Musk: guerra alla Filosofia
È un momento propizio per la filosofia. Non intendo per filosofia gli “studi filosofici”, sempre più marginalizzati nelle nostre Università, ridotti, nel migliore dei casi, ad elemento decorativo o, peggio ancora, confusi con la brillante soluzione di rompicapo linguistici. Questa filosofia antiquaria e/o analitica è ancora tollerata solo perché la sua inoffensività è evidente. Intendo piuttosto la filosofia come potenza instaurativa di un mondo comune, come discorso capace di creare il reale che descrive, intendo la filosofia come prassi trasformativa dell’esistenza individuale e di quella collettiva. Nella citatissima undicesima tesi su Feuerbach, Marx non liquidava affatto la filosofia, contrapponendole la prassi rivoluzionaria, ma le chiedeva una assunzione di responsabilità: da interpretazione di uno stato di cose dato, doveva diventare principio di un cambiamento reale dello stato di cose. In tal modo la filosofia avrebbe riguadagnato la sua autentica originaria natura: le “idee” dei filosofi sono infatti mera “ideologia” fintantoché si limitano a descrivere, diventano invece potenze quando, conformemente all’etimo della parola “idea”, si fanno schemi dell’azione possibile, macchine semi-automatiche che producono effetti sensibili.
Se per la filosofia il momento è propizio lo si deve alla lucidità di cui hanno dato prova coloro che vogliono inaugurare una nuova narrativa, populista, sovranista e cripto-fascista. L’hanno infatti indicata come il nemico principale da combattere. La filosofia è, oggi, nell’occhio del ciclone. Non c’è nessuna esagerazione in quello che sto affermando. Elon Musk, a livello mondiale, come i suoi epigoni, a livello nazionale, non hanno forse messo al primo posto della loro agenda la fine dell’egemonia culturale dei “marxisti” nelle Università e nelle istituzioni culturali? Bisogna riconoscere che quando si deve individuare l’obiettivo da eliminare, nonché l’ordine delle eliminazioni, Musk è un cecchino infallibile. Va detto che in verità di marxisti, in senso proprio, non ce ne sono molti nelle Università americane. L’ultimo di un certo peso, Fredric Jameson, è morto l’anno scorso. Ma “marxista” è solo una sineddoche: è la parte che sta per il tutto. Il tutto è la filosofia. Si obietterà che anche “filosofia” è sineddoche. “Filosofia” sta per il tutto del “pensiero critico” o “divergente”, ma questa assegnazione della specie “filosofia” al genere “critica”, di cui si compiacciono i progressisti, è fortemente riduttiva e financo equivoca. È, dopotutto, un altro modo per depotenziarla. Perché la filosofia è certamente critica nella sua pars destruens, ma nella sua pars construens è immediatamente generativa del reale. Una generatività che è stata espressa in vari modi dai filosofi: per i platonici e neoplatonici la filosofia è politica e la contemplazione è azione, per Spinoza l’ontologia è etica, per i marxisti la teoria è prassi.
Musk, nella sua requisitoria anti-marxista, ha in mente gli effetti pragmatici della filosofia che ha egemonizzato i campus americani negli ultimi decenni con lo sbarco in grande pompa della French Theory negli USA nella metà degli anni ‘70. La decostruzione di Derrida, la psicoanalisi lacaniana e, soprattutto, la genealogia foucaultiana sono presto diventate l’idioletto condiviso dalla comunità intellettuale. La parola d’ordine era “differenza” e ad essere messa in questione era ogni concezione naturalistica del soggetto, a partire da quella basata sul sesso, apparentemente la più indiscutibile delle identificazioni. Le conseguenze pratiche sono quelle politiche di inclusione e di apertura all’Altro che fanno tanto ribrezzo ai nuovi padroni del vapore. Non è certo un caso se uno degli slogan più ribaditi dai trumpiani è “ci sono solo due sessi!”: l’obiettivo polemico è ovviamente la teoria del gender, cioè l’idea, formalizzata da Judith Butler, che ogni identità sia soltanto un costrutto sociale. Contro tutto questo si scaglia Musk. La sua crociata è una guerra che ha luogo sul campo delle “idee”.
Da questa vicenda, che probabilmente è solo all’inizio, i filosofi hanno molto da imparare riguardo la natura del “lavoro” filosofico. La questione non è schierarsi per la differenza e per la gender theory contro gli abusi del potere. Sarebbe una battaglia di retroguardia che non tiene conto delle immense trasformazioni che stanno avvenendo. Bisogna piuttosto fare chiarezza sul fatto che la filosofia non è riducibile all’enunciazione di tesi, non è, insomma, una “visione del mondo”. In quanto attività formatrice, la filosofia è (ed è sempre stata) posizione di un mondo, presentazione e non rappresentazione di uno stato di cose. Quello che conta e che fa la differenza è, come direbbero i linguisti, il suo atto illocutivo: non ciò che dice e che è invariabilmente sottoposto all’ipoteca del tempo che tutto consuma, ma il modo in cui dice quello che dice. Non è il “detto” ad essere propriamente filosofico ma l’atto del dire quello che effettivamente si dice. È a quel livello (che i linguisti identificano nel “soggetto dell’enunciazione” o nell’“istanza di parola”) che la filosofia manifesta tutta la sua straordinaria e irriducibile potenza. Negli anni ‘50 del secolo scorso, il grande storico della filosofia Martial Gueroult diceva, senza temere di apparire ridicolo, che i grandi sistemi filosofici del passato, se considerati dal punto di vista del “dire”, sono monumenti indistruttibili e inconfutabili. La loro potenza esorbita il dominio del tempo.
