Aldous Huxley / Rendersi unici. Psichedelia e visione

21 Ottobre 2018

 

È in corso una grande guerra spirituale. Questo libro ce la racconta, insegnandoci a combatterla fino in fondo. Proveremo a utilizzare gli scritti di Huxley sulla psichedelia per mostrare il senso di ciò che sta capitando, l’urgenza di questa guerra e la radice millenaria che la sostiene. Per farlo ci inoltreremo in radure fiammeggianti dove inciamperemo in pietre preziose, incontreremo persone sconvolgenti, arriveremo al punto aurorale in cui potremmo dire che sta iniziando qualcosa di nuovo. Non sarà una semplice passeggiata tra idee rassicuranti. Era un mattino di maggio del 1953 quando, all’età di cinquantanove anni, Aldous Huxley provò per la prima volta la mescalina, un alcaloide contenuto nel peyote, la pianta sacra del deserto messicano. Ne assunse quattro decimi di un grammo in mezzo bicchiere d’acqua ed era, ne siamo sicuri, una giornata luminosa. La mescalina gliela portò dal Canada il dottor Humphry Osmond, lo psichiatra inglese che inventò il termine «psichedelia», un uomo in tweed e occhiali, molto serio, educato e premuroso: si fece tremila chilometri per raggiungere la casa di Huxley, a Los Angeles, un viaggio che lui stesso definì improbabile. Osmond tremava, temeva di condurre alla follia uno dei più grandi scrittori della sua epoca, un grande intellettuale, un erudito inesauribile, un autore la cui opera era già entrata nel canone dei classici. Huxley si era interessato a un lavoro di Osmond di psicologia clinica sull’utilizzo della mescalina per curare la schizofrenia e contemporaneamente aveva sviluppato un interesse per il misticismo. Nel suo romanzo più famoso, Il mondo nuovo (1932), Huxley era già arrivato al punto in cui i suoi nuovi interessi dovevano trovare una soluzione: aveva descritto una società totalitaria del futuro controllata e sottomessa dall’utilizzo di una droga, chiamata come la sacra bevanda descritta nei testi sacri induisti, il soma, capace di produrre tre diversi effetti tra loro impossibili da combinare: euforico, allucinante e sedativo. La società del mondo nuovo esercitava la sua tirannia attraverso la gioia indotta dall’eugenetica e dalla narcotizzazione delle menti. Vale la pena riportare un brano racchiuso in questo volume e tratto da una conferenza che Huxley tenne nel 1959, ventisette anni dopo la pubblicazione del suo romanzo: 

 

Veniamo da ultimo al tema dell’aggressione degli esseri umani a livello fisiologico tramite mezzi farmacologici. A questo punto è necessario chiederci quale uso si farà dei farmaci che saranno prodotti. Come possiamo essere sicuri che non verranno commessi abusi? Inevitabilmente, prima o poi, la ricerca elaborerà uno psicofarmaco euforico più efficace e meno dannoso dell’alcol e questa sostanza... potrà diventare nelle mani di un dittatore uno strumento assai potente, come ho messo in evidenza più di vent’anni fa nel Mondo nuovo... Era naturalmente una fantasia, ma una fantasia che oggi è assai più prossima a realizzarsi di quanto pensassi allora. È inevitabile perciò che, più o meno nel tempo di una generazione, venga inventato un metodo farmacologico che porterà gli uomini ad amare la loro sudditanza e, per così dire, produrrà dittature senza lacrime, una sorta di campo di concentramento indolore... (qui a p. 205) 

 

