Furio Jesi

31 Maggio 2012

Riga, una collana che avvicina ai grandi innovatori del Novecento

 

Riga è nata nel luglio del 1991 senza nessun particolare programma. Volevamo piuttosto fare la rivista «che ci sarebbe piaciuto leggere». Una rivista dedicata al contemporaneo, ad autori e temi che ci sembravano rilevanti nel corso dell’ultimo secolo, ma non solo. Una rivista che conservasse la memoria del passato, e insieme che si protendesse sul futuro.

 

Marco Belpoliti, Elio Grazioli

 


 

Furio Jesi è uno studioso dall’impressionante varietà di interessi e dalla straordinaria capacità di scrittura, capace di far saltare i confini tra le discipline attirando su di sé un'attenzione proporzionale alla quantità di temi affrontati e alla complessità dei testi prodotti. Precoce egittologo e critico letterario, si è ritrovato, all'apice di un troppo breve itinerario intellettuale, germanista e mitologo di rilievo: non è facile circoscrivere gli interessi vasti e profondi di questo enfant prodige colto e geniale, di origine ebraica ma agnostico, militante radicale e poligrafo folgorante, che, pressoché autodidatta, seguendo percorsi intellettuali d’altri tempi diventa allievo di Kerényi per poi muoversi in modo originale, sotto l'influenza di Dumézil, Scholem e Lévi-Strauss, sul terreno della storia delle religioni e delle idee, dell'antropologia e della filosofia. Unendo la curiosità del bambino al lucido rigore dell’intellettuale ha dedicato alla critica letteraria un'attività saggistica ricca di fascino, svolta nel segno di Mann e di Benjamin, coprendo temi che spaziano tra Euripide, Apuleio, Rilke e Pavese, dalla ceramica egizia al teatro politico, dal versante oscuro dell'Illuminismo alla teoria del romanzo, dalla critica epistemologica delle scienze umane all’analisi dell'antisemitismo e della cultura di destra: il comune denominatore è la riflessione sul mito e sulla mitologia, nel mondo antico, nelle sopravvivenze moderne e in relazione alla “tecnicizzazione” politica nel '900.


Torinese ma di formazione europea, militante e teorico della «nuova sinistra», dopo anni di lavoro indipendente è approdato all'insegnamento universitario di Lingua e letteratura tedesca (nel 1976 a Palermo, poi a Genova), ambito d'adozione in cui ha svolto un ampio lavoro di traduzione (Rilke, Mann, Bachofen, Canetti) senza appartenere all'accademia e alle sue logiche. In forza di una concezione etica e pedagogica del lavoro intellettuale ha attraversato la storia editoriale italiana degli anni settanta come autore e curatore, tra gli altri, per Utet, Einaudi, Paravia, Adelphi, Bollati Boringhieri, Sellerio, ma anche come pubblicista su riviste come «Storia illustrata», «Comunità», «Nuova corrente», «Resistenza. Giustizia e libertà», «Quindici», e su quotidiani come «l'Ora» e «Tuttolibri» de «La Stampa».


La sua attività sorprendente, soprattutto se messa in relazione con l'arco temporale in cui si è svolta, si misura in una bibliografia molto vasta in cui figurano saggi, articoli, monografie, poesie, un romanzo e una fiaba per bambini. L'archivio domestico testimonia la coincidenza totalizzante di vita e ricerca: libri, foto, ritagli di giornale, schedari, pagine autografe e dattiloscritte recano le tracce di un impegno febbrile e costante svolto contemporaneamente in più ambiti; tra gli anni sessanta e ottanta la sua biografia e il ricchissimo epistolario con figure decisive per la cultura europea e italiana testimoniano una esistenza fuori dalle convenzioni, dai dogmatismi e dalle semplificazioni di ogni sorta. Un approccio alla cultura libero, ironico e corrosivo che è una festa dell'intelligenza.

 

Sono passati trent’anni dalla scomparsa di Jesi, nell'estate del 1980 per un assurdo incidente domestico: in questo tempo studiosi e lettori sono rimasti catturati dalla sua capacità di sondare il nesso sacro-letteratura-potere senza mai rinunciare a una prospettiva radicalmente illuminista. Per avvicinare una così complessa attività intellettuale questo volume della collana di «Riga» presenta saggi e articoli su preistoria e archeologia, mito e mitologia, letteratura e critica, scritti politici, poesie, lettere, foto, materiali inediti provenienti dal ricco archivio privato.


