La cura e la passione per l’editoria
Quando si prova a ragionare sul futuro di qualcosa, di qualsiasi cosa, ci si inviluppa quasi sempre in un’infelice polarizzazione: le opinioni più svariate – perché, ricordo, quando si parla del futuro abbiamo solo opinioni, e nessuna certezza – si agglutinano come elettroni nostalgici intorno a due posizioni di per sé opposte. É successo lo stesso con la diffusione degli ebook, i libri digitali: all’angolo destro i sostenitori indefessi del libro di carta, i partigiani della cellulosa, gli sniffatori di copertine, gli editori sbeffeggianti; all’angolo sinistro i futuribili promotori della lettura in digitale, i devoti di ciò che vuole la tecnologia, gli scartati alle selezioni della pubblicazione che nel digitale trovano la loro rivalsa. Succede. Poi finalmente arriva il momento della pace, della sintesi dialettica, degli assestamenti: si piangono le vittime – come in ogni scontro ci sono sempre delle vittime – e le cassandre si fanno belle con i “ve l’avevo detto io”.
Chi ha a cuore il destino dell’editoria farebbe bene allora a dotarsi di pazienza e precisi strumenti di misurazione, perché tutto ciò che possiamo dire è che le cose stanno cambiando e tutto ciò che possiamo fare è provare a governare il cambiamento, dirigendolo secondo dei valori. Non so se per editori, scrittori, critici, redattori, tipografi e tanti lettori vale lo stesso, ma per me quello che conta è la diffusione dei saperi, la socializzazione delle conoscenze, la moltiplicazione delle conversazioni: tutte cose (processi, diremmo) che le tecnologie digitali, oggi più di ieri, favoriscono. D’altro canto, come sempre accade, i processi assumono forma all’interno di strutture determinate: per esempio, non si capisce come cambia la socialità contemporanea se non si conoscono nel dettaglio le impostazioni e i modi di funzionamento di Facebook. Parimenti, non si può avere un’idea precisa delle trasformazioni in atto nell’industria editoriale se non si ha una certa familiarità con i meccanismi, le procedure, le possibilità, le sperimentazioni dell’editoria digitale.
Prendiamo le biblioteche, per esempio, che rivestono un ruolo importantissimo nella diffusione libraria. Da un po’ di tempo a questa parte, oltre a libri e cd e dvd, in alcune biblioteche pubbliche si possono prendere in prestito anche degli e-reader precaricati con degli ebook (come alla Fucini di Empoli) oppure accedere a servizi di digital lending. Prende così forma un’idea nuova di biblioteca, tutta ancora da costruire, che si confronta da un lato con i tagli delle risorse pubbliche e dall’altro con l’evoluzione degli strumenti e delle modalità di fruizione della lettura.
Oppure prendiamo la scuola e l’università. Si dice che in classe si andrà presto solo con l’ebook, che in questo modo le schiene dei nostri figli non soffriranno del peso di zaini e cartelle e i portafogli dei genitori non saranno alleggeriti come in passato dall’acquisto di esosi libri di testo (contribuendo in tal modo a quasi il 20% del fatturato complessivo del mercato editoriale italiano). Ma come si fa a studiare su un iPad? Di più: come si fa a insegnare attraverso un tablet? Come ne risentono l’apprendimento, la memoria, la capacità critica? Come si scrivono manuali esclusivamente digitali?
E le librerie? Da due anni a questa parte non si sente parlare d’altro che di librerie che chiudono, o perché strozzate dal crollo dei consumi librari o perché vittime della formidabile concorrenza dei negozi on-line. Se qualcuno accusa “il digitale” di tale crisi, altri, più costruttivi, provano a ragionare su come quelle stesse tecnologie digitali riusciranno a ridefinire il ruolo dei librai, la loro formazione, le modalità di vendita, i percorsi alla scoperta dei titoli che come lettori ci possono interessare.
Tutte queste questioni, e molte altre, hanno a che fare non solo con modelli e processi industriali: l’editoria si trova nella scomoda posizione di essere allo stesso tempo soggetta a e veicolo di quelle trasformazioni portate dalle tecnologie digitali (un po’ come un avvocato divorzista che si sta separando). Questo doppio ruolo, in questo periodo di transizione, va gestito con cura e passione, perché, allargando lo sguardo, si vede subito come in gioco non ci sia solo il destino di un settore industriale ma anche le politiche culturali, educative e sociali dell’intero paese. Ed è per questo che la discussione intorno al suo futuro va allargata a quanti più soggetti sia possibile.