Yang Mao-Lin / Made in Taiwan
Dagli anni ottanta, l’artista taiwanese Yang Mao-Lin sviluppa un’opera ricca di riferimenti e di impegni con la storia, il territorio e l’identità contemporanee di Taiwan, che fu celebrata da una importante retrospettiva al museo delle belle arte di Taipei da gennaio ad aprile 2016. Già nel 1990, Yang presentava al museo di Taipei una serie di dipinti sotto il titolo di Made in Taiwan, ripreso da quest’ultima mostra, che può essere considerato come emblematico di una lunga riflessione nella sua creatività. Lo slogan ‘Made in Taiwan’ lo conosce il mondo intero; è il simbolo della produttività, del dinamismo economico, tecnologico dell’isola e delle sue connessioni globali dalla seconda metà del novecento. Lo stesso è materia di interrogazione per l’artista taiwanese, declinato in parallelo alle fortune della Repubblica di Cina (ROC) dopo l’abbandono della legge marziale nel 1987 e l’introduzione del processo democratico. Nelle opere della serie Made in Taiwan, realizzate nella prima meta degli anni novanta, troviamo dei grandi dipinti che rappresentano figure e oggetti evocativi della colonizzazione intensiva di Taiwan nel secolo diciassettesimo. In particolare nella serie Zeelandia Memorandum (1993) si possono vedere navi, cannoni e castelli degli olandesi, che sbarcarono nel sud dell’isola nel 1624. Userò queste rappresentazioni come spunti per riflettere sul modo in cui Yang ci propone una marina inversa; il pensiero olandese del seicento, che diede forma al genere della marina, il paesaggio marittimo, sono elementi di cui l’artista si appropria e che, con un lavoro di intersezioni e reinvenzioni, trasmette una visione ibrida e attuale, suscettibile di rendere conto della molteplicità dell’identità taiwanese: una marina contemporanea e ibrida.
L’incrocio storico
Alla fine degli anni ottanta, dopo opere che rappresentano lotte insieme mitologiche e politiche (Graphic Hero 1986; Behavior of game playing 1987-89), Yang decideva di tornare alla sua arte con un’analisi del passato, presente e futuro di Taiwan; tempi di trasformazioni pensati in riferimento alle tre vite nel Buddismo, attraverso tre sezioni: politica, storica e culturale. La serie di dipinti, intitolata Zeelandia memorandum, fa parte della seconda sezione di Made in Taiwan ed è piena di personaggi storici che ruotano attorno all’epoca di colonizzazione olandese, ma anche cinese di Taiwan nel seicento. Come ha detto Yang Mao-Lin in una conversazione con l’autore:
I personaggi della mia serie Zeelanda Memorandum tra i quali, primi ministri, capi militari e missionari dell’epoca, provengono dalla storia coloniale di Taiwan e del mondo. Le mie fonti sono ritratti di figure storiche che provengono da varie pubblicazioni. La Compagnia Olandese degli Indie Orientali occupò Taiwan nel seicento, fino ad essere sconfitta in seguito da Zheng Chenggong.
In un quadro si vede la figura di Frederick Coyett (1615-87), l’ultimo governatore olandese di Taiwan, sereno in un fondo giallo, una nave da guerra con le armi olandesi e le coste dell’isola dietro di lui, mentre nella parte destra un cannone si leva in un fondo nero con il profilo minaccioso del castello Zeelandia (Zeelandia Memorandum L9302). Nel centro si leggono le lettere V.O.C, che sta per ‘Vereenigde Oost-Indische Compagnie’, la Compania Olandese degli Indie Orientali. Gli olandesi cercavano all’inizio del seicento basi per lo sviluppo della loro rete commerciale in Asia e, dopo esser stati cacciati da Penghu dai Ming, arrivarono nel sud di Taiwan, nell’attuale città di Tainan, nel 1624, dove fu costruito il castello. Possiamo sottolineare a proposito dell’iconografia della serie Zeelandia Memorandum, che ci descrive la colonizzazione dell’isola come un intrico multifocale di forze storiche. Taiwan si trova a un denso incrocio della matrice del mondo globale.