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Mi spiego con qualcosa che forse è più di un esempio perché tocca uno dei gangli vitali del nostro comune presente. L’anti-marxista Elon Musk è un patrocinatore dell’intelligenza artificiale. Il mondo che sogna è stato ben descritto in alcuni recenti scritti apocalittici di Bifo. Il sogno di Musk, scrive Bifo, è in realtà un incubo, che avvalora la profezia enunciata dal suo maestro Deleuze più di quarant’anni fa: il fascismo che verrà farà impallidire il suo prototipo storico. La congiunzione di anarco-capitalismo e intelligenza artificiale comporta infatti una radicale digitalizzazione dell’esperienza: il soggetto libero e responsabile come la democrazia liberale appartengono al regno dell’analogico e se il programma Muskista si realizzerà saranno entrambi cancellati con un colpo di spugna. Quello che sembrava lo script di un film di fantascienza (e di fantapolitica), neanche tanto originale, si fa realtà quotidiana dopo Trump. Improvvisamente, la riduzione della specie umana a materiale su cui sperimentare diventa un fatto accettabile, da mettere in linea di conto. Si assiste tranquillamente ad un genocidio, si organizzano deportazioni, si inaugurano campi di concentramento, si mettono aerei di stato a disposizione di torturatori ecc. La cosa incredibile per chi, come me, viene dal passato è che tutto viene chiamato con il suo nome, senza ipocrisie: deportazione, concentramento, genocidio, tortura, conquistano l’elettorato. Netanyahu sarà ricevuto con tutti gli onori nelle nuove cancellerie occidentali. Gli italiani plaudono una presidente del consiglio che libera un assassino di innocenti.
Ma se questa è la visione di Musk (e dobbiamo essergli veramente grati per la franchezza con cui la presenta), perché Musk fa della lotta senza quartiere alla filosofia la sua premessa? La risposta più ovvia è la risposta sbagliata. Si dirà, come fanno gli intellettuali progressisti, che la filosofia è la paladina dell’umano minacciato di estinzione, oppure che filosofia e democrazia sono fatte della stessa pasta o, ancora, che il soggetto libero e responsabile è il parto sublime del discorso filosofico. Non è però questa la ragione. Una siffatta filosofia non ha bisogno di mobilitare i satelliti di Musk per essere affossata perché si è già liquidata da sola. Dal “caso Nietzsche” in poi la storia della filosofia è stata la storia della dismissione dell’umanesimo. Morte di Dio ha voluto dire fine dell’Uomo. Morte di Dio ha significato l’emancipazione della potenza dai limiti della morale. La ragione è dunque un’altra ed è una ragione più segreta, non immediatamente percepibile all’occhio nudo. Ci voleva infatti l’occhio di falco di un avversario di genio per renderla perspicua ai nostri occhi.
Musk intuisce nell’atto illocutivo della filosofia un pericoloso concorrente. Perché anche il “dire” filosofico è nella sua radice macchinico e impersonale come quello dell’intelligenza artificiale, anch’esso mette in campo una potenza che si esercita con implacabile oggettività (non è forse Spinoza, il filosofo della “necessità”, il riferimento comune dei “filosofi” che resistono al fascismo dilagante? Oggi come ieri, vale a dire negli anni ‘30, quando il fascismo si insediava stabilmente nel cuore dell’Europa). Anch’esso comporta un “soggetto dell’enunciazione” che non è riducibile al buon vecchio hardware dell’uomo, inteso come unità psico-fisica: “chi” prende la parola nel “discorso filosofico” non è forse sempre stato “Dio” o qualcuno che ne faceva le veci? Anch’esso mira, fin dai suoi esordi, a superare la forma canonica della “specie umana” ipotizzando un punto di tangenza con l’al di là dell’umano, comunque esso sia inteso: Dio, Natura, Io puro, Spirito ecc. La filosofia, finché è rimasta fedele a se stessa, ha sempre proceduto nella stessa direzione indicata dal braccio sollevato nel saluto romano di Musk, cioè verso Marte, lontano dalla Terra, ma lo ha fatto con una radicalità e una coerenza sistematica che spaventa l’ometto Musk, il quale infatti le dichiara una guerra preventiva. Lo angoscia perché il mondo prodotto dal discorso filosofico, il mondo performato dalla sperimentazione filosofica, sfugge per principio all’arbitrio di una volontà personale che pretenda di plasmarlo, di dominarlo, di usarlo. Non è a disposizione come crede invece l’immobiliarista Trump quando progetta spiagge dorate a Gaza City. È lui, è il mondo, il soggetto in costante divenire, è lui che sperimenta nuove possibilità, non “io” che ne sono un effetto di superficie. Ma nessuna tirannia può rinunciare ad affermare il primato della volontà individuale, nessuna tirannia può dismettere il primato dell’ego, nessun fascismo può resistere al mito di una libertà sovrana e irrazionale che sia avulsa dal processo e faccia eccezione alla natura. L’unità di misura di questa libertà sarà allora data dalla quantità di distruzione che potrà arrecare ad un processo che non domina: “drill, baby, drill”, insomma.
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