Marvin Minsky. Life in AI

28 Gennaio 2016

Marvin Minsky, definito in uno dei tanti riconoscimenti ricevuti co-fondatore del campo di ricerca in Intelligenza Artificiale, è mancato il 24 gennaio scorso a Boston, all’età di 88 anni. È stato anche fondatore dell’AI-Lab al MIT con John McCarthy, inventore del linguaggio Lisp, a cui si deve anche l’espressione “Artificial Intelligence” (AI). Entrambi furono tra i sostenitori della Dartmouth Conference, che sta alle origini di quello che in pochi anni sarebbe diventato un settore di punta della ricerca in computer science, l’AI appunto, che è partita dalla ripresa delle intuizioni di Alan Turing sull’essenza dell’intelligenza umana e dal suo famoso test per poter dimostrare la possibilità di una intelligenza artificiale. Queste idee attivarono alcuni dei ricercatori più brillanti del momento, ma furono sponsorizzate anche da ricercatori senior, quali Claude Shannon dei Bell Labs e Nathaniel Rochester di IBM. Lo storico incontro avvenne nell’estate del 1955 e ad esso parteciparono quelli che diventarono i maggiori scienziati del settore, come Ray Solomonoff, Oliver Selfridge, Trenchard More, Arthur Samuel, Allen Newell e Herbert A. Simon.

 

 

Quei primi decenni furono la prima epoca dell’oro per l’intelligenza artificiale e crearono aspettative enormi: si pensi ad HAL 9000 del film mito di Stanley Kubrick: 2001, Odissea nello Spazio, a cui Marvin Minsky contribuì come advisor. Isaac Asimov gli rese a modo suo omaggio nella sua autobiografia scrivendo che due sole persone lo superavano in intelligenza, una era Carl Sagan e l’altra Minsky, appunto.

 

Durante gli anni ’70, Marvin Minsky e Seymour Papert lavorarono a una teoria cognitiva che verrà chiamata The Society of Mind dal titolo di un libro di grande successo del 1985 (La Società della Mente, Adelphi). La teoria ipotizza che un comportamento umano intelligente possa essere il prodotto dell’interazione di molte componenti, chiamate agenti. L’intelligenza nasce dalla collaborazione e non dalla natura degli agenti, che di per sé possono essere semplici e privi di comportamenti intelligenti. Poco dopo la pubblicazione del libro, mentre stavo lavorando alla mia tesi di laurea proprio nel settore dell’AI, ebbi l’occasione di ascoltare il prof. Minsky a Torino, invitato ad un simposio. Mi colpì il modo brillante in cui si presentava e parlava, anche se un po’ incomprensibile per le mie scarse conoscenze linguistiche di allora. Ricordo che indossava un maglioncino nero a giro collo nero, ora associato alla figura carismatica di Steve Jobs.

 

Sono moltissime le pubblicazioni rilevanti di Marvin Minsky, ma anche le sue invenzioni curiose: il primo display da montare su casco, antesignano dei visori militari o civili di realtà aumentata, tra cui i recenti Google Glass, la prima tartaruga Logo (sempre con Papert) programmata nel linguaggio omonimo, una macchina che appena accesa si spegneva da sola (pare figlia delle macchine inutili di Bruno Munari) e la prima realizzazione nel 1951 di un sistema basato su reti neurali randomiche (random neural networks). Un altro libro seminale del periodo, scritto con Papert, fu Percetrons, An introduction to computational geometry (Percettroni, un’introduzione alla geometria computazionale) che indagava i fondamenti delle reti neuronali, dette appunto percettroni. Si tratta di un libro molto controverso, accusato tra l’altro di aver scoraggiato la ricerca sulle reti neuronali per i successivi 20 anni mettendone in luce delle falle, poi superate. Le ricerche ripresero a fine anni ’80 per proseguire in modo vorticoso fino al deep learning di oggi. Le smisurate reti odierne sono capaci di modellare, riconoscere e predire fenomeni sempre più complessi, fondamentali nel campo del riconoscimento delle immagini e soprattutto della voce, come ad esempio negli assistenti virtuali che permettono di dettare messaggi senza alcun vincolo da uno smartphone. L’ultimo suo libro famoso fu The Emotion Machine: Commonsense Thinking, Artificial Intelligence, and the Future of the Human Mind (La macchina emotiva: senso comune, intelligenza artificiale e il futuro della mente umana) del 2006.

 

Sarebbe interessante capire cosa il prof. Minsky pensasse delle recenti critiche mosse anche da premi Nobel, quali il fisico Stephen Hawkins, nell’annunciare scenari futuri catastrofici, quando le macchine intelligenti potranno svincolarsi dall’uomo e diventarne una minaccia. Personalmente non ritengo che questi scenari siano così prossimi, ma che l’uomo sia in grado di creare ben altre minacce alla propria sopravvivenza.

 

Chiudo riportando un koan sull’intelligenza artificiale (in originale su Wikipedia) che dice:

Nel tempo in cui Sussman era una matricola, Minsky venne a lui mentre sedeva lavorando al PDP-6.

«Cosa stai facendo?» chiese Minsky.

«Sto addestrando una rete neurale a connessioni casuali per giocare a tris», Sussman rispose.

«Perché la rete ha connessioni casuali?» chiese Minsky.

«Voglio che non abbia alcun preconcetto su come giocare», disse Sussman.

Minsky allora chiuse gli occhi.

«Perché ha chiuso gli occhi?» chiese Sussman al suo professore.

«Perché la stanza sia vuota.»

In quell'istante, Sussman fu illuminato.

 

Come a dire che non bastava chiudere gli occhi per svuotare una stanza, così non sarebbero svaniti i preconcetti nell’assegnare pesi guidati dal caso. Possiamo salutarlo ascoltando la sua voce nel TED Talk sulla salute e la mente umana del 2003 o in una intervista dello scorso ottobre in MIT Technology Review dal titolo: Life in AI (Una vita di Intelligenza Artificiale).

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