Multifocale lo è per il fatto che la figura del colonizzatore olandese è sovrapposta a quella del colonizzatore cinese. In un altro quadro (ZM L9301), il ritratto di Frederick Coyett è giustapposto a quello di Zheng Chenggong, conosciuto dagli europei con il nome di Koxinga, figlio di Cheng Chih-lung, che nel 1663 ripiegava verso Taiwan dopo la sua ribellione contro il nuovo governo Quing, costringendo gli Olandesi ad abbandonare il loro redditizio sfruttamento del territorio taiwanese. Ci sono anche gli spagnoli, rappresentati dal castello Domingo, il loro avamposto a Keelung nel nord dell’isola (ZML9303). Come indica Lo Hyacinth, il seicento taiwanese si trovava all’incrocio di parecchie forze politiche, che portarono una svolta significativa nello sviluppo economico e sociale che alla fine condurrà al boom tecnologico del novecento. Ma soprattutto, e lo vediamo nella lettura di Lang D. Lutchmansingh, questo antagonismo europeo-cinese non emerge su una tabula rasa, e Yang mostra sulle terre di Taiwan la presenza aborigena che anticipa l’arrivo dei coloni. Da questo punto di vista, la figura di Robert Junius (1606-1655) sembra quasi paradossale (ZM L9304): fu l’uomo che organizzò le attività evangeliche in Taiwan, proiettando un pensiero ideologico appena controllato dal colonizzatore e, allo stesso tempo, introdusse la scrittura e l’alfabeto latino nelle diverse comunità aborigene; l’alfabeto latino diventerà in un secondo tempo uno strumento notevole per le etnie taiwanesi nelle negoziazioni di contratti fondiari con i migranti cinesi. Allo stesso modo, la fine nell’ottocento del controllo reticente di Taiwan da parte del governo Qing è ricordata dalla silhouette di un cannone orientato verso un’isola e verso la quale sembrano navigare navi di guerra (ZM L9401). Ciò è giustapposto alla figura di Li Hongzhang (1823-1901), generale e diplomatico, sotto il quale fu firmato il trattato di Shimonoseki (1895), quando inizia il periodo della dominazione giapponese su Taiwan (1895-1945).
Una fonte importante dell’iconografia della serie Zeelandia Memoriandum per Yang fu la pubblicazione all’inizio degli anni novanta a Taiwan di esempi di iconografia europea. Dice l’artista:
Questa storia (coloniale) fu documentata in diverse pubblicazioni. Con l’abrogazione della legge marziale negli anni ottanta, una maggiore libertá di stampa fu accordata agli editori locali, alcuni dei quali iniziarono a pubblicare libri che esploravano l’identità taiwanese, dalla storia moderna dell’isola durante il regime giapponese al periodo della dinastia di Zheng Chenggong. Le immagini in queste pubblicazioni sono state di grande aiuto per la mia serie Zeelandia Memorandum. Molti libri pubblicati negli anni novanta includevano diverse carte geografiche disegnate dagli europei nel seicento.
Yang trovò ritratti, mappe, visti e rappresentazioni topografiche dell’isola di Formosa, come gli europei chiamavano Taiwan, in alcuni libri come Zheng Chenggong he Helanren zai Taiwan de zuihou yi zhan ji huanwen dihe (1992), Taiwan San Bai Nian (1986), Explorer (1991), The authentic story of Taiwan: an illustrated history, based on ancient maps, manuscripts and plans (1991). Questa connessione mi sembra provocare un rovesciamento e un’appropriazione contemporanea fruttuosi della visiona europea. Non si tratta più solamente di navi della VOC che portano una visione europea del mondo sopra i mari del sud, sull’esempio di Ships trading in the East, di Hendrick Cornelisz Vroom (1614), il padre della marina olandese, ma dell’incorporazione dell’iconografia europea in una visione più ampia, suscettibile di rendere visibile la presenza e l’incrocio di numerosi immaginari nel corso della storia taiwanese. Inoltre Yang aggiunge a queste figure, legate alla storia di Taiwan, un’evocazione del contesto più generale della globalizzazione all’epoca delle ‘grandi scoperte’, con la presenza di Fernao de Magalhaes (1480-1521), primo uomo che circumnavigò la terra, dipinto con cannoni del cinquecento e armi contemporanee, di Sir Walter Raleigh (1552-1618), soldato e esploratore inglese, fondatore di colonie in Virginia e autore di una storia del mondo (1613), ma anche in modo sovrapposto, di Vasco di Gama (1460-1524) e di Zheng He (1360-1424), quest’ultimo al comando dei sette leggendari viaggi di esplorazione cinese fra 1405 e 1433, sotto la dinastia Ming, dopo di che l’impero cinese abbandonò tutta l’esplorazione marittima.
L’incrocio spaziale
Il nome di ‘Zeelandia’, che intitola questa intera serie del 1993, si trova anche scritto sul quadro vicino alla veduta del castello di Anping (ZM L9302; ZM L9304). Con i disegni di rilievi topografici, il castello evoca il controllo spaziale dei mercanti olandesi.
