con Richard Thaler e Tversky aveva iniziato a lavorare allo studio del framing, effetto che si evidenzia costruendo due versioni equivalenti di un dato problema, che tuttavia producono scelte prevedibilmente diverse. L'esempio standard di un problema di framing, che è stato sviluppato abbastanza presto, è la domanda "vite salvate, vite perse", che offre una scelta tra due programmi di salute pubblica proposti per affrontare un'epidemia. Uno dei problemi riguarda i guadagni e suscita una scelta avversa al rischio; l'altro problema riguarda le perdite e suscita la ricerca del rischio.

L’evidenza diffusa del framing mostrava ancora una volta i limiti fondamentali della mente umana e del suo modello di agente razionale, a cui si affiancava bene l'effetto dotazione, individuato da Thaler, per cui il proprietario di una bottiglia di vino vecchio si rifiutava di venderla a 200 dollari ma non era disposto a pagare 100 dollari per sostituirla se si rompeva. Si tratta di un effetto facilmente spiegabile all’interno della prospect theory

La collaborazione con Thaler permetteva di approfondire altri aspetti di quella che oggi è chiamata “contabilità mentale", che descrive come le persone violino la razionalità non riuscendo a mantenere una visione completa dei risultati. Thaler ha mostrato come le persone segregano le loro decisioni in account separati; quindi, lottano per mantenere ciascuno di questi account in attivo. Uno dei suoi esempi convincenti è stata la coppia che ha attraversato una bufera di neve per andare a una partita di basket perché aveva già pagato i biglietti, anche se sarebbero rimasti a casa se i biglietti fossero stati gratuiti. 

Nel 1982 la collaborazione si era poi estesa a comprendere anche l'economista Jack Knetsch, sviluppando concetti che sono centrali nella cosiddetta economia comportamentale. Ha poi stretto collaborazioni con Dale Miller nello sviluppo di una teoria del pensiero controfattuale, fino a spostarsi sullo studio di vari aspetti dell'utilità sperimentata. Si tratta della misura dell'utilità dei risultati così come le persone li vivono effettivamente, progressivamente scomparsa dal discorso economico, a favore di una nozione di utilità decisionale, dedotta dalle scelte e usata per spiegarle. Nel momento in cui la razionalità passa in secondo piano, l’utilità sperimentata risulta determinante, e al suo interno lo è l’utilità ricordata. Peraltro le persone fanno scelte sbagliate tra le esperienze a cui possono essere esposte, perché si sbagliano sistematicamente riguardo ai loro ricordi affettivi. Le prove sperimentali contraddicono ancora una volta il modello razionale standard, che non distingue tra utilità sperimentata e utilità decisionale.

Una ulteriore linea di lavoro è stata lo sviluppo della collaborazione contraddittoria, come alternativa ai dibattiti attualmente condotti nelle scienze sociali che finiscono sempre in scambi contraddittori dove nessuno riconosce di aver imparato qualcosa dall'altro. La collaborazione contraddittoria svolge ricerche congiunte, talvolta con un arbitro concordato per guidare il progetto e raccogliere i dati e porta a una pubblicazione congiunta, ove sono esposti anche i disaccordi. 

Nel 2021scrive infine Noise, in collaborazione con Olivier Sibony e Cass Sunstein. Qui Kahneman, per approfondire la questione dell’errore nei giudizi, va oltre l’analisi classica della importanza dei bias e analizza la componente del rumore, meno evidente e meno studiata. Dove ci sono giudizi c’è anche l’errore, individuabile attraverso la loro variabilità che, non problematica ove è richiesta la articolazione di opzioni, di idee e spirito competitivo, diventa un problema invece nei giudizi professionali e nelle previsioni.

I bias sono errori sistematici, che ricorrono in maniera prevedibile e in particolari circostanze, costituendo una deviazione costante, che si presta quindi alla previsione e all’analisi causale. Nel rumore la dispersione invece è casuale, la deviazione non è costante, e non si presta pertanto né a previsioni né a facili ipotesi esplicative. Esistono diversi tipi di rumore. Quello sistemico, dove la variabilità indesiderata interviene nei giudizi espressi sullo stesso caso da più individui, e quello occasionale dove la variabilità non è interpersonale ma intrapersonale e dovuta a effetti transitori. Di fatto il rumore contrasta con l’illusione di accordo che i professionisti pensano di avere, mostrando che il livello di disaccordo dei loro giudizi indipendenti sugli stessi casi si rivela sempre di gran lunga superiore al previsto.

 

hKahneman mostra il rumore come sia presente nella giustizia, con condanne differenti per reati analoghi, nelle definizioni dei premi assicurativi o delle liquidazioni dei sinistri, nelle valutazioni scientifiche forensi, nelle assunzioni o valutazioni del personale, nelle decisioni sulla concezione della libertà provvisoria e tanti altri ambiti. Nell’ambito della medicina, e in particolare della diagnosi, la pervasività del rumore è sorprendente, persino in aree dove gli strumenti dovrebbero garantire una oggettività. In termini di rumore poi, la psichiatria è un caso estremo, con concordanze diagnostiche che nel 1964 non superavano il 57%, limitate, secondo Kahneman, da più fattori. Si va dalla numerosità delle categorie diagnostiche alla diversità dei percorsi formativi o delle esperienze cliniche del medico; fino alla inadeguatezza della nomenclatura, non migliorata nelle diverse edizioni del Diagnostic and Statistic Manual of Mental Health, accusato anzi di avere introdotto, con la quinta versione (DSM-5), nuove diagnosi poco affidabili nella pratica clinica. Di fatto i criteri diagnostici di alcuni disturbi sono ancora vaghi e lo stesso poggiarsi sui sintomi soggettivi del paziente, sull’interpretazione degli stessi da parte del clinico e l’assenza di misure oggettive consentono l’inaffidabilità diagnostica.

