McLuhan, le primarie e la temperatura della politica
A pochi giorni dal ballottaggio che designerà il candidato della coalizione di centrosinistra alle prossime elezioni politiche, conviene dare una rispolverata alla distinzione tra media “caldi” e “freddi” proposta dal celebre messmediologo canadese Marshall McLuhan. Sono hot quei media che, per un principio di inversione, tendono a generare un raffreddamento dei modi della reazione e percezione, inducendo un senso di distensione e omologazione dei contenuti. Viceversa, sono cool quei media capaci di generare un surriscaldamento delle strutture del pensiero umano, stimolando il coinvolgimento, la partecipazione e una pluralità di visioni.
Anche la politica è misurabile in termini di temperatura. Lo sapeva bene McLuhan quando si accinse a commentare lo storico duello televisivo tra Nixon e Kennedy durante la campagna per le presidenziali americane del 1960, confronto che fu disastroso per Nixon, il quale apparve secondo McLuhan troppo caldo, accomodante, trasparente, e per questo vulnerabile. Kennedy invece rivelò una freddezza e una sana indifferenza nei confronti delle strutture di potere che lo resero più cool e quindi più affidabile, coinvolgente, stimolante.
Ebbene, la campagna delle primarie per la leadership del centrosinistra ha assunto le vesti di un confronto dialettico tra politica hot e politica cool. Il duello televisivo su RaiUno ha svelato una volta per tutte la reale temperatura politica dei due candidati. La TV, spietata “sedia elettrica” dei media, come la definì McLuhan, ha ospitato non solo due aspiranti premier, Pierluigi Bersani e Matteo Renzi, bensì ha messo a confronto due idee di politica, due stili del pensare il discorso politico, due modi di concepire i processi di partecipazione politica.
Il primo – Bersani – si è offerto secondo un modello di politica hot, un fare politica “a caldo”. In TV è apparso autentico, genuino, a tratti imbarazzato, tanto da ammettere “nessuno è perfetto”, quasi un po’ goffo ma proprio per questo rassicurante. Un medium caldo infatti è accomodante, non lascia spazio da colmare, da completare, o con cui interagire. Induce un raffreddamento percettivo negli elettori, in virtù di una sorta di delega, di rappresentanza, che significa fiducia piena, ma può anche risolversi in un consapevole disinteresse.
Il secondo – Renzi – ha proposto invece un modello di politica cool, cioè un modo di agire “a freddo”. In TV, infatti, è apparso a suo agio, sguardo in camera, battuta pronta, sempre chiaro ed efficace, da primo della classe. C’è chi per questo lo ha definito un format. Eppure, proprio in questa fredda artificiosità risiede il tratto caratteristico di un medium cool, che esige infatti un’operazione di completamento, di interazione, di coinvolgimento. Provoca un surriscaldamento percettivo, è capace cioè di stimolare partecipazione, reazione e discussione, favorendo un atteggiamento di interesse al cambiamento.
Anche sul fronte della comunicazione cosiddetta extra-verbale Bersani è hot, induce cioè un senso di tranquillità, è accomodante, conciliante, rilassato, il tono della voce è colloquiale, e chiama Matteo per nome. Renzi è invece decisamente cool, risulta pungente, stimolante, a tratti impertinente, usa le parole per stuzzicare, il tono della voce è concitato e plateale, e chiama Bersani “il Segretario”.
Le campagne condotte dai due candidati riflettono anch’esse la contrapposizione tra la politica hot del Segretario del PD, e la politica cool del Sindaco di Firenze. L’entourage di Bersani è infatti corporativo, organizzato sulla base delle strutture stesse che reggono il PD, i circoli. Le modalità d’azione sono quelle analoghe ai dibattiti di partito o alle feste de l’Unità, con tanto di stand gastronomici. Il tutto è rassicurante, quindi hot, perché conforme al già visto, coerente con un modello conosciuto, e per questo capace di ispirare fiducia in quelle generazioni o in quegli elettori bisognosi di certezze. Le iniziative promosse dall’entourage di Renzi sono state invece organizzate non appoggiandosi alle strutture del PD bensì a quelle della società, ai comitati, con un occhio di riguardo agli aspetti di socialità caratteristici dei nuovi media. Per questa ragione sono risultate innovative, fresche, dinamiche, hanno stimolato interazione e coinvolgimento anche e soprattutto in quell’area di incerti non più disposti a una incondizionata fiducia nel confronti della rappresentanza politica.
Nel duello TV, Bersani è apparso troppo caldo per un medium freddo come la televisione. Renzi invece, visibilmente a proprio agio anche in maniche di camicia, ha saputo giocarsi al meglio quasi tutte le sue carte. Bersani è apparso conciliante, emotivo, rassicurante e ha chiesto il voto al suo partito per poter governare il Paese. Renzi è stato invece assertivo, emozionante, propositivo e ha chiesto il voto per cambiare il Paese, a partire dal suo stesso partito. Il primo ha chiesto ai propri elettori un atto di fiducia, il secondo ha tentato di infondere loro fiducia.
La TV, come aveva intuito McLuhan, non svela mai in pieno gli effetti di quegli automatismi inconsci su cui si basa il potere formante di qualsiasi medium, freddo o caldo che sia. Starà invece al popolo delle primarie scegliere se rimanere nel rassicurante torpore di una politica calda e accomodante, con un atto di fiducia alla politica hot, o assumere a mente fredda il rischio di una stagione inedita per il centrosinistra italiano, dal futuro incerto e intrigante, e per questo decisamente cool.