Speciale

Occhio rotondo 26. Sacchi

10 Marzo 2024

Quando nascondersi è impossibile, scrive lo zoologo Desmond Morris, si raggomitola il corpo difendendo la testa e il volto con le braccia. Varie sono le posture di difesa e di fuga da fermi, di sottrazione e insieme d’afflizione che utilizzano gli esseri umani. Ciò che colpisce nelle fotografie scattate da Carla Cerati nell’ospedale psichiatrico di Firenze sono proprio gli uomini e le donne che si coricano contro il muro tenendo le gambe vicine al tronco, o chinano la testa in una forma di estremo raccoglimento, o si stendono supini sul pavimento e sui marciapiedi che costeggiano gli edifici.

Sono comportamenti protettivi, tentativi di auto-contatto, gesti compiuti da corpi alla ricerca di sé stessi. Si ripiegano di fronte all’ambiente circostante sentito come ostile, offensivo, pericoloso. È il cosiddetto cut-off, azione con cui gli umani bloccano l’emissione di segnali visivi e si ritirano in sé stessi appena percepiscono che il contatto con gli altri non è più possibile. Carla Cerati ha visitato insieme a Gianni Berengo Gardin i manicomi di Colorno, Firenze e Gorizia per realizzare le immagini di Morire di classe, libro curato da Franca e Franco Basaglia, edito da Einaudi nel 1969, oggi ristampato da il Saggiatore in occasione del centenario della nascita di Franco Basaglia.

In uno dei suoi più famosi scatti di quella esperienza, più volte riprodotto nel corso degli ultimi cinquant’anni, si vede un uomo chino che si tiene la testa tra le mani in un gesto di smarrimento e sconforto: l’immagine stessa della disperazione. Ricorda un quadro di Van Gogh: Sulla soglia della eternità, dove un uomo prima di morire china il capo e s’appoggia sui pugni serrati: chiude il mondo fuori di sé – una tela dipinta pochi mesi prima del suicidio dell’artista. In questa fotografia di Carla Cerati si vedono invece tre donne. Una è seduta su una sedia; di lei si scorgono solo una parte del tronco e le gambe, i piedi infilati nelle ciabatte, un braccio e una mano poggiati in grembo. Le altre due sono a terra: una è rivolta verso il muro, e sembra abbia strisciato sin lì per mettersi in quella posizione incongrua; l’altra è invece a terra con le gambe che toccano il suolo e il corpo ripiegato; la testa è poggiata su un piede.

In questa postura ricorda un sacco, un sacco che digrigna i denti, o semplicemente si lamenta con un lungo suono ossessivo. La fotografia è muta, ma il sacco umano sta dicendo qualcosa che non riusciamo a sentire. Le immagini sono senza voci, ma è come se parlassero di sé e degli altri internati lì attorno, per quanto ciascuna di queste internate sia una monade separata dai propri simili. Le donne appaiono disperate più degli uomini, nelle fotografie di Carla Cerati. Uscito nei mