Davide Orecchio. Stati di grazia

Lavora di alternanze la scrittura di Davide Orecchio, ora leggera quasi impalpabile, ora densa e struggente. Un romanzo, Stati di grazia, fatto da mille rivoli relazionali, da storie alternate e multiple che più che intrecciarsi si sovrappongono in un continuo dosaggio d’intensità. Non c’è fiato, non c’è spazio per la fuga: Orecchio, al suo primo romanzo, contiene in questa macchina felice le storie  dei suoi protagonisti in un viaggio attraverso la Sicilia degli anni Cinquanta fino alla violenza della dittatura Argentina. Rischioso e affascinante proprio perché fortemente letterario, Stati di grazia si pone al centro della narrativa italiana contemporanea con tutto il suo imprevedibile equilibrio danzante di parole e storie le une sempre intrise nelle altre, nulla può essere lasciato per strada, perché nulla è prevedibile come la vita di Paride Sanchis giovane maestro elementare.

 



È solo sguardo, lavoro, memoria del lavoro, vuole vivere, imparare, non essere straniero ed ecco una nuova primavera e s’aprono i germogli, cola linfa dai tagli nel legno, matura la vigna e Paride l’aiuta con le cimature. Le giornate s’allungano. Le bestie sono più rumorose. I risvegli al mattino più benvoluti. Il prurito della malinconia più fastidioso. La stagione si lascia accarezzare quando arriva l’estate.

 



Storia di un Novecento possente e trascinante, Stati di grazia ha la volubilità di un tempo psichico indecifrabile e frastagliato, agitato e mosso, un tempo tanto rabbioso quanto contenuto, delicato. Davide Orecchio convince con un romanzo che fa a meno dei cliché postmoderni per lavorare di forbici e territorio, raccontando una delle miriadi di storie italiane del Novecento attraverso la sensibilità della nostra epoca - sempre veloce - e con l’ausilio del corpo vivo di mille altre piccole storie mai minori.

 

Astrea e Céladon lavorano a doppiozero, leggono narrativa italiana e si scambiano libri.

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