Grottaferrata / Paesi e città
C’era l’aria buona. Ma l’aria buona oramai non frega niente a nessuno. Fa male l’aria buona; se ne respiri troppa ti fa venire il mal di testa, il beriberi e qualche altro di quei mali moderni che, salvognuno, meglio non dire! Eppure, per quello che può contare dirlo oggi, c’era. Me li ricordo io tutti in fila, quei ragazzini venuti da Roma con la pertosse, la sera dopo cena a spasso coi genitori giù per il Corso Del Popolo e dopo chi via girando per la vecchia cartiera, verso l’oliveto Mazzanti, chi invece giù per viale San Nilo sotto la fila degli olmi. Certi altri, alla fine, passavano sulla selciata messa al posto del vecchio ponte levatoio e arrivavano proprio a toccare il portone del castello dell’abbazia, come a far tana e poi se ne ritornavano in su.
Toccavano il mistero della storia passata; Bessarione, ultimo gran personaggio misterioso del medioevo, commendatario dell’abbazia che quando un giorno per puro caso mi capitò di avere per le mani un porta ostie che aveva regalato ai frati, oddio, mi prese quasi un fulmine a pensare se, non sia mai, mi portasse scalogna! Il tartufo gigante avariato feld marchal Von Kesselring, comandante in capo delle forze d’occupazione naziste dell’Italia centromeridionale, che aveva quartiere a poche centinaia di metri in linea d’aria, senz’altro le sue porche visite le faceva a tentare di spillare qualche opera d’arte ai monaci allora troppo attenti per lui.
Tanti altri cardinali commendatari, come del resto Giuliano poi Giulio Secondo della Rovere, committente del castello a protezione del monastero; e in fine San Nilo stesso, fondatore dell’ordine dei monaci Basiliani prima dell’anno mille, consigliere politico e confessore del Duca Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico Ottone terzo di Sassonia. E secondo il sapere esoterico, almeno così m’hanno detto, personificazione del fiume Nilo sulle cui sponde, come tutti sapranno, trova ancestrale origine l’arte magica d’ogni tempo. Sono rimaste solo le mura e gli arredi, almeno in parte. Ah, giusta verità, qualche monaco. Il resto o se n'è andato o se lo sono mangiato.
C’era pure l’acqua! In un paese di vino come i Castelli Romani, Grottaferrata possedeva l’acqua acetosa di Squarciarelli. Precisamente. La frase più famosa della canzone internazionale “Arrivederci Roma” ( “… si ritrova a pranzo a Squarciarelli, fettuccine e vino dei Castelli,…) sta proprio a Grottaferrata. E ci vuole tutta la carica d’umorismo insita nei dialetti laziali a far entrare dentro un canto così dolce e suggestivo del buon vivere, il nome di una località chiamata così perché, prima dell’unificazione del regno, gente che aveva equivocato di molto l’educazione squarciava pancia o gola a passanti e viaggiatori incauti, senza proporre cambio tra borsa e vita. Ma si sono mangiato pure quello. Tutto quanto. I briganti, per fortuna, però pure l’acqua. Le fonti le hanno chiuse da un bel pezzo oramai; inquinate. Troppe costruzioni sopra le falde.
Massimo D’Azeglio scrisse più che altro su Marino, paese confinante. Però ebbe anche modo di parlare di quella fiera millenaria che si svolgeva ogni anno a fine marzo tutto intorno al castello dell’abbazia.
Così anche illustri vedutisti dei secoli passati ritrassero scene di questo evento economico molto importante per la zona e col passare del tempo per l’intera regione, fino ad assumere in anni mediamente vicini addirittura rilevanza nazionale. Quella non se la sono mangiata; la vogliono sputare ma non riescono a capire bene né come né dove potrebbero farlo meglio.
Forse si sono mangiato pure quello che c’avevamo dentro noialtri grottaferratesi. Gente normale coi difetti di tutti però, come in tante altre parti d’Italia, con quella certa serenità che ti deriva semplicemente dal sentirti dentro un pezzetto di paradiso.
Ci penso e, sì, pure quello se lo sono mangiato.
Ora, dalla finestra, guardo le mura del castello dell’abbazia affacciate su parco dell’ex hotel Traiano. È una vista molto più scenica di quella che c’era prima. Sì, anche quella, per bene o male che sia, se la sono mangiata.