Learning Artificial Life
Alcuni gruppi di ricerca - tra cui il nostro - attualmente stanno cercando di ricostruire la vita cellulare. E' un obiettivo molto ambizioso, ma assumendo che anche gli organismi viventi sono governati da principi fisici e chimici, si può tradurre nell’identificazione e nella codifica di queste regole. L’approccio che ne consegue risulterebbe fortemente progettuale, assimilabile a quello dell’ingegnere meccanico che mette a punto i componenti di un’automobile.
A livello operativo la differenza è sostanziale. Nonostante negli ultimi anni sia stata documentata una crescita esponenziale della quantità - e solo talvolta della qualità - dei dati provenienti da sistemi biologici, ancora non esiste un’idea chiara di come questi funzionino. Siamo probabilmente in grado di descrivere le componenti principali di un organismo vivente, ma come esse diano origine alla vita è tuttora un mistero.
Quello che noi scienziati attualmente possiamo fare consiste nel ricostruire dei sistemi viventi artificiali in grado di imitare quelli naturali, cercando di ricreare il comportamento di ciò che osserviamo con la speranza che anche le regole base che ne descrivono la dinamica si possano a loro volta riprodurre. Prima o poi, in un processo iterativo, saremo presumibilmente in grado di ottenere dei sistemi artificiali talmente somiglianti a quelli naturali da non riuscire più a distinguerli. Da un punto di vista biochimico, questo significherebbe riuscire a caratterizzare le componenti essenziali di un sistema vivente e, di conseguenza, essere in grado di individuare le condizioni minime che distinguono un sistema vivente da uno non vivente. Pensiamo ad esempio ad una cellula. Diversi laboratori cercano di costruire cellule artificiali in grado di eseguire le stesse funzionalità di quelle naturali: replicare il proprio DNA, alimentarsi, crescere e dividersi. Queste caratteristiche sono sufficienti a definire “vivente” tale sistema artificiale costruito in laboratorio?
Uno dei problemi più annosi che riguardano la ricerca sulla vita artificiale è dato dall’intrinseca complessità degli organismi viventi il cui comportamento osservabile è il risultato di un lunghissimo processo evolutivo in cui le parti e le informazioni necessarie sono state selezionate, trasformate e mutate. Ad esempio, le condizioni ambientali degli abissi marini, impossibili per la vita umana, non hanno impedito al processo evolutivo di adattarne delle altre. In pratica, ci troviamo di fronte ad una complessa rete d’interazioni non lineari che permettono l’adattamento e il funzionamento di un organismo.
Ipotizzando di ricreare una cellula artificiale partendo dalle singole parti che la compongono, potremmo riuscire ad ottenere, in laboratorio, qualcosa di talmente simile ad una cellula naturale da non poterle distinguere. Pensiamo ad esempio alle differenze tra diritto anglosassone e diritto continentale: presentano passato storico e dinamiche molto differenti ma entrambi sono alla base del funzionamento dei moderni sistemi legali.
Più verosimilmente, invece, esisteranno sostanziali differenze tra le due cellule. Tutto ciò che consideriamo vivente ha una peculiarità: è in grado di apprendere. Più in particolare, ogni sistema vivente è in grado di percepire l’ambiente che lo circonda, comunicare con esso, adattarcisi e - in definitiva - apprendere. Fino ad ora, la maggior parte degli sforzi nel mondo della ricerca è stata diretta alla creazione di forme di vita artificiale in grado di imitare il comportamento biologico, in un modo molto simile a come potrebbe funzionare un robot. Si è cercato insomma di codificare le regole necessarie al funzionamento, ignorando in toto quella parte essenziale nelle forme di vita che riguarda la capacità di apprendimento. E’ proprio dal campo della Robotica Umanoide che arrivano nuovi sviluppi che mirano ad integrare questa visione di pura imitazione ad una di adattamento e apprendimento. In questo ambito, l’attenzione si sposta sulla definizione di quelle regole in grado di far apprendere, piuttosto che su quei protocolli in grado di far agire il robot secondo qualche schema predefinito. Un esempio molto interessante è il progetto iCub, al quale partecipa anche l’istituto italiano di tecnologia (IIT) di Genova, il cui oggetto di indagine è un robot umanoide che cerca di imitare sembianze e capacità cognitive di un bambino. Grazie a sensori, algoritmi ed attuatori, il robot è in grado di evolvere le proprie funzionalità sulla base di stimoli esterni.
Un approccio analogo può essere utilizzato per creare una cellula artificiale in grado di apprendere?
Se così fosse, dovremmo cercare di dirigere gli sforzi dalla riproduzione delle parti che costituiscono la vita all’implementazione dell’architettura e delle regole che ne guidano il processo di apprendimento: il comportamento finale del sistema sarà solo la logica conseguenza. Un tale filone di ricerca potrà inoltre portare ad una migliore comprensione del significato di essere vivente e i primi passi in questa direzione esistono già. Solo qualche mese fa, due laboratori di ricerca statunitensi, Stanford e MIT, hanno dimostrato come sia possibile ingegnerizzare un meccanismo di memoria cellulare, un prerequisito per lo sviluppo di un sistema di apprendimento. Questi recenti progressi mostrano solo un inizio mentre la strada verso la creazione di una cellula artificiale in grado di apprendere è ancora molto lunga. Vale però la pena di cominciare a pensare a quale sarà la domanda successiva, ovvero: un sistema artificiale in grado di apprendere può definirsi intelligente? Forse, a quel punto, ambiremo a voler ingegnerizzare una cellula artificiale in grado di codificare l’intero processo cognitivo.