La reale violenza virtuale
Mettetevi scomodi. Comincia così il libro di Francesco Striano Violenza virtuale. Vita digitale e dolore reale, mettendoci subito in guardia, portandoci in una dimensione di ascolto attento che lascia spazio anche a provare disagio, forse impotenza e rabbia. L’autore ci porta a contatto con un tema quanto mai attuale attraverso una profonda, ma accessibile, riflessione sulla violenza virtuale e più precisamente sulla violenza sessuale digitale. Lo scritto affronta la relazione tra “vita digitale” e “dolore reale”, andando oltre una visione dicotomica, che vede “digitale” e “reale” come due mondi non comunicanti fra loro.
Una riflessione su che cosa è virtuale e che cosa non lo è ci accompagna partendo dalla nascita di Internet e dei nuovi media, passando attraverso lo sviluppo dei social network per giungere alle grandi piattaforme che monopolizzano informazione e attenzione. Ci siamo chiesti in passato se essere amici su Facebook equivalesse ad essere amici in real life e se l’identità che si costruisce tramite un profilo Instagram sia pura finzione, riflesso di un’autenticità forzata e orchestrata per ottenere consenso, approvazione e like. I dispositivi digitali sono diventati onnipresenti nelle nostre vite. Li ritroviamo in azioni abituali quali fare la spesa, andare in palestra, prendere un taxi (o un Uber, per l’appunto), per le quali ricorriamo all’uso di un’applicazione. La distinzione tra “online” e “offline”, pertanto, sembrerebbe non reggere più alla prova dei fatti. In altre circostanze, tuttavia, il confine sembra più sfocato: un commento feroce scritto da qualche “leone da tastiera” (come si sente spesso dire) può davvero fare male? Una violenza come lo stupro è chiaramente un atto molto grave e da condannare. Ma un cosiddetto stupro digitale, che avviene cioè in un contesto online, dove, in apparenza, manca un corpo fisico che riporti i segni del dolore subito, ha lo stesso valore? E quindi, come si chiede l’autore, le azioni che accadono online sono diverse e meno gravi rispetto a quelle cha accadono offline? Si può parlare di un’equivalenza tra violenza online e violenza offline?
Queste sono alcune delle domande che il libro si propone di affrontare da una prospettiva nuova, proponendo una riflessione filosofica che cerca di andare alla radice di questioni solo all’apparenza astratte. Il libro affronta il tema della violenza sessuale digitale in modo progressivo, sviscerando il problema pezzo per pezzo, passo dopo passo. L’impressione è quella di essere presi per mano e accompagnati lungo un percorso impervio che permette di andare più a fondo nel comprendere che cosa vuol dire violenza, in primo luogo, e che cosa intendiamo quando parliamo di violenza sessuale in ambienti digitali, nello specifico.
Uno dei temi principali del volume è proprio quello di andare oltre l’ipotesi dell’esistenza di due mondi, separati e distinti, online e offline, e oltre l’idea che le azioni che succedono in ambienti digitali siano per natura diverse e con effetti differenti da quelle che accadono in ambienti “reali”. Quando parliamo di violenze sessuali digitali, sostiene Striano, dobbiamo prendere sul serio il concetto di agency e responsabilità individuale: il fatto che avvengano in ambienti digitali non esclude che la responsabilità ricada su persone reali.
“Il virtuale non costituisce ‘un altro mondo’, né è meno concreto o materiale del mondo al di qua dello schermo. Se accettiamo questa tesi […] allora bisogna ammettere che le violenze digitali sono violenze reali, con lo stesso grado e statuto di realtà di qualsiasi altra forma di violenza. Ciò che può cambiare è, se mai, la modalità”.
Il volume non si limita a stabilire un’equivalenza tra violenza “virtuale” e “reale”, ma riflette anche sulle differenze che ci possono essere tra azioni offline e online. Striano sostiene che esistono diverse modalità di fare esperienza del mondo, e che queste possono tradursi in diverse modalità di compiere azioni. Un aspetto fondamentale delle violenze sessuali online, infatti, è che sono diverse in quanto mediate dal contesto digitale, ma, non per questo meno “reali”, né meno gravi.
La situazione inoltre è resa ancora più complessa da altre dimensioni che si intrecciano con la responsabilità individuale, prima fra tutte la dimensione culturale. L’autore ci ricorda che le violenze di carattere sessuale affondano le loro radici nella cosiddetta cultura dello stupro. Con questa espressione si intende una serie di norme e convenzioni sociali che giustificano e normalizzano violenze di carattere sessuale e sulla base del genere. La cultura dello stupro è uno dei capisaldi di una società patriarcale “che considera la violenza di per sé un elemento strutturalmente portante del proprio dominio e del proprio modo di costruire separazione e superiorità rispetto a un altro gruppo (le donne)”.
