Speciale

Occhio rotondo 27. Karl

24 Marzo 2024

Un uomo in primo piano che fuma. La sua immagine sfuocata occupa la parte sinistra della fotografia, mentre a destra c’è un edificio malconcio, abbandonato: una rovina. Sul terreno si distinguono frammenti d’oggetti, pezzi di legno, mattoni sparsi tra una vegetazione miserrima d’erbe secche. Siamo a Bjasta, un’area urbana della Svezia, ma potremmo essere ovunque nel mondo, perché questa costruzione oblunga somiglia a tante altre costruzioni in dissesto: sfaceli di fabbriche, cantieri, ospizi, ospedali, scuole, scatole vuote e decrepite. L’uomo stringe la sigaretta tra le dita e le labbra e aspira avidamente, poi emette dalla bocca un fiato di fumo che galleggia per aria. Anche lui sembra in male in arnese, come il fabbricato là in fondo. Una foto di paesaggio con un essere umano simpatetico, così sembrerebbe. L’uomo ritratto da Anders Petersen si chiama Karl Axel; l’ha scritto nella didascalia dell’immagine all’interno del volume edito da Contrasto (Anders Petersen, introduzione di Christian Caujolle). Petersen è nato a Stoccolma nel 1940 ed è noto per un libro bellissimo e straziante, Caffè Lehmitz, uscito nel 1978. Il volume prende nome da un locale situato ad Amburgo, dove Anders era capitato nel 1967. Si tratta di un ritrovo di prostitute, emarginati, gente senza fissa dimora. Lì il giovane ventisettenne aveva trovato la propria famiglia d’elezione.

Nel 1968, finiti gli studi, s’era trasferito ad Amburgo e dedicato ai figli della gestrice del bar, una ex prostituta, che in cambio gli offriva vitto e alloggio. Da quella permanenza nasce quel libro unico nel suo genere, stampato in vari paesi europei, che ha fatto scuola. Petersen non è un autodidatta come potrebbe sembrare per la sua immediatezza stilistica. Nel 1966 aveva imparato i rudimenti di fotografia in un corso tenuto presso l’università di Stoccolma da un maestro di questa arte, Christer Stromholm. Dopo quel libro il fotografo svedese ha sempre ritratto disperati, uomini e donne dal destino segnato. Sono corpi e visi dolenti che fissa con il proprio obiettivo: costituiscono l’esplorazione di un mondo di cui lui è “al contempo esegeta, attore, lettore, vittima, testimone, perturbatore, impaginatore” (C. Caujolle). Più si osserva questa immagine, più ci si rende conto che questa fotografia è il ritratto di Karl, per quanto sembri il perfetto confratello dell’edificio abbandonato sullo sfondo. Mentre Karl è evanescente, la struttura là in fondo pare solidamente piazzata nello spazio.

Eppure il profilo di Karl è il vero centro del rettangolo fotografico, un centro decentrato, e per di più fuori fuoco. Il fabbricato è una apparizione di rilievo, ma appunto una comparsa. Il fantasma Karl è più reale dei muri, delle finestre e dei tubi che spuntano dall’opificio. Caujolle parla nel suo testo di prefazione dei “piccoli nulla” di Petersen, allievo indiretto di André Kertész, e questo ne è un esempio eccellente, per quanto lo stile dell’artista svedese sia in realtà un anti-stile, il rovescio di ogni stile. Il suo principale punto di vista è sempre l’emozione, quella provata mentre scatta, un’emozione che può anche non contagiare chi guarda, e tuttavia non si può ignorare. Il tema principale delle fotografie di Petersen è la solitudine, la nostra e quella degli altri. Ogni uomo o donna da lui ritratti è un universo a sé, una monade, che non si può toccare, non si può abbracciare. Eppure Anders Petersen riesce a sfiorare, ad accarezzare a distanza chiunque con il suo obiettivo.

Le sue sono fotografie di grande pudore. Contengono un riserbo e insieme, paradossalmente, una forma di erotismo: ci fanno capire quanta passione esprime con la sua macchina fotografica, passione per l’altro, per il diverso da sé, un diverso cui finisce comunque per somigliare. Queste fotografie, come quella dell’uomo che fuma, in definitiva sono autoritratti. Si tratta di qualcosa emotivamente e visivamente più efficace dell’empatia, che è un immedesimarsi nell’altro, un entrare nei meccanismi mentali, tuttavia l’altro resta sempre un-altro. Nelle opere di Petersen c’è un senso d’effusione e insieme di confusione; c’è un movimento in cui molte cose si mescolano insieme. L’empatia resta alla fine, nonostante tutto, qualcosa d’incerto: nessuno sa cosa pensi davvero l’altro. Siamo in presenza di un erotismo vissuto come un disagio e insieme come un’attrazione.

Anders Peterson non guarda, non osserva, piuttosto partecipa: è dentro la foto anche quando sembra fuori. Per questo ha voluto avvicinarsi così tanto al viso di Karl, sino a divenire parte di quel fumo mentre svanisce. Del resto, nessuna persona, uomo o donna che sia, è fatta per durare, così ci suggerisce Anders Petersen. Lui vuole cogliere proprio questo sparire, così come dopo l’impulso erotico sfuma la passione, va via, diventa impalpabile, infine non c’è più. E tuttavia fino all’ultimo Karl, lui e tutti gli altri che Anders ritrae, sono vivi, lì davanti a noi. Eternamente vivi in quell’istante. 

Anders Petersen, Karl Axel, © dell’autore

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