Gabriele Basilico, Iran 1970

18 Giugno 2015

Una Fiat 124 fornita dal padre, taniche per acqua e benzina, due ruote di scorta, olio in abbondanza, attrezzi per riparazioni di fortuna; poi una tenda canadese a due posti, due letti da campo, due materassini gonfiabili, un fornello, tutti oggetti comprati alla Fiera di Senigallia. Così nell’estate del 1970 Gabriele Basilico e Giovanna Calvenzi partono da Caorle, sulla costa adriatica dove i genitori di lui, originari delle zone del Livenza, hanno un piccolo appartamento, e fanno rotta verso l’Afghanistan. Lei vorrebbe andare a Samarcanda, gli amici con cui s’accompagnano, e che e ora li aspettano in Jugoslavia, puntano invece a Kabul. Gabriele e Giovanna hanno con sé un ritaglio del "National Geographic"; ci sono le foto della Cappadocia, le sue montagne fantastiche, i picchi, le case scavate nel tufo, i panni stesi ad asciugare, fuochi accessi nei camini di pietra porosa.

 

Gabriele Basilico, Cappadocia, Turchia. Da "Gabriele Basilico, Iran 1970"

 

Gabriele Basilico, Isfahan, Iran. Da "Gabriele Basilico, Iran 1970"

 

Gabriele Basilico, Persepolis, Iran. Da "Gabriele Basilico, Iran 1970"

 

Gabriele ha ventisei anni, non si è ancora laureato in architettura, lo farà tre anni dopo. Anche Giovanna, che studia Lettere, non ha ancora raggiunto la laurea. Sono anni convulsi, c’è stato il Sessantotto, le vicende dell’autunno caldo. Gabriele pensa già di fare il fotografo. È partito, all’inizio di quel decennio che segnerà la storia italiana, con due macchine fotografiche. Nelle immagini che gli scattano nel corso del viaggio gli amici, lo si vede magrissimo, allampanato, con barba lunga, calzoni corti e infradito ai piedi, mentre armeggia con una delle macchine, l’altra gli pende al collo. Ha intenzione, racconterà Giovanna anni dopo, di scattare fotografie della Cappadocia da vendere a un giornale italiano. Non ne farà nulla; le stamperà al ritorno nella piccola camera oscura di via Castelfidardo al 10, a Milano, e resteranno in un cassetto per quarantacinque anni. Escono ora in un piccolo libro (Iran 1970, Humboldt Books) con la prefazione di Luca Doninelli, un testo di Basilico stesso e un breve racconto del viaggio di Giovanna Calvenzi.

 

Gabriele Basilico, Qom, Iran. Da "Gabriele Basilico, Iran 1970"

 

Gabriele Basilico, Shiraz, Iran. Da "Gabriele Basilico, Iran 1970"

 

Teheran, Iran. Da "Gabriele Basilico, Iran 1970", ph. Giovanna Calvenzi

 

Basilico prima di Basilico, scrive nel suo testo Doninelli. Ma che fotografo è quello che scatta queste fotografie di viaggio? È già il fotografo delle periferie urbane, delle città del mondo, dei paesi costieri, dei grattacieli brasiliani e delle megalopoli asiatiche, o della Mosca post-sovietica? Sì e no. C’è in questi scatti che fissano uomini seduti su pietre, bambini che giocano, i coni pietrificati della Cappadocia, le moschee, le rovine Persepoli, le moschee di Isfahan, qualcosa del decennio che è già cominciato, uno sguardo che si potrebbe definire “sociale”, se non fosse che già in questi scatti Basilico circoscrive ogni emotività poiché il suo occhio è catturato dalle forme, sia che si tratti della folla assiepata per strada, con bambine velate e uomini in camicia bianca, sia che renda l’eleganza architettonica dei luoghi di culto. Gioca in questi scatti tra primi piani delle persone e lo sfondo dei luoghi, sempre attento alla composizione più che all’emotività dei gesti e delle azioni dei suoi soggetti umani. Confrontate con le foto che scattano i giovani fotografi in quel periodo in Italia, a Milano, ad esempio, la sua città natale, con immagini di manifestazioni politiche, scontri di piazza, cortei, pugni levati, manicomi, caserme, scuole, fabbriche occupate, lo sguardo di Gabriele Basilico appare qui, in Turchia, in Iran, meno coinvolto da quello che vede. Non freddo e distante, questo no; è piuttosto propenso a documentare. Come si vedrà pochi anni dopo nelle foto scattate a Parco Lambro alla festa del proletariato giovanile – anche queste viste anni dopo –, Basilico guarda da qualche metro di distanza; non s’immerge nella folla, nel gruppo, nella tribù.