Ann Jensen Adams ha sottolineato la relazione di riconoscimento identitario degli olandesi del cinquecento e seicento con la terra stessa, piuttosto che con alcune figure regali. Ciò era ereditato dall’emancipazione politica delle sette province della corona spagnola e dal processo particolare di ricupero ed espansione della terra sul mare. Questa relazione si evidenzia nel linguaggio e nei nomi delle province: Hol-land, Gelder-land, Dried-land, Zee-land... Da ciò si può anche capire lo sviluppo e l’entusiasmo popolare olandese nel seicento per la pittura di paesaggi. Anche da questo punto di vista, Yang opera una ricomposizione che incorpora questo legame con uno sfondo più ampio. Lo fa attraverso le tre altre serie complementari della sezione storica, Yun Mountain Memorandum, Lily Memorandum, i Tayouan Memorandum:
Due delle serie inspirate da animali e piante, Yuanshan Memorandum e Lily Memorandum, scavano nella geografia fisica di Taiwan, abitata poi dai nostri primi antenati. Negli anni l'isola venne colonizzata diverse volte fine all'arrivo dei nuovi migranti dal continente cinese. Animali e piante prosperavano e si estinguevano lungo il corso della storia e condividevano le sofferenze insieme agli esseri umani. Mentre la gente veniva sfruttata e ammazzata, anche la flora e la fauna venivano impoverite e distrutte. Questo dovrebbe suonare familiare a tutti i colonizzati del mondo. Ecco perché ho scelto specie endemiche e native di Taiwan, come il leopardo di Formosa, l’orso nero, il cervo e il giglio, il simbolo degli aborigeni. Tuttavia, i significati simbolici furono cancellati dopo l'ascesa al potere degli Han. Ecco perché, questi, sono diventati motivi molto presenti nel mio lavoro.
Alle figure storiche ed emblematiche, e come abbiamo visto di origine e simboli diversi, e al loro desiderio di controllo spaziale, corrispondono dipinti i cui fulcri sono esseri che precedono l’arrivo degli esploratori. C’è la carota, simbolo secondo Hyacinth delle bugie sdolcinate dei politici, o il cervo, figura ancestrale dell’isola, ma anche un’allusione al proverbio cinese ‘definire un cervo un cavallo’, e alla confusione fra giusto e sbagliato che dev’essere capito nel contesto politico e mediatico di Taiwan degli anni ottanta; o ancora la conchiglia, simbolo per Lutchmansingh del periodo pre-moderno, evocando un’archeologia di civilizzazione e il processo di riscoperta associato alla pratica dell’archeologo. Dunque possiamo vedere nell’iconografia di queste serie un complemento alla Zeelandia, orientato verso la natura taiwanese, mediata e mediatrice, anche nel suo antico ruolo simbolico nella lunga storia dell’isola.
Con la serie Zeelandia Memorandum, osserviamo ritratti di uomini con vedute ampie; ma in Yun Mountain Memorandum (1991), Lily Memorandum (1993), e Tayouan Memorandum (1994-99), oscilliamo fra grandi dipinti di piante e animali, tutti visti da vicino; in alcuni casi troviamo intersezioni fra il disegno da vicino e una veduta del territorio osservato invece dell’alto, che ricorda la scala dell’isola (Yun Mountain Memorandum M9108). Tuttavia, i gigli, le conchiglie, il leopardo, i dinosauri e le montagne sono spesso dipinti isolati (per esempio, Tayouan Memorandum – Dragon SM950, 1995; Yun Mountain Memorandum SM9220, 1992, o le tre grandi Lily Memoradum di 1993 – L9306). Il nome della montagna di Yun evoca il neolitico luogo archeologico di Yuanshan in Taipei, quello di Tayouan, la denominazione da parte del popolo Pinghu del luogo di Anping (Tainan), e per estensione di Taiwan stessa; il giglio, come lo richiamava Yang, è simbolo della flora indigena di Taiwan; tutte e tre evocano un ritratto del paesaggio culturale e naturale di Taiwan, antecedente al seicento.