L’invito di Huxley a Osmond, in quel maggio del 1953, era una reazione a questo pericolo. E le sostanze psichedeliche erano una possibile soluzione a una società che si stava organizzando e chiudendo, tra propaganda, tecnica e farmaceutica, verso il controllo delle menti. Occorreva dunque un’azione uguale e contraria che favorisse l’apertura e che fosse capace di fare emergere la parte migliore dell’essere umano: alla narcosi si doveva opporre l’illuminazione. Usciti dalla Seconda guerra mondiale, eravamo già entrati nell’era atomica: contro l’istinto di morte si doveva generare l’istinto creativo. Sono più o meno le stesse idee ripetute, qualche anno dopo e a migliaia di chilometri di distanza da Los Angeles, da Elsa Morante nella sua famosa conferenza del 1965 a Torino sulla bomba atomica: «La nostra bomba» diceva Elsa Morante «è il fiore, ossia la espressione naturale della nostra società contemporanea, così come i dialoghi di Platone lo sono della città greca; il Colosseo, dei Romani imperiali; le Madonne di Raffaello, dell’Umanesimo italiano; le gondole, della nobiltà veneziana; la tarantella, di certe popolazioni rustiche meridionali; e i campi di sterminio, della cultura piccolo-borghese burocratica già infetta da una rabbia di suicidio atomico». La grande intuizione di Huxley è rivoluzionaria e le parole di Elsa Morante servono solo a illuminarla meglio: esattamente come i dialoghi platonici erano l’espressione della città greca e la bomba atomica espressione della società contemporanea, per Huxley era necessario trovare una manifestazione con cui edificare una civiltà alternativa a quella che si stava prefigurando; e l’LSD, la mescalina, i funghi allucinogeni, insomma le sostanze psichedeliche, potevano avere le caratteristiche per diventare in un certo senso le Madonne di Raffaello di un rinnovato Umanesimo. Eravamo negli anni Cinquanta, e Huxley stava iniziando a percorrere una strada affascinante e pericolosa, nuovissima e antichissima nello stesso tempo. Le linee essenziali di questo percorso si leggono nella risposta alla domanda che nel 1961 Huxley rivolse ai partecipanti di un convegno internazionale di psicologi: «Perché le pietre preziose sono preziose?». Sembra, ed è, una domanda da maestro Zen e da bambino insolente. Anche in questo caso è necessario riportare un brano: 

 

... a tal proposito citerò un filosofo antico, Plotino, il più grande dei neoplatonici, che in un passo molto interessante e profondamente significativo dice: «Nel mondo intelligibile, che è il mondo delle idee platoniche, tutto risplende; di conseguenza, la cosa più bella nel nostro mondo è il fuoco». Questa osservazione è significativa per vari motivi. In primo luogo, mi interessa profondamente perché mostra che una grande struttura metafisica, la struttura platonica e neoplatonica, fu costruita essenzialmente su un’esperienza quasi sensoriale... Nel Fedone, Socrate parla del mondo postumo nel quale vanno gli uomini buoni dopo la morte... quello che Socrate dice di quel mondo – che lui chiama «la terra lassù» – è che lì tutto risplende, che le pietre della strada e delle montagne hanno le stesse qualità delle pietre preziose, e conclude dicendo che le pietre preziose della nostra terra, i nostri apprezzati smeraldi, rubini e via dicendo sono soltanto frammenti infinitesimali delle pietre che si vedono nell’altra terra... penso che a questo punto si cominci a capire perché le pietre preziose sono preziose: sono preziose perché richiamano alla mente qualcosa che già esiste nella nostra mente. (qui a p. 229) 

 

 

Huxley, che sin da ragazzo soffriva di gravi problemi alla vista, era alla ricerca della Visione. Sapeva che ogni visione autentica è ricordo e risvegliamento di una memoria inconscia. Sapeva che il desiderio di accedere alla visione, il desiderio di aprire le porte della percezione, è lo slancio che l’umanità insegue sin dalle sue origini. Il culto per le pietre preziose è solo una delle molte tracce di questo istinto primordiale comune a tutte le culture umane. Detto in altri termini, l’essere umano è un tossicodipendente di Dio, uno gnostico che ha assaggiato la divinità in tempi immemorabili, e tutta la sua vita, tutta la sua storia, è il tentativo disperato di recuperare quel paradiso perduto, di liberarsi da quell’arrancante se stesso che è diventato, forse per dannazione o magari per caduta incolpevole. Come ripetevano gli antichi, la conoscenza è innanzitutto ebrezza e follia, cioè estasi e danza, e Huxley pazientemente spiega, sulla scorta delle riflessioni di uno dei più grandi filosofi americani vissuti a cavallo tra Ottocento e Novecento, William James, che nessun essere umano è immune da questo desiderio; anche il più disgraziato tra gli alcolisti, per esempio, è un mistico mancato. Ecco il ragionamento di James che Huxley fa proprio: la sobrietà porta a svalutare, discriminare e dire di no. L’ebrezza invece amplifica, unisce e dice di sì. L’alcol, per l’ultimo degli ubriaconi, è il grande agente del Sì. Trasporta i suoi poveri adepti dalla fredda periferia delle cose al loro cuore splendente, li rende tutt’uno con la verità. La coscienza di un alcolista è una piccola parte della coscienza mistica. Insomma, ogni aspetto della vita dell’uomo, dall’arte alla guerra distruttiva, dalla devastante tossicodipendenza alla curiosità scientifica, è il segno di un’estasi perduta e rimpianta. E l’unico salto di civiltà possibile, per Huxley, è trovare il modo di accedere a quel piano superiore di visione che l’uomo reclama sin dalla notte dei tempi. 