Questo è a mio avviso un punto fondamentale. La violenza sessuale colpisce molto spesso persone che si identificano come donne, proprio perché e in quanto donne. La violenza sessuale è dunque anche una forma di violenza di genere, in quanto riflesso di una violenza strutturale, radicata nella cultura e nelle pratiche sociali, nonché in strutture di potere. Si parla ancora troppo poco spesso di come forme di violenze sessuali colpiscano non solo il genere femminile, ma spesso si intrecciano anche con omo e transfobia. Ugualmente si presta ancora troppa poca attenzione a come questi tipi di violenze abbiano effetti e conseguenze diverse quando il genere si intreccia ad altre dimensioni come la classe sociale, l’etnia, l’età, e la (dis)abilità. Seguendo gli insegnamenti del femminismo intersezionale, è necessario prestare attenzione a come diversi livelli di disuguaglianza si intersecano dando origine a effetti cumulativi sulle persone soggette a violenze sessuali e di genere.
Oltre alla dimensione culturale, non bisogna poi dimenticare che le violenze di cui parla Striano sono mediate dalle tecnologie e dalle piattaforme digitali. Per parlare di violenza sessuale digitale ci si riferisce spesso, prendendo a prestito dall’inglese, al termine “technology-facilitated gender-based violence”, proprio per sottolineare che la violenza non è determinata ma facilitata dalla tecnologia. Si può parlare a questo proposito di una responsabilità sociotecnica negli atti di violenza sessuale digitale, che “lungi dall’assolvere dalla responsabilità individuale, potrebbe spiegare perché gli individui colpevoli di tali atti di violenza fatichino a percepire la propria responsabilità individuale e perché le strutture patriarcali alla base delle loro motivazioni risultino a tal punto amplificate”. Striano ci invita a riflettere sul fatto che le tecnologie digitali possono sembrare “deresponsabilizzanti” in quanto progettate e costruite per dare l’impressione di vivere in un mondo diverso e che questo porti le persone a sentirsi de-responsabilizzate e a non vedere la gravità degli atti violenti perpetrati, contribuendo così anche alla normalizzazione di comportamenti violenti.
Il ruolo che la tecnologia e i nuovi media giocano nella violenza sessuale, e la distinzione tra virtuale e reale, online e offline, è quanto mai attuale se si pensa alle nuove sfide poste dalla diffusione di immagini sintetiche, come i deepfakes, e dal crescente ruolo degli algoritmi di machine learning che abbiamo imparato a conoscere con il nome di intelligenza artificiale. Sempre più ricerche sottolineano la facilità con cui diverse tecnologie possono venire utilizzate per “spogliare” immagini di ragazze e giovani donne semplicemente caricando una foto e cliccando “undress”. Un report dell’Internet Watch Foundation rilasciato a luglio 2024, invece, evidenzia come alcuni modelli di intelligenza artificiale possono venire utilizzati per creare immagini e video di carattere pedo-pornografico. Questi sono solo due esempi in cui il confine tra online e offline, ma anche tra “reale” e “artificiale” riappare come labile: le immagini sono certamente generate attraverso degli algoritmi e quindi, in qualche modo, artificiali, ma gli effetti che possono avere per le persone ritratte e nel mondo “vero” sono estremamente concreti e reali. Il testo “Violenza virtuale”, dunque, pone utili basi per approfondire queste tematiche quanto mai urgenti.
Di fronte al quadro descritto rimane frustrazione, preoccupazione, dolore e sorge una domanda: che cosa possiamo fare per combattere e prevenire questo fenomeno? Proprio come sostiene Striano, riconoscere è il primo passo per cominciare a cambiare la realtà che ci circonda anche nel nostro piccolo, anche nelle nostre azioni quotidiane. Conosciamo quello che riconosciamo e ciò può condurci a guardare la realtà da un’altra prospettiva.
L’autore conclude il volume proprio con una nota personale su come la sua visione della realtà sia cambiata nel corso del tempo e con una domanda: perché un uomo bianco, etero e cis dovrebbe scrivere un libro che parla di violenza sessuale digitale? In effetti, potrebbe essere una domanda legittima. Alcune persone potrebbero arricciare il naso, magari pensare si tratti dell’ennesimo caso di mansplaining – quell’atteggiamento con cui certi uomini pretendono di rappresentare e spiegare alle donne il loro stesso punto di vista, spesso con fare paternalistico e moralista. Io vorrei pensare invece che questo libro lanci un messaggio rivolto a tutte, tutti, tutt* (ebbene sì, non poteva mancare un asterisco in questo pezzo), al di là del genere di chi lo scrive e di chi lo riceve. Un messaggio che ci invita a non rimanere in silenzio davanti alla violenza sessuale e di genere, della quale possiamo essere spettatori anche controvoglia, anche non volendo, per il solo fatto di essere parte di un gruppo WhatsApp o di leggere dei commenti su Instagram. Un messaggio chiaro, semplice, un invito ad alzarsi in piedi e dire “scusate ma io non ci sto”.
In copertina, illustrazione di Isabella Bersellini.