Abbiamo voluto immaginare il suo ideale tavolo di lavoro, mettendo le opere in ordine cronologico di scrittura (e non secondo una difficile separazione tematica) e inframmezzandole con pagine di critica, appartenenti a diversi stagioni della sua ricezione e a una nuova serie di interventi, secondo un criterio tematico e volutamente anacronico; da questa impostazione segue anche la soppressione della gerarchia interna tra gli autori, che lo stesso Jesi, immaginiamo, avrebbe apprezzato. La narrazione si costruisce secondo l'incedere della lettura ma non esclude l'apprezzamento per frammenti, che nel caso del critico torinese (e forse sempre) recano, quasi fossero organismi viventi, una traccia isomorfica del tutto. E insieme a questo una serie di raccordi, di approfondimenti sul suo pensiero e sul lavoro concettuale, pagine redatte da uno dei curatori del volume, per penetrare più a fondo nell'officina di questo maestro contemporaneo.


Questo approccio fondato sull'idea di connessione e di montaggio, inevitabilmente arbitrario, ha per noi il pregio di rispecchiare il lavoro materiale di Jesi facendo emergere l'officina letteraria di un autore ancora da scoprire, eccezionale e singolare e allo stesso tempo fortemente radicato nella realtà del suo tempo.


Sovvertendo il linguaggio e praticando una teoria politica della scrittura che cercava di delineare nuove forme di soggettività, Jesi ha contribuito come pochi a mostrare quanto la razionalità umana si rispecchi nel mito e nella storia; la sua opera è una continua riflessione sulla cultura stessa, nelle sue accezioni più ampie, incentrata sulla costante e carsica presenza della sfera mitico-sacrale nella cultura “alta” così come in quella popolare e underground. Molto prima dei nostri anni aveva visto che le identità si costruiscono attraverso diverse “macchine mitologiche”, serie testuali di immagini sedimentate, condivise e risemantizzate, documenti che si trasformano in monumenti e che determinano le memorie culturali e le strutture connettive dei gruppi umani.


A sincrono con la più avvertita cultura europea l'uso fondante del mito è stato da lui decostruito e rigettato in quanto matrice di ogni forma di “religione della morte” che sfrutta il passato per legittimare il presente. Contro la superstizione del “continuum storico” (è questa che il critico deve fare brillare) ha avanzato l'idea di una consapevole mitopoiesi “leggera”, racconto infondato che mostra i segni del lavoro dell'autore, e una concezione della ricezione come intermittenza, lampeggiamento e ricorsività, focalizzata sul soggetto di ogni “attualità”.


Jesi è anche un pensatore politico, per lui la cultura di destra era un concetto ampio, di natura teoretica e pratica, che riguardava l'uso della mitologia nella prassi politica: le parole-simbolo sono specifiche di un modo antropologico di essere “di destra”, simili a bandiere capaci di una presa emozionale sull’individuo che disintegra la capacità di riflessione. Per questo per lui la maggior parte del patrimonio culturale era “residuo culturale di destra”, custodito e amministrato dalla classe dominante che su di essa ha eretto la propria razionalità. Anche la cultura di sinistra «dinamitarda» e celebrativa rientra in una retorica del sublime che si trasforma in cultura di destra, monumentale e fondazionale. La destra diventa una categoria ampia che include una gran parte della sinistra; in questo modo la destra esercita ancora oggi un’egemonia reale sulla cultura della sinistra, così da mettere in discussione l'idea, che va oggi per la maggiore, di una trascorsa egemonia culturale della sinistra. Jesi ci aiuta a ripensare l'intera questione del rapporto tra cultura di destra e cultura di sinistra.


Leggere Jesi ed entrare nel suo campo gravitazionale lascia sempre una sensazione di euforico spiazzamento, ma se questo non bastasse, pensiamo che nella caligine di questi anni i suoi scritti possano portare una qualche luce: senza narrazione non c'è vicenda umana e solo riconoscendo nel sapere un dispositivo mitopoietico degli uomini sugli uomini, si può ancora vedere l'utopia. Come intendeva lui, la capacità di pensare e progettare un tempo diverso e migliore rimanendo dentro questo.

 

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