 

Quello che successe a Huxley in quella luminosa mattina di maggio del 1953 fu l’inizio di questa rivoluzione copernicana, quella che in anni di poco successivi fu chiamata «rivoluzione psichedelica»: perché Huxley riuscì a accedere alla Visione e a tornare indietro con un bagaglio concettuale e immaginativo che pochi altri erano in grado di formulare, e lo fece semplicemente, senza attendere un’ipotetica intercessione divina, senza tecniche di respirazione orientali, senza digiuni e privazioni del sonno, senza mortificazioni corporali, semplicemente assumendo la mescalina che il dottor Osmond gli portò dopo il suo lungo e improbabile viaggio dal Canada; ripetendo un rito antico comune alla sapienza di tutti i popoli, la somministrazione rituale di sostanze capaci di generare l’estasi, Huxley aveva ritrovato la pietra filosofale della grande fatica degli uomini. Nel suo ultimo e indispensabile libro, How to Change Your Mind, uno dei più autorevoli giornalisti scientifici viventi, Michael Pollan l’ha scritto bene: Huxley è colui che ha dato gli strumenti concettuali e le immagini che sono state necessarie per definire e per fare progredire la nascita e lo sviluppo della moderna psichedelia, sia dal punto di vista teorico sia dal punto di vista pratico e politico. Nelle Porte della percezione, cioè nel libro in cui racconta la sua esperienza del 1953, Huxley prova a spiegare filosoficamente che cosa accade durante la Visione. È come se l’uomo, il cui cervello è costruito per percepire e concepire la realtà sulla base di un’utilità biologica legata alla sua sopravvivenza, grazie agli psichedelici riesca ad allentare le sue maglie e i suoi filtri cognitivi aprendosi così alla contemplazione della cosa in sé. In questo modo la realtà che lo circonda può manifestarsi in quanto tale, libera da ogni funzionalità, risplendendo per quello che è, affrancata da ogni finalità strumentale, proprio come se fosse un’opera d’arte: è il fuoco di Plotino.

 

Ed è solo l’uomo immortale, che è tale solo quando si libera dal demone della sopravvivenza, che è capace di averne visione. «La mescalina» scrive Huxley «mi aveva liberato, il mondo degli Io, del tempo, dei giudizi morali e delle considerazioni utilitarie, il mondo... dell’autoaffermazione, della presunzione, delle parole sopravvalutate e delle nozioni adorate idolatricamente... desideravo di essere lasciato solo con l’eternità in un fiore, l’Infinito in quattro gambe di sedia e l’Assoluto nelle pieghe di un paio di calzoni di flanella!» Abolizione dello spazio e del tempo, dissoluzione dell’arrancante e odioso Io, ricongiungimento con un universo archetipico di cui l’uomo mostra da sempre traccia nella nostalgia e nella nevrosi dell’estasi perduta, possibilità di accedere in un regno di luce da cui provare a costruire la vera alternativa al mondo totalitario del pericolo atomico e della psicofarmacologia narcotizzante di massa. Ecco perché per Huxley le sostanze psichedeliche sono le Madonne di Raffaello di un nuovo umanesimo possibile. Ecco perché, dopo Huxley, la rivoluzione psichedelica ha tentato di diventare, con sorti alterne e controverse, per esempio in Timothy Leary e nella beat generation, pratica politica per la guerra spirituale contro le forze della chiusura e dell’istinto di morte. È la guerra di Parmenide per superare l’illusione della realtà, è la guerra di Spinoza e di Giordano Bruno contro la superstizione che diventa sistema violento, è la guerra di Freud e di Jung per il riconoscimento dell’inconscio, è la guerra delle avanguardie artistiche e musicali, è la guerra delle lotte per la liberazione dei corpi, è la guerra dei poeti e dei diseredati e delle rockstar maledette, è la guerra degli scienziati che non rinunciano alla libertà di ricerca, è la guerra degli innamorati e dei liberi pensatori, è la guerra dei matti e dei Don Chisciotte: è una guerra gnostica, una guerra sapienziale, una guerra che ciascun uomo combatte innanzitutto con se stesso, contro il terrore della morte e la paura di cadere nella follia. 

