Bologna, Milano, Torino, Roma, Parma, Cagliari, Andria e Livorno / I repertori dei matti (IV)
Settembre è un mese che ci sono un sacco di festival, in Italia e io vado dove mi invitano e di solito ci vado volentieri. L’anno scorso, per esempio, a settembre ero stato al Festivaletteratura di Mantova, al festival della follia di Teramo, al festival Torino spiritualità di Torino, dove mi avevano avvisato che, qualche mese dopo, all’inizio del 2016, avrebbero fatto un festival dell’amore, a Torino, e lo hanno poi fatto davvero, dopo ero stato al festival della punteggiatura di Santa Margherita Ligure e poi al festival della lettura per ragazzi Passa la parola di Modena, e a Modena ero arrivato direttamente da Santa Margherita Ligure e siccome i treni non eran comodissimi ero arrivato un po’ in anticipo, avevo fatto un giro per la via Emilia e mi ero imbattuto in un cartellone che avvisava che a Modena, Carpi e Sassuolo (gli stessi posti dove si fa il festivalfilosofia), era in corso, quel fine settimana, un festival della gastroenterologia che era un festival che durava tre giorni e che si intitolava Gastroenterologia a chilometro 0 che a me era sembrato un titolo bellissimo mi era venuta voglia di andarci solo che dovevo andare al festival Passa la parola ero andato al festival Passa la parola e lì, davanti al palchetto del festival Passa la parola, avevo trovato Carlo Lucarelli e gli avevo detto che avevo saputo che nel febbraio del 2016, a Torino, ci sarebbe stato il festival dell’amore, e gli avevo chiesto «Perché non organizziamo, io e te, il festival della disperazione?» e a lui questa idea era piaciuta e con Lucarelli avevam convenuto che sarebbe stato il festival più letterario di tutti, il festival della disperazione.
Ecco questo pezzetto, in una forma leggermente diversa, è poi finito dentro un romanzo che si intitola Manuale pratico di giornalismo disinformato che nel febbraio di quest’anno, intanto che preparavamo il Repertorio dei pazzi della città di Andria, sono andato a presentare a Andria, e quando ho letto questo pezzetto, alla fine, Gigi Brandonisio, che è il presidente del Circolo dei lettori di Andria, mi ha detto «Lo facciamo noi, il festival della disperazione» e adesso forse nell’autunno prossimo lo facciamo. Intanto, nel frattempo, sono usciti il Repertorio dei pazzi della città di Andria e il Repertorio dei matti della città di Livorno, che, essendo appena usciti, io ancora non ho idea di come siano i matti di Andria e quelli di Livorno e in cosa siano diversi dagli altri, ho bisogno di rileggerli, di leggerli in pubblico, di presentarli, di parlarne, però finire questa piccola serie con una piccola scelta dei pazzi di Andria e dei matti di Livorno credo che sia una cosa che vale la pena di provare a farla, ho solo paura che venga un po’ più lunga del solito e allora mi scuso in anticipo del fatto che è lunga perché, come diceva Pascal, di farla più corta non ho avuto tempo comincerei con Andria:
Uno girava sempre con una moneta da un centesimo in tasca. La portava con sé ovunque andasse e la tirava fuori per dire al suo interlocutore del momento che lui veniva da Andria e che quello sul centesimo era il Castel del Monte che si trovava ad Andria che era casa sua. Dopo averlo mostrato lo rigirava tra le dita, passava il pollice sul rilievo del castello e rimetteva la moneta in tasca.
Uno, quando svoltava, in macchina, metteva la freccia.
Una aveva deciso di mettere una fotografia di quando era giovane sulla sua tomba, così le persone vedendola avrebbero pensato: “Poverina è morta giovane”.
C’era uno che andava agli spettacoli di Carmelo Bene per dormire tutto il tempo. Se qualcuno gli chiedeva che senso avesse, rispondeva “tu non capisci che bellezza dormire mentre recita il più grande genio italiano”.
Uno creava panico nel traffico perché dava sempre la precedenza.
C'era uno, detto Kawasaki, che conduceva un programma di canzoni neomelodiche su una televisione locale, portava un caschetto biondo che ricordava vagamente quello di Nino D'angelo e il suo cavallo di battaglia era Nu latitante del celebre Gianni Celeste. Si commuoveva fino quasi alle lacrime sul ritornello che faceva “Nu latitante nun tene cchiù niente, luntano rr'o bbene a’ nascuse d'a gente l'ultimo amico addeventa importante pe' fa’ nu regalo a chi aspett’e a papà. Nu latitante è ‘na foglia into viento, nun pò alluccà, nun po' di so innocente, telefona a casa pe' di’ sulamente: dimane è Natale vulusse turnà”. La dedicava sempre agli amici della casa circondariale di Trani.
Una in chiesa al momento dello scambio della pace, cambia banco per non dare la mano alla sorella.
Uno faceva il cantante, lo showman, l’imitatore, l’attore, il cabarettista, il regista, il fonico, lo scenografo, il costumista, il presentatore, il datore luci, l’animatore, il deejay. Alla fine è entrato nel Movimento Cinque Stelle.
Una aveva paura dei bottoni. Non comprava camicie, usava cappotti con la zip, ai fidanzati vietava l’uso di jeans con la patta coi bottoni, non indossava orecchini piatti e larghi che sembrassero bottoni. Il giorno della sua laurea aveva dovuto indossare un tailleur pantalone e, costretta all’uso della camicia, se l’era fatta abbottonare, e poi a sera sbottonare, dalla sua coinquilina.
C’era uno che non aveva digerito la questione del “petaloso” e si era messo a insistere con l’Accademia della Crusca per il riconoscimento di “Inzivoso, zilloso e zaqquaro (da cui zaqquaroso)” senza mai ricevere risposta. Poi un giorno gli ha scritto “Salve, ho una domanda per voi su una parola da me creata. Secondo voi si può usare l’aggettivo “porcodioso” per descrivere una persona o una situazione stressante che induce a bestemmiare? Esempio: oggi mi sento porcodioso, ho avuto una giornata porcodiosa. Grazie mille per il lavoro che fate, vi seguo sempre”.
Uno, visto che non lavorava più, passava le giornate al bar di Manuele in via Trani. Beveva Campari, diceva i fatti suoi. Diceva di essere andato in pensione da poco e che aveva fatto da mezzano guadagnando bene, fin da quando era ragazzo. Diceva che ora quei soldi se li spendeva volentieri viaggiando e con le femmine soprattutto. Che lui era un esperto di femmine.
In modo particolare raccontava del viaggio a Roma e di come era andata a finire. Che era andata a finire con lui che si faceva Valeria Marini. Si era fermato da qualche parte vicino a Cinecittà e se l’era fatta. Se l’era scopata, sì. In macchina. Nella Punto Blu. Che quella gli aveva chiesto un passaggio e lui che doveva dire di no?
E raccontava pure di quella volta in Sardegna. Al Billionaire. Quello faceva il di più in pista e lui per sfregiarlo aveva approcciato la sua donna e dieci minuti e un paio di campari dopo era lì nel bagno del Billionaire a farsi Naomi Campbell. A fare cornuto Briatore, diceva mettendo il petto in fuori.
E quando uno gli chiedeva: “ Ouh, ma qual è il segreto per farsi di dire di sì? Nel senso, ma tu come cazzo fai a fartele tutte?” lui semplicemente rispondeva che “Ouh, non è una questioni di soldi o non soldi… di bellezza o non bellezza o chissà che segreti… teu alla femm’n l’adda fè ‘nnammurè!” (tu alla femmina la devi fare innamorare).
