Guida al primo millennio cristiano

3 Gennaio 2014

Nel 1884, a Madaba, nei pressi dell’odierna Amman, fu scoperto uno straordinario mosaico pavimentale. Realizzato nella seconda metà del VI secolo dopo Cristo, il mosaico raffigurava una mappa della Terrasanta molto simile a quelle che i pellegrini tardoantichi dovevano avere in mente quando decidevano di partire alla volta di Gerusalemme. Per essi e per l’anonimo mosaicista Gerusalemme era al centro del paesaggio e del mondo, come lo è per Robert Louis Wilken e il suo I primi mille anni. Storia globale del cristianesimo (Einaudi, Torino 2013, trad. di Chiara Veltri; ed. or. Yale University Press, New Haven 2012 – il titolo inglese è leggermente diverso e la differenza, come argomenterò alla fine della mia recensione, è significativa: The First Thousand Years. A Global History of Christianity; il riferimento a Madaba è a p. 131).

 

 

Il cambiamento rispetto al suo precedente libro apparso in traduzione italiana (The Christians as the Romans Saw Them, Yale University Press, New Haven-London 1984 e 2003: I cristiani visti dai Romani, Paideia, Brescia 2007, trad. di Franco Bassani) non potrebbe essere più evidente.  Spostando il proprio centro da Roma a Gerusalemme, è facile presentare anche a un pubblico di non specialisti una sorta di guida dei fatti e della letteratura secondaria sulla quale essi si fondano. Gli inizi a Gerusalemme (do in corsivo i titoli di alcuni dei trentasei capitoli del libro) sono imprescindibili dalle fasi della diffusione del cristianesimo e dalla creazione di una comunità cristiana. Le divisioni interne nacquero nella città che era già stata al centro dell’antico Testamento e si diffusero in tutto il mediterraneo orientale. Anche quando Roma divenne un centro rilevantissimo per la nuova fede, La Gerusalemme cristiana non cessò di attirare gli sguardi dei seguaci di una religione che nel IV secolo dopo Cristo poteva già considerarsi “antica”.

 

L’entusiasmo per Gerusalemme fu (ed è) tale che Wilken ricorda nuovamente il mosaico pavimentale di Madaba nel capitolo dedicato al sacco di Gerusalemme, assegnandolo ora (p. 320) all’VIII secolo. La differenza – non piccola – può forse essere spiegata dal fatto che, secondo Wilken, qualcosa di così sfuggente come il «cuore dei cristiani» fu gravemente turbato dal saccheggio della città da parte dei Persiani nel 614, mentre è per noi più rilevante che sia una versione georgiana del resoconto di un testimone oculare della presa della città (Antioco di Mar Saba, in Giudea) a narrare di una «città che era un rifugio per tutti i cristiani e un bastione del loro impero» (p. 322).

 

Nel VII secolo Gerusalemme non era né l’una, né l’altra cosa; nello stesso tempo, lo era per l’autore della versione georgiana della Presa di Gerusalemme del monaco Antioco. Uno dei meriti dei Primi mille anni sta proprio nella sua capacità di mostrare tutto quanto, nel primo millennio, stava intorno e oltre Roma e Gerusalemme. L’Egitto e i copti, la Nubia, l’Etiopia (una Sion africana), i cristiani di lingua siriaca, l’Armenia e la Georgia, l’Asia centrale, la Cina e l’India, i cristiani di lingua araba e il cristianesimo di lingua slava: per ognuna di queste realtà è possibile trovare una pluralità di istituzioni che siamo abituati a chiamare chiese e che solo una forma di pigrizia fa chiamare, in maniera certo più rassicurante, Chiesa (cattolico-romana?). Anche I primi mille anni utilizza più volte la parola “Chiesa” dove “chiese” sarebbe stato molto più opportuno. Non si tratta di un semplice problema di numero, come non lo è scelta di tradurre il sottotitolo a cui ho già accennato (A Global History of Christianity) con Storia globale del cristianesimo.

 

La peculiarità globale del cristianesimo del primo millennio è certa – «Dovunque sia stato adottato il cristianesimo è sorta una struttura, attraverso la persona del vescovo, che ha fornito continuità con il passato cristiano e unità tra cristiani in altre parti del mondo» (p. 412); meno certe, mi pare, sono le implicazioni che Wilken ne trae (p. 414):

 

Il cristianesimo è una religione orientale e la sua patria è il Medio Oriente. Un’altra posizione chiave è quella di Gerusalemme. Era situata all’estremità occidentale di una vasta area di lingua aramaica e a quella orientale di un Impero che si estendeva fino alle Isole britanniche a ovest. Il profeta Isaia dice che “affluiranno tutte le genti […] sul monte del Signore” (Isaia 2:2). Gerusalemme accolse popoli da Oriente e Occidente e, se si pensa, alla Città Santa, non si può dimenticare la dimensione globale del cristianesimo.

 

Non c’è dubbio che il cristianesimo sia una religione orientale e che la sua patria sia il Medio Oriente, come è indubbio che Gerusalemme abbia una certa rilevanza per tutti coloro che si professano “cristiani”. Sono elementi che oggi appaiono pacifici, ma che sono il frutto di una storicizzazione anche troppo recente, come recente è l’uso estensivo della parola “globale”. Una storia globale del cristianesimo del primo millennio non può coincidere con la Storia globale del cristianesimo realizzatasi dopo il XVI secolo, quando davvero tutto il globo fu raggiunto dalle istituzioni e dal messaggio cristiano; l’ecumene cristiana del primo millennio non è la storia globale degli ultimi due decenni ed è indubbio che la storia delle chiese non è la storia della Chiesa (cattolico-romana). Dunque, chi cercasse nei Primi mille anni una guida “globale” resterebbe fortunatamente deluso.

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