 

 

La battaglia psichedelica, proprio nei nostri tempi, sta vivendo una straordinaria rinascita. La comunità scientifica sta parlando di una vera e propria Psychedelic Renaissance. E se Huxley fosse ancora qui con noi, anche Osmond saprebbe ritrovarlo: Huxley passerebbe il suo tempo a Londra con Robin Carhart-Harris e Amanda Feilding, due tra i protagonisti più interessanti di questo rinascimento psichedelico. Amanda Feilding ha un buco nella testa. Robin Carhart-Harris dei magnifici occhi azzurri. La prima ha settantacinque anni, il secondo trentasette. Amanda è discendente di re Carlo II d’Inghilterra e vive in una specie di castello incantato, il secondo è un ex studente di psicologia che ha deciso di dare la caccia all’inconscio cercando di individuarlo con la tecnologia più all’avanguardia. Cinquant’anni fa Amanda si è trapanata il cranio per raggiungere l’illuminazione, oggi Robin somministra l’LSD a dei pazienti per capire, tramite risonanza magnetica, cosa succede nel loro cervello. Amanda gli ha dato i soldi per farlo, Robin sta pubblicando le ricerche scientifiche più importanti e autorevoli sull’argomento. La prima dirige una fondazione psichedelica che annovera nel suo comitato dirigente alcuni tra i più grandi neuroscienziati viventi, il secondo lavora all’Imperial College di Londra, uno dei templi della ricerca scientifica. Ed entrambi fronteggiano il governo inglese e le leggi repressive e proibizioniste che sta varando con sempre maggior determinazione. Amanda e Robin rivendicano la legittimità delle loro indagini e citano molte pubblicazioni sulla pericolosità assai relativa delle sostanze psichedeliche, per esempio uno studio del 2010 pubblicato sulla prestigiosa rivista medica «Lancet» dove, in termini di rischio individuale e sociale delle droghe, l’LSD e la psilocibina (il principio attivo presente nei funghi allucinogeni) occupano le ultimissime posizioni in classifica, molto al di sotto di alcol, tabacco, cannabis, e di tante altre sostanze sulle quali non esistono rigidi divieti di condurre ricerche scientifiche. Ciò che nel 2016 Robin Carhart-Harris ha visto nei suoi esperimenti con l’LSD e la psilocibina è straordinario: si vede il cervello dei suoi pazienti attivarsi e accendersi completamente, con connessioni numerosissime e del tutto inedite capaci di interrompere i circoli neuronali abituali. È la stessa intuizione filosofica di Huxley. Vi è come una liberazione della coscienza, una destrutturazione anarchica dell’ordine cognitivo, emozionale e percettivo tradizionale. Ed è la prima volta che, con rigore scientifico, si sono potuti verificare gli effetti fisici delle sostanze psichedeliche sul corpo umano.

 

In un certo senso, la guerra di Huxley contro il soma del suo Mondo nuovo sta proseguendo, ma con altri mezzi. Secondo Carhart-Harris, infatti, la somministrazione di psichedelici potrebbe essere la più grande arma per sconfiggere molte patologie mentali legate all’ansia, alla depressione e alle dipendenze. La capacità di LSD e psilocibina di creare nuove connessioni permette infatti di sbloccare il circolo vizioso neuronale che opprime la mente di molti malati, riuscendo a ottenere quello che la psicoterapia e la psicoanalisi riescono faticosamente a raggiungere in molti anni di sedute. Rimane il fatto però che per un lettore di Huxley, la questione della legittimità psichedelica non si può basare soltanto sulla sua utilità medica, perché è lo stesso concetto di utilità che la psichedelia mette in discussione. Lo abbiamo già ripetuto. La rivoluzione psichedelica non è altro che uno dei modi per continuare la guerra spirituale che è in corso, forse uno dei modi oggi più interessanti per tenere in vita l’aspetto gnostico e sapienziale dell’uomo. Ed è ciò che unisce Parmenide a Carhart-Harris, Don Chisciotte a Amanda Feilding, Huxley a chiunque di noi cerchi più o meno disperatamente la propria uscita dal mondo. 

