Speciale

Gianni Celati. Conversazioni del vento volatore

28 Giugno 2011

Dalle coste romagnole devastate da una mareggiata si vola all’Africa misteriosa dei romanzi di Conrad e da lì in un campus universitario americano degli anni Settanta, poi al British Museum, fra gli scaffali di una biblioteca, e poi nell’oriente favoloso dei novellatori, fino ad arrivare a gran velocità in un pianeta abitato dagli alieni, e sempre, sullo sfondo, il deserto come vuoto fondativo di ogni possibile immaginare.

 

La prima impressione che lascia la lettura delle Conversazioni del vento volatore di Gianni Celati, libro da poco uscito per la casa editrice Quodlibet, nella collana Compagnia Extra diretta da Ermanno Cavazzoni e Jean Talon, è proprio il senso degli orizzonti vasti, di uno sguardo che osserva i dettagli per alzarsi subito in volo a cercare un punto più alto da cui guardare le cose. I discorsi su argomenti diversi che troviamo qui raccolti, storie di viaggi, di libri, di passioni cinematografiche, di ricordi autobiografici, di osservazioni sul mondo che cambia, di pensieri sulla scrittura e sul  tempo presente, seguono l’andamento fluido delle conversazioni a quattr’occhi: “Scrivere è come conversare con chi ci leggerà, - si dice nella Premessa - e il conversare è qualcosa che ci trasporta come un vento, non sappiamo mai bene in quale direzione. Qui viene chiamata ‘vento volatore’ questa spinta atmosferica che investe le parole sparpagliandole in argomenti vari”.

 

Leggendo questi scritti ci troviamo di fronte a continue scoperte, come se a ogni svolta si aprisse una prospettiva impensata, da cui scorgiamo un angolo di paesaggio che non ci saremmo aspettati di vedere. Il procedere rapido che la conversazione comporta, rispetto ai tempi lenti del saggio a struttura argomentativa, consente dei voli vertiginosi nello spazio e nel tempo che altrimenti sarebbero impossibili: L’avventura verso la fine del XX secolo, per esempio, condensa in poche pagine cinquant’anni di storia americana, passando attraverso il cinema, il movimento di contestazione, i nuovi costumi sessuali, i grandi classici della letteratura, la politica editoriale e i personaggi dei romanzi d’oggi, con un moto apparentemente divagante.

 

La forza del vento volatore consente di andare lontano, senza che tuttavia si abbia mai l’impressione di sentirsi persi: ci sono infatti, in questo libro, molti richiami, che creano i ritorni musicali dello spartito, le toniche che ci guidano nell’universo immaginativo di Celati come le linee concentriche di un’impronta digitale. Ecco allora i suoi temi prediletti: il racconto e il tempo, la musica delle parole, lo spirito della novella, la narrazione come sentito dire, l’incompatibilità fra il romanzo e la cronaca, la letteratura come “fenomeno asociale” e come “punto d’incontro del pensiero”, il linguaggio come campo di emozioni, la “qualsiasità”, il primato del documentario sul cinema di matrice hollywoodiana, l’amicizia e la collaborazione con il fotografo Luigi Ghirri.

 

All’origine di questi discorsi ci sono brevi saggi pubblicati in rivista, lezioni universitarie e alcune delle più belle interviste che Celati ha rilasciato negli ultimi anni, punti di snodo cruciali per avvicinarsi al suo modo d’intendere la scrittura letteraria e il cinema: Lo spirito della novella, splendido ragionamento sulle origini e l’eredità di un genere, Sulla fantasia, Documentari imprevedibili come i sogni, sono già da tempo materia di studio nei corsi universitari. La modesta proposta di Celati per il prossimo millennio trova i suoi antenati ideali nella tradizione della novella, “racconto d’un racconto già sentito”, “esibizione in un luogo di amichevoli conversari”, con i suoi cerimoniali, i punti memorabili, il gusto delle parole, la rarefazione della materia narrativa che il romanzo moderno, troppo attento ai cosiddetti fatti e alla cosiddetta realtà, ha dimenticato.

 

Nelle Conversazioni del vento volatore troviamo molte delle linee con le quali è possibile comporre il disegno di una poetica, a cui Celati è rimasto fedele negli anni, a partire da quello che a suo parere va lasciato fuori, irrimediabilmente: il romanzo di successo, le belle storie da collocare sul mercato, la cronaca fatta passare come operazione letteraria, la lingua standardizzata per rendere più facile il lavoro dei traduttori e dei piazzisti. “La letteratura contemporanea – si legge in Due anni di studio nella biblioteca del British Museum - è uno specchio di questo processo, e diventa più astratta, più tesa a rimuovere ogni trauma dietro una facciata di parole professionali. Ma ecco la pazzia ambiziosa di andare a tutta spinta controcorrente, solo perché altrimenti non sai cosa fartene di te stesso”.

 

Bisogna allora “defurbizzare” la letteratura, togliere di mezzo l’a-priori pubblicitario, “sganciarsi da questo totale inganno chiamato ‘economia’ (il termine giusto sarebbe ‘usura’)”. È stata questa, negli anni, da Comiche, romanzo sperimentale del 1971, ai racconti dei Costumi degli italiani, la scelta non facile di Celati, che non ha fatto “nessuna carriera letteraria”, come lui stesso dice, e che ancora aspetta di vedere ripubblicati i suoi libri più belli: quest’anno, in aprile, è uscito da Fandango un cofanetto, Cinema all’aperto, con i suoi primi tre film, mai distribuiti fino ad oggi; in autunno sarà distribuito il suo ultimo film, Diol Kadd. Vita, diari e riprese in un villaggio del Senegal, premiato al Festival del cinema di Roma; sempre in autunno si avvierà la ristampa dei suoi libri. Che sia finalmente cambiato il vento?

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