Sarnico / Paesi e città

14 Luglio 2011

Dal parcheggio sul lungolago, di fronte alla gelateria, ai ristoranti, ai bar-pizzerie, si può prendere a destra verso il punto in cui il lago d’Iseo (o Sebino) diventa fiume Oglio, verso la diga, attraversando il parco verde dei Lazzarini con i cedri del Libano e i giochi per i piccoli, oppure si possono voltare le spalle allo specchio d’acqua e salire al borgo storico fino al sagrato della chiesa, passando per la strada in salita ripida dove abitava la vecchia matta con il marito picchiatore e la figlia che si portava sempre appresso un odore di palude, anche quando stava nei banchi della classe scolastica. Tutti luoghi del ricordo, andando verso destra.

 

Prendo a sinistra. Da qui comincia il passeggio ufficiale della domenica, con famiglie al completo nel giorno di festa a sfoggiare l’ultimo modello di passeggino con ruote autofrenanti e calottina ergonomica lungo la striscia stretta di cemento delimitata da aiuole ben tenute, aldilà delle quali scorre il flusso ininterrotto delle automobili, molte di grossa cilindrata, segni del benessere raggiunto con le fabbrichette delle guarnizioni di gomma e con le piccole imprese edili note in tutto il mondo per l’efficienza dei loro magüt. Proseguendo verso Predore spuntano i lounge bar, il tennis club, il minigolf e la vetrina di una vasta boutique che in tempo di merci da svendere espone in bella vista una scritta rossa a grandi caratteri, richiamo per i clienti di passaggio: TUTTO A 250 EURO.

 

In fondo in fondo, dove una volta si aveva l’impressione che il mondo finisse (l’ultimo molo dove ci si poteva baciare indisturbati al primo calare del sole con la quinta del Ristorante Hotel Cantiere, ora in totale disfacimento) un’appendice nuovissima di case a schiera semilusso con vista lago e posto barca assegnato secondo criteri elaborati da un software messo a punto dai tecnici del comune. Altre vetrine ancora da riempire, aperte sul buio, grandi spiazzi vuoti dove una madre giovane spinge la carrozzina con un neonato inconsolabile. Nel camminamento a bordo del lago sfila l’esercito della passeggiata al sole (“Le giornate di sole in inverno sono le giornate più belle dell’anno”). Donne dai capelli molto neri o molto rossi, decine di cani al guinzaglio, più grandi che in città (“Nessuno raccoglie la merda”), coppie di mezza età, alcune a passo sincrono, con scarpe da tennis o stivaletti dalle punte all’insù, altre zigzaganti e distoniche, pochi giovanissimi, rari anziani (“Molto strano”), solitari, a coppie o a gruppi di tre. Allure ginnica prevalente ad ogni età, anche per le signore in pellicciotto e scarpe sportive. I motoscafi dei cantieri Riva sono fermi, troppo fredda ancora la stagione, ma il cielo è invaso dagli aerei da turismo che ogni tanto si tirano dietro la sagoma bianca di un aliante.

 

Sarnico si vede bene guardandolo dalla riva opposta, oltre il ponte che separa la provincia di Bergamo da quella di Brescia: i grossi pali con le barche ormeggiate e i colori delle case a ridosso della riva la fanno bella lungo la traiettoria di uno sguardo tenuto artificialmente basso, quasi rasoterra. Alzando gli occhi Sarnico si mostra con le sue colline scorticate, con le sommità scoperte dalle chiazze grigie delle cave di pietra arenaria che gettano su tutto un’ombra cupa. Ci sono misteri in questo paesino che si specchia nel lago: da qui viene la cosiddetta Sarneghera, il vento furioso che arriva di tanto in tanto, improvviso e violentissimo, portando acqua torrenziale e raffiche devastanti: sono i lamenti e le lacrime di due amanti infelici, dice la leggenda, che una volta all’anno rivivono il tormento immedicabile delle anime divise.

 

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