 

Viviamo in tempi interessanti. È come se alcuni grandi miti dell’Occidente avessero iniziato a convergere in qualche punto materiale, rendendosi reali, pretendendo di metterci in discussione, sollecitando la nostra reazione. Il mito del doppio, il mito di Faust e il mito dell’immortalità dell’anima, per esempio. Vale quindi forse la pena azzardare qui nient’altro che una suggestione che riguarda il presente che viviamo. Fa ormai parte della consapevolezza comune la discussione sulla presenza in qualche server remoto della Silicon Valley di un algoritmo che corrisponde a ciascuno di noi. Questo algoritmo conosce i nostri nomi, sa quali parole d’amore usiamo, sa dove ci spostiamo, a che velocità andiamo, prevede i nostri gusti e le nostre avversioni, e ogni giorno migliora, diventa sempre più preciso e tende a assomigliarci sempre di più. Ogni nostra scelta, ogni nostra decisione, ogni nostra preferenza, viene registrata e l’algoritmo ci restituisce automaticamente una realtà che tende a assomigliare alla realtà che ci rappresenta al meglio, in una simbiosi tra io e non-io, tra soggetto e oggetto, che ancora una volta ci getterebbe in abissi filosofici. Volendo però limitarci alla visionarietà dell’esempio, e imitando ciò che Huxley faceva quando parlava di psicofarmaci, potremmo aggiungere che l’algoritmo sia la versione attuale del vecchio soma del Mondo nuovo. E che, esattamente come il soma, ci regali un’illusione d’immortalità; riteniamo infatti che nella Silicon Valley ci sarà sempre il nostro algoritmo a sopravviverci e che anche in nostra assenza potrà elaborare in eterno le nostre idee, vivere i nostri amori possibili, reagire a ciò che di nuovo capiterà nel mondo come se noi fossimo ancora presenti. È una forma spaventosa di conquista dell’immortalità, in cui facilmente possiamo vedere la reincarnazione del mito del doppio innestato nel mito di Faust e del suo patto col diavolo. Senza accorgercene è come se avessimo già venduto l’anima immortale a qualcuno che ha lusingato, ancora una volta, come nel Mondo nuovo, la nostra vanità e il nostro bisogno di sicurezza. Sempre volendo proseguire in questa suggestione, non è neanche difficile immaginare, a questo punto, portandola alle estreme conseguenze, che possa instaurarsi anche un inquietante mercato di anime: qualcuno interessato alla nostra anima potrà sempre rivolgersi ai proprietari del nostro algoritmo e concludere l’affare. Si tratta di una prospettiva distopica, fantascientifica, ma non è una prospettiva completamente irragionevole.

 

L’algoritmo è capace di simulare la nostra coscienza e agisce in ambienti che ormai frequentiamo costantemente, come quelli dei social network, che ci costringono in una bolla digitale capace di replicare e di prevedere le nostre scelte e parte dei nostri pensieri. Forse siamo arrivati alla fine di questa ricognizione psichedelica e, tra poco, sarà tempo di riconsiderarla con pudore, scetticismo e perfino con un po’ di tenerezza per via della sua spensierata scorribanda nelle inquietudini adolescenziali più viete. Ma, prima che arrivi quel momento, si possono sfruttare gli ultimi giri di cervello per ritornare a quel luminoso mattino del maggio del 1953, a Los Angeles, a casa di Huxley. Il dottor Osmond, timoroso e spaventato, stanco del viaggio, dopo i convenevoli che la sua giacca di tweed ci fa intuire, si toglie gli occhiali e consegna a Aldous Huxley, con la raccomandazione di diluirla bene in acqua, la sua dose di mescalina. Che cosa avvenne dopo l’assunzione? Ormai, scientificamente, lo sappiamo: il cervello di Huxley prese fuoco e raggiunse, in un certo senso, l’universo neoplatonico. Si accese, iniziò a irradiarsi e a dissolvere la sua stessa riconoscibilità neurologica. Nel variopinto vocabolario psichedelico, forse, è oggi questa la parola da sottolineare, la parola chiave per la guerra spirituale in corso: irriconoscibilità. Per resistere al mondo algoritmico del deep learning digitale, bisogna sapersi rendere irriconoscibili, inclassificabili, imprevedibili. Occorre avere cioè un cervello capace di mettere in scacco l’algoritmo che è programmato per diventare noi; serve sviluppare un’intelligenza umana in grado di sopravanzare il passo dell’intelligenza artificiale. Bisogna rendersi unici. Quel mattino di maggio del 1953, i passi felpati del dottor Osmond forse non sapevano ancora dove stavano andando. Ma Huxley, qualche istante dopo, aveva capito fino in fondo che cosa era in gioco. La strada psichedelica era nuovamente aperta, ed era una strada antica e venerabile, la stessa dei sapienti greci e degli dèi antichi. Sono loro a ricordarci da millenni che non si dà vera conoscenza senza danza, gioia e ebrezza. Turn on, tune in e, soprattutto, drop out.

 

Prefazione a A. Huxley, Moksha. Scritti sulla psichedelia e sull'esperienza della visione, Mondadori 2018.

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