Ancora una volta emerge l’importante influenza di Meehl, che secondo Kahneman aveva mostrato con la maggiore accuratezza dei modelli statistici, proprio la loro capacità di attenuare il rumore. Kahneman stesso ci ricorda che, dal 1954, data del libro di Meehl, sono stati fatti centinaia di studi che hanno confrontato i giudizi clinici delle persone con dati e regole statistiche molto semplici. In circa la metà dei casi le regole battono totalmente i giudizi clinici e nell’altra metà dei casi il risultato è un pareggio. Sono pochissimi i casi in cui il giudizio clinico si rivela più accurato. 

Sono tante le lezioni che Kahneman ci ha lasciato e su cui dobbiamo lavorare, facendo di questo il modo migliore per ricordarlo. Per oltre mezzo secolo, con il cosiddetto Heuristics and Biases Program, ha contribuito al superamento della visione dell’uomo come di un essere che prende razionalmente le decisioni, ed è disturbato in questa razionalità solo da aspetti di tipo emotivo o affettivo. Questo apre nuove possibilità di comprensione per quanto riguarda la psicopatologia e la psicoterapia. 

Come psichiatra ritengo che ci abbia insegnato anche che la certezza soggettiva nel giudizio e nell’intervento clinico non è una buona guida per l’accuratezza. Il senso di certezza accompagna sia le intuizioni corrette che quelle completamente erronee che esprimono dei bias che si possono individuare, rintracciandone le origini. In maniera correlata, pensiamo di credere a certe cose perché abbiamo delle buone ragioni per crederci, senza accorgerci che la certezza precede ragioni che in realtà sono narrazioni che appartengono al senso comune. Siamo bravi a raccontarci storie per dare un senso a ciò che viviamo, e queste storie poi hanno una loro vita propria che le rende difficili da modificare, e la cui stabilità viene scambiata per una evidenza della loro validità.

Kahneman ci aiuta a distinguere fra la validità di tante intuizioni nella interazione con le persone, compresi i pazienti nella situazione clinica immediata, e la capacità di prevedere il futuro. Capire cosa sta succedendo al momento, con intuizioni personali e previsioni a breve termine, a volte affidabili nel setting clinico, offre una erronea sicurezza per quelle al di fuori del setting e a più lungo termine, che in realtà sfuggono alla possibilità di previsione. Si tratta di un aspetto controintuitivo che si scontra con la troppa fiducia di psicologi e psichiatri nelle conclusioni e previsioni che si sviluppano sulla base dei dati e delle loro intuizioni. 

Kahneman suggerisce anche come limitare bias e rumore, a dimostrazione di una possibile razionalità dell’agire umano.

 Il primo passo è riconoscere l’importanza del problema, verificando la presenza di bias e rumore. I bias possono essere corretti o prevenuti migliorando le conoscenze delle persone in ambito statistico, oppure con osservatori designati a ricercare la presenza di bias. Il rumore può essere ridotto introducendo una igiene decisionale basata sull’aggregazione dei giudizi di più esperti, purché con giudizi indipendenti e valutazioni fatte separatamente prima di comunicare tra loro, in accordo con gli studi di Tetlock. Occorre pensare in termini statistici dove le singolarità diventano elementi di una classe di riferimento di casi simili. E sono essenziali la formazione, l’intelligenza e uno stile cognitivo improntato alla “apertura mentale attiva”, dove, accanto ad un pensiero lento e riflessivo, vi è una umiltà da perpetual beta, di chi cioè è sempre consapevole che il proprio pensiero è in via di definizione e correzione.

Occorre disciplinare e differire le intuizioni, favorendo il funzionamento del sistema riflessivo lento, bloccando così anche la gratificante fiducia nelle conclusioni premature. Kahneman sottolinea l’utilità di abbandonare standard vaghi a favore della chiarezza dei criteri delle linee-guida e valorizzare interviste strutturate con i pazienti per frenare il bias da prima impressione e la facile costruzione di narrazioni. A questo scopo è utile scomporre il giudizio in parti da affidare a osservatori indipendenti, il contrario di quello che avviene nelle riunioni di équipe o supervisione in psichiatria, in cui le opinioni dei partecipanti si formano sulla base di quelle altrui, le idee iniziali si radicalizzano e si mira fin dall’inizio a costruire narrazioni complete.

Ricordare Kahneman, a mio parere, è ricordare l’attualità del suo lavoro e quanto ancora ci può aiutare nella ricerca futura. 

BIBLIOGRAFIA PER APPROFONDIRE

Kahneman D. (1973). Attention and Effort. Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall. (trad. it.: Psicologia dell'attenzione. Firenze: Giunti-Barbera, 1981)

Kahneman D. Biographical. The Nobel Prize

Kahneman D. (2011). Thinking, Fast and Slow. New York: Farrar, Straus and Giroux (trad. it.: Pensieri lenti e veloci. Milano: Mondadori, 2012).

Kahneman D. (2019). Ricordi di un’estate del 1960 con David Rapaport e possibili sviluppi (con una Nota redazionale di Pier Francesco Galli). Psicoterapia e Scienze Umane, 53, 3: 463-480. 

Kahneman D., Sibony O. & Sunstein C. R. (2021). Noise: A Flaw in Human Judgment. Boston: Little, Brown Spark (trad. it.: Rumore. Milano: UTET, 2021).

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