 

Gabriele Basilico, Isfahan, Iran. Da "Gabriele Basilico, Iran 1970"

 

C’è tuttavia in questi scatti iraniani una percentuale di esotismo, ma piccola, più come scoperta della diversità di facce, gesti, architetture e montagne, che non come anelito a un altrove, quello degli hippy partiti per Kabul o Katmandu, o quello che si leggerà poi nelle pagine di un viaggiatore proverbiale, Bruce Chatwin. Il fotografo milanese non si chiede come il nomade scrittore inglese: Cosa ci faccio qui? Lui scatta desideroso di vedere, rispettoso verso quello che scorge. Filtra nei suoi scatti piuttosto il ricordo del neorealismo, come nel ritratto della famiglia vicino alla sua casa al confine tra Turchia e Iran, o il bambino di Istanbul che fissa meravigliato e perplesso l’obiettivo sul bordo di una fontana. C’è Enrico Patellani, ripensato e rivisto dentro la cultura degli anni Sessanta. Fotografando le colonne delle antiche architetture di Shiraz in Iran, fa tuttavia già capolino lo sguardo di Milano-Ritratti di fabbrica di otto anni dopo, quando la domenica, alla guida del suo motorino, nei momenti in cui la città riposa o dorme, Basilico andrà a fotografare le architetture industriali, alla ricerca di simmetrie, ripetizioni di motivi, di geometrie dentro le geometrie: un ordine antico che è il suo vero esotismo. In questo modo il fotografo milanese restituirà identità alla città sironiana, quella degli anni Quaranta e Cinquanta, sopravissuta al boom economico vorticoso e rapido e, per qualche tempo ancora, alla Milano da bere degli anni Ottanta. Il viaggio come fonte di spaesamento: questo piuttosto appare negli scatti realizzati in Turchia e in Iran; lì c’è dentro la voglia di scoperta che anima quegli anni vorticosi, i Settanta. L’occhio geometrico di Basilico è già al lavoro, tanto che è possibile estrarre da queste foto dettagli visivi, punti di vista, composizioni, tagli verticali, orizzontali, diagonali che poi si ritroveranno nella sua opera successiva, compresa la frontalità distante, aerea, e al tempo stesso incuneata nella forma viva di palazzi, edifici, vie, strade: la sua vera emotività. Un moderato esotismo, più meraviglia del vedere che non dell’immaginare, perché la visione prevale sull’immaginazione nella sua fotografia, come nell’ormai famoso lavoro su Beirut, che fa capolino qui e là in questo breve reportage mediorientale. A Kabul Gabriele, Giovanna, e i loro compagni di viaggio Leo, Claudia, Paola, Franco, non arriveranno mai. Pochi chilometri prima di Teheran l’auto su cui viaggiano gli amici, una Citroën Ami 8, finisce in un dirupo e s’incrina il semiasse. Riparata alla meglio,decideranno di percorrere solo strade dritte e verso sud, in direzione delle città sante e di Persepoli. Poi il ritorno in Italia, dove solerti doganieri sequestrano loro un chilo di henné. L’Oriente può attendere.

 

Gabriele Basilico - Iran 1970

Presentazione del libro con Giovanna Calvenzi Luca Doninelli e Marco Meneguzzo

Giovedì 18 giugno, ore 18.30

MUDEC Museo delle Culture

Via Tortona 56, Milano

 

Un versione breve di questo articolo è apparsa su “La Stampa”

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