Speciale

Napoli - Buenos Aires - Tor Pignattara

2 Dicembre 2011

1972.

Bruno Ambrosi, lunigiano con zigomi d’altri tempi, conduce “AZ, un fatto come e perché”. Il programma va in onda il sabato sera, e approfondisce l’esperienza mediatica di un popolo che si alfabetizza con il telecomando. In una puntata sulla disoccupazione, la voce fuori campo di Ambrosi chiede a un signore napoletano, lei che lavoro fa? Il signore napoletano risponde, nessuno. Ambrosi dice, ma è disoccupato, allora. No, risponde l’uomo. Ma allora che cosa fa?, chiede con la voce melliflua Ambrosi. L’uomo guarda in camera. Solo un paio di secondi. M’arrangio, dice.

 

2001.

Le immagini da Buenos Aires scorrono sui Tg. Buenos Aires è come la Napoli di Maradona, come una mano di dio che si piega in un racconto di Roberto Arlt, come il cuore di un paese bellissimo e crudele che entra ancora nella storia con le parole contraddittorie e passionali di Roberto Bolaño. Una donna con le cosce aperte e il sesso che ingoia la città, come un buco nero nell’orizzonte degli eventi. Così la rappresenta un fumettista bonuanerense, Hector Ledo.

 

1972.

Napoli. Mancano tre anni prima che Piero Ciampi scriva Andare camminare lavorare. Nelle vie che strisciano verso il Vomero ci sono i visi magri degli scaccia-malocchio, le giacche troppo larghe dei procacciatori di gobbi, sorta di manager invocati da uomini d’affari superstiziosi per procurare loro i servizi del gobbo, autorità scaramantica assoluta in una terra in cui superstizione e deformazione si fondono. La canzone che Piero Ciampi scriverà fa così: “Andare camminare lavorare / il meridione rugge / il nord non ha salite / niente paura, di qua c’è la discesa”.

 

2001.

Argentina. Fernando de la Rúa governa. Febbraio 2001: Domingo Cavallo, appena nominato Ministro dell’Economia, impone il corralito. Cos’è il corralito. Un pacchetto di misure economiche. Una bancarizzazione totale dell’economia. Il divieto di prelevare denaro contante depositato in banche pubbliche e private. Guerrillaa Buenos Aires. Millesettecento fabbriche chiudono. Ottocentomila persone senza lavoro. Una bambina di nove anni, Bárbara Flores, nata a Tucumán, diventa il simbolo della denutrizione, della crisi che risucchia i corpi. I giornali ci mangiano. I talk-show ci mangiano. Ci mangiano tutti. Tranne le Bárbara Flores che non sono Bárbara Flores. L’Argentina crolla. Decine di morti nelle manifestazioni di protesta, le cacerolazo. Gli operai occupano la fabbrica di ceramiche Zanon e iniziano un progetto di autogestione. Quasi nessuno, in Europa, ne sa qualcosa.

 

2011.

Roma. Tor Pignattara. Un chiodo conficcato in una scheggia tra due mattoni dell’Acquedotto Alessandrino. Una gruccia nera appesa. Un uomo appende ogni sera la sua camicia bianca sulla gruccia. Dice a tutti, sono disoccupato. Di notte dorme su una rete che ha rimediato accanto a un cassonetto. Ha perso il lavoro. La mattina si sveglia prima degli altri, la luce ti sveglia prima, mi ha detto. Appoggia la camicia sulla panchina e ci si siede. La stira. Mi ha detto, non ho casa e non ho lavoro, ma se mi ammazzo le cose peggiorano.

Ho solo 39 anni.

 

Marco Lupo [TerraNullius]

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