A proposito di questi ritratti naturali – il riferimento Yang non lo fa – da vicino è difficile, almeno per l’occhio occidentale, non pensare ai cataloghi botanici e biologici di scienze naturali. In parallelo alla rappresentazione delle navi e architetture portuali olandesi, e dunque a questo genere particolare di pittura chiamata ‘marina’, o paesaggio marino, sembra di essere di fronte ad un'altra percezione visiva e simbolica, in questo caso della documentazione scientifica esportata dagli esploratori. Non si tratterebbe di una oggettiva visione distante e inseparabile, di mercanti e militari europei nonché asiatici (il caso dell’occupazione giapponese viene particolarmente alla mente, visto per esempio il lavoro antropologico importante effettuato a Taiwan da figure come Torii Ryuzo 1870-1953), ma di un nuovo investimento simbolico che sa utilizzare i codici visuali storici di classificazione per meglio rifondere l’identità taiwanese del presente. Infatti questi simboli della Taiwan ‘antica’ e pre-colonizzazione sono visti come barriere alle forze di omogeneizzazione ideologica, sotto la quale si è tuttavia formata l’identità multifocale di Taiwan. In questo senso hanno un importante ruolo da occupare nel presente e nel futuro, in cui potranno servire a pensare le pieghe del mondo globale.
Yang ci porta le forme, la gente, la natura con le quali l’uomo vive e di cui fa parte, che hanno potuto essere nascoste dai discorsi del potere. In esse vediamo le radici nelle quali una comprensione e un’emancipazione della storia possono trovare principi significativi: se ne facessimo tabula rasa, come altre generazioni nel passato, sbaglieremmo e rimarremmo necessariamente tributari di una visione frammentata e alienata.
Infine, Yang riconosce e ci mostra le intersezioni dei tempi e degli spazi, per prendere un esempio emblematico, nel quadro Tayouan Memorandum – separations (L9501, 1995), nella parte superiore del dipinto due dinosauri ballano in toni scuri; di sotto, in una sfera blu un paesaggio di costa con alcuni alberi, un tipo di pagoda marittima, rocce e isole, e dal mare emerge, sotto una giunchiglia, un sottomarino con grande zampilli di schiuma…
Il mare virtuale…
Nel 1990, una mostra al Minneapolis Institute of Arts presentava un percorso attraverso grandi opere e fasi della pittura marina olandese del seicento. Era intitolata: ‘Mirror of empire’, lo specchio dell’impero. Esplorava i legami tra la nascita e lo sviluppo del genere della pittura del paesaggio marino nonché l’espansione delle reti commerciali e politiche delle Province Unite. Nella creazione della sua ‘allegoria nazionale’ Yang avvia l’utilizzo, fra altri elementi, di sorgenti iconografiche provenienti da libri e cataloghi di immagini e carte dell’età d’oro olandese: torna questo specchio, o potremmo piuttosto dire che egli apre lo specchio, per vedere cosa esattamente si trova dietro… Lì si vede l’incrocio storico dei navigatori e militari occidentali ed orientali sulle coste di Taiwan, ininterrotto dal seicento al novecento, e la fondazione umana e naturale – dovremmo dire la ‘socio-natura’ – taiwanese che è antecedente alla colonizzazione. Nella diffusione artistica dei caratteri essenziali dell’identità taiwanese, prodotta in un momento di grande cambiamento di regime politico dell’isola, questo ricordo delle fondazioni apre la porta a una visione ibrida della storia e della terra taiwanese, respingendo le scorciatoie di prospettive teologiche. A queste serie ‘politiche’ e ‘storiche’ di Made In Taiwan, Yang aggiunse alla fine degli anni novanta una parte ‘culturale’ nella quale si mescolano figure di fumetti e cartoni animati americani e giapponesi (Inviting the Immortals I 1996-98 and II 2002-04), con sculture evocanti il mondo religioso del buddismo (Inviting the immortals III 2002-03). A proposito di questo nuovo incrocio, Yang ci dice:
Penso che i fumetti e i cartoni animati abbiano un effetto curativo sui bambini come la religione lo ha sugli adulti, ecco perché li combino insieme. I personaggi che ho adottato, presenti nei cartoni animati giapponesi e americani, facevano parte della cultura pop nella quale io e i miei bambini siamo cresciuti. Questa ibridazione è la vera faccia della cultura taiwanese, il risultato di una colonizzazione ricca e diversificata.
Le forme popolari degli schermi televisivi e digitali aprono un altro segmento della metafora marina. Il mondo globale del diciassettesimo secolo si definiva attraverso navi, piante, coste e bastioni di Formosa. Come questo mondo e le sue narrazioni proseguano nel presente, Yang ce lo mostra con paesaggi ibridi. Ma in più, si forma adesso un altro strato nelle strutture globali: un mare e un paesaggio virtuale e digitale nel quale le figure animate di provenienze diverse ci forniscono anche un nuovo incrocio cui pensare.