Uno faceva lo speaker alla radio e per sopperire alla mancanza di mezzi tecnici faceva da solo l'effetto eco delle parole che diceva. Ad esempio quando apriva la trasmissione e diceva “Buonasera amici della notte, benvenuti a questa nuova puntata di musica italiana” allungava per un tempo indefinito, mai uguale, l'ultima sillaba all'incirca delle parole e quindi diceva “Buonasera-era-era, amici-ici-ici, della-ella-ella, notte-otte-otte” e così via. Il tutto a sua completa discrezione, poteva infatti capitare che l'eco si potesse ascoltare solo su alcune parole e quindi “Ciao-ao-ao, Paolo-olo-olo, grazie per aver chiamato in trasmissione, quale-ale-ale, canzone-one-one, preferisci ascoltare?”. Capitava che qualcuno del pubblico chiamasse in trasmissione e alla sua domanda “Ciao-ao-ao come ti chiami-ami-ami?”, quello rispondeva “Sei un coglione-one-one”. A quel punto, senza l'effetto eco, si scusava con il pubblico dicendo che nell'ultimo periodo c'erano un sacco di interferenze sulla frequenza.
C'era uno che aveva litigato con "Mazinga Z" ma non si ricordava più perché.
C'era uno che era capace di aspettare anche un'intera giornata davanti ai cartelloni che raccoglievano i manifesti funebri. Appena qualcuno arrivava per guardare uno dei manifesti si avvicinava e con estrema naturalezza diceva “Statt attind ca u prossm si teu”. (Stai attento che il prossimo sei tu).
Livorno:
C'era uno che andava sempre in autobus, si sedeva e al suo vicino, quasi sempre una donna, chiedeva: “Signora, è stanca?”. Quando quella rispondeva di sì (e di solito rispondevano sempre di sì, perché a Livorno erano sempre tutti stanchi, anche quelli che non facevano niente dalla mattina alla sera), lui cominciava: “Lo vuole un consiglio? Si metta così (e allungava le gambe), poi faccia così (e alzava le braccia sopra la testa) e poi così (e ruotava piano la testa a destra e a sinistra)". D'estate invece andava al mare, passeggiava sul bagnasciuga, si avvicinava a un bagnante, quasi sempre a una donna, e diceva: “Signora, si vuole abbronzare?”. Quando quella rispondeva di sì (e di solito rispondevano sempre di sì, perché a Livorno tutti volevano abbronzarsi, anche quelli che ormai avevano la pelle incartapecorita dal sole), lui cominciava “Lo vuole un consiglio? Si metta così (e allungava le gambe), poi faccia così (e alzava le braccia sopra la testa) e poi così (e ruotava piano la testa a destra e a sinistra)".
C’era uno che passava le giornate affacciato alle finestre aspettando l’incidente.
Uno andava sempre a tagliarsi i capelli da un parrucchiere vicino alla stazione. Tutte le volte entrava, si sedeva e diceva “Oh, mi raccomando me li devi taglia’ che non si vede che me l’hai tagliati.”
Una era quella che aveva la fissa delle pulizie, prendeva l’aspirapolvere in mano ogni volta che cadeva un biscotto, o un pezzo di pane. Aveva una donna delle pulizie che veniva tutti i lunedì mattina, e se la chiamavi la domenica pomeriggio per proporle un cinema o una passeggiata sul mare ti diceva: “Scusa ma non posso, devo dare una sistemata a bagno e pavimenti, perché domani viene la Pamela a pulire”.
Una signora, avanti con l’età, si era innamorata di Bernacca ed era convinta che le previsioni del tempo nascondessero messaggi per comunicarle il giorno e l’ora in cui lui sarebbe passato a prenderla per fuggire insieme. Allora teneva sempre pronta una borsa con le sue cose. Alle otto di tutte le sere si cambiava d’abito, si truccava e si sedeva davanti alla tv. Quando Bernacca parlava di alta pressione voleva dire che la desiderava molto, se citava invece l'anticiclone delle Azzorre allora era un po' arrabbiato con lei, se su tutta la penisola c'era il sereno lei iniziava a tirare fuori la borsa. Un giorno Bernacca aveva spiegato dove si formano gli uragani: “si formano sugli oceani, in prossimità dell'equatore dove convergono gli alisei, quelli provenienti da nord-est e quelli provenienti da sud, che creano quindi delle piccole zone di bassa pressione, delle depressioni insomma, che seguendo le correnti degli alisei verso ovest, si ingigantiscono formando degli ammassi cumuliformi enormi”. Lei era rimasta in piedi, impietrita, a fissare il televisore. Aveva lasciato cadere per terra la borsa e aveva gridato “Oh brutto cornuto! E tu così me lo dici?”.
C’era un Sindaco che voleva istituire l’anagrafe del Dna dei cani. Voleva analizzare e schedare il Dna di tutti i cani in modo da poter poi mandare in laboratorio le cacche raccolte sui marciapiedi, risalire ai proprietari e sanzionarli. Sarebbe stato bello vedere i vigili urbani repertare le deiezioni canine, ma poi non se n’era fatto di nulla.
C'era uno al bar che giocava sempre a briscola da solo. Si dava le carte, stava attento a non barare e dopo poche mani si alzava dal tavolo e, con aria esultante, gridava "Ho vinto".
Uno era quel cittadino che aveva fatto la multa a un’auto dei vigili parcheggiata male davanti all’Accademia Navale. Aveva lasciato sul parabrezza un foglietto con scritto ‘Multa per parcheggio fuori dalle strisce e in senso di marcia contrario: 40 euro trattato bene’.
C'era un meccanico di biciclette e motorini, che a tutti quelli che stavano lì ad aspettare che lui finisse il lavoro chiedeva: “Ma te quanti anni avevi quand'eri piccino?”.
C'era uno che dava monetine a tutti i mendicanti che incontrava e gli diceva "Toh, vattici a drogare".
Uno soffriva talmente tanto da doversi alzare presto la mattina che quando poteva dormire rimetteva lo stesso la sveglia, la faceva suonare e poi, con un ghigno di rivalsa, le diceva “ma vai in culo!” e la spegneva rimettendosi a dormire.
Uno era capace di cantare l’inizio dell’inno italiano ruttando.
C’era uno che quando ascoltava la radio diceva: “Ma queste cantanti di oggi: Emma Marrone, Malika Ayane, Alessandra Amoroso. Ma quanto c’avranno, vent’anni? E stanno sempre lì a cantare di depressione, oddio mi hai lasciato, mi voglio ammazzare, senza di te come farò. Io Boia! Dovrebbero parlare di trombare, come mi va di chiavare, mi devi pipare ancora di più. Ecco di che dovrebbe cantare una che c’ha vent’anni. Sanno una sega loro della vita di merda, sanno.”
Uno era pensionato e girava con il megafono in mano e un cappellino da marinaio in testa. Si appostava davanti alle scuole e alle università per distribuire volantini e esprimere la sua opinione sul Papa e sullo Stato proponendo stravaganti soluzioni matematiche e economiche alla condizione umana. Oltre alla sua presenza ricorrente davanti agli istituti di istruzione, si prodigava nell’indirizzare lettere di lamentela a giornali e caserme dei carabinieri.
Nel 1997 aveva scritto al “Signor Comandante della Legione dei Carabinieri di Livorno che vale anche per il signor Questore”:
Faccio presente che è la seconda volta che vengo spintonato dai carabinieri, per allontanarmi dalla Piazza dove è ubicata la scuola del “Vespucci”, per disturbo. Il gesto è inammissibile per tre motivi, 1° perché la legge protegge gli ultrasettantenni 2° perché sono una persona buona ed umana 3° per i messaggi che megafono. I professori universitari, e di conseguenza tutti gli altri, sono ignoranti inconsapevoli; da dove derivano tutti i guai, della vita umana; ad incominciare dalle guerre nelle famiglie: genitori contro genitori, figli contro genitori. Queste guerre in famiglia si proiettano nella società; come, ad esempio, le guerre fra studenti e insegnanti; che a sua volta producono guerre fra i popoli. Il sottoscritto ha risolto questo eterno problema! Ci siamo venuti a trovare improvvisamente tutti ignoranti inconsapevoli, (io fino a ieri), Papi, Re, Presidenti, Ministri, Senatori, Deputati, Cardinali, Gesuiti, Professori, Presidi, Bidelli, Sindaci, Assessori, Consiglieri, Gianni Agnelli, Marzotto, Benetton, preti, carabinieri, poliziotti, vigili, figli, insomma tutti nessun professore ha la titolarità di insegnare ignoranza. I professori che si rifiutano vanno considerati delinquenti e ladri che si fregano gli stipendi pagati dagli studenti. Peggio! Perché trasmettono ignoranza alle nuove generazioni! Questo non deve accadere più! Capito Papa! Presidente della Repubblica Italiana Luigi Scalfaro! Spero che il comandante della Legione dei Carabinieri e il Questore vaglino il caso e lo trasmettano alle istituzioni Centrali.
A Livorno c’è un coro montanaro.
Poi c’era pure un tizio, vestito sempre di nero, con il maglioncino a collo alto stile chansonnier de la Rive Gauche, la sciarpa nera e la giacca nera stancamente appoggiata sulla spalla, che con un amico pure lui vestito di nero aveva messo su un gruppo musicale che si chiamava Duo Novembre, e cantavano solo canzoni tristi tipo Marinella di De Andrè o Lilly di Venditti.
Uno che era un anarchico più che ottantenne e che aveva imparato da solo a leggere e scrivere, viveva nel quartiere della Venezia al quarto piano in una soffitta. Ogni mese andava alla sede della Fai, la federazione anarchica, che allora ancora esisteva e aveva sede nel centro storico in una villetta fine ottocento e si prendeva un libro da leggere dalla piccola biblioteca perché, come diceva lui, amava l’umanità e ne aveva grande rispetto nonostante tutti i mali che gli uomini si facevano l’un l’altro. La sera quando andava a letto non si metteva il pigiama ma indossava l’unico vestito buono che aveva: giacca e pantaloni scuri, camicia bianca, calzini. A terra il paio di scarpe e di lato appoggiava solo il cappello e un fazzoletto nero già annodato alla Lavallière.
Diceva che così, se lo trovavano morto nel letto, non doveva dare il disturbo agli altri di spogliarlo e rivestirlo.
Il Repertorio dei pazzi della città di Andria è stato scritto da Lella Agresti Gigi Brandonisio Saverio Capozza Andrea Colasuonno Vittorio Continelli Vincenza Di Schiena Marica Di Teo Micaela Di Trani Gianluca Falcone Flavia Fortunato Nadia Gelsomina Francesca Giorgio Claudia Nicolamarino Gabriella Nocera Viviana Peloso Pasquale Pisani Pasqua Pollice Nicoletta Santovito Sabrina Sardano Giusanna Tattolo. Gli incontri per la stesura del Repertorio dei pazzi della città di Andria, organizzati dal Circolo dei Lettori di Andria, si sono tenuti alla Cooperativa Sociale Il Trifoglio di Andria tra il febbraio e l’aprile del 2016. Il Repertorio dei matti della città di Livorno è stato scritto da Piero Arilli Gloria Benini Marco Bennici Marina Chelini Raffaella Daino Luca D’Alessandro Sabet Durio Beatrice Galluzzi Raffaella Geracitano Andrea Grandi Landa Grazioli Stefania Lami Massimo Lapi Silvia Londi Susanna Masi Francesco Mencacci Michela Pagni Giulia Pappalardo Francesco Parasole Valeria Piccini Marta Romano Tagliavia Diego Rossi Eliana Salvadori Alice Scuderi Paolo Signorini Alessandro Volpini. Gli incontri per la stesura del Repertorio dei matti della città di Livorno, organizzati dalla Scuola Carver di Livorno, si sono tenuti in via Roma 69, a Livorno, tra maggio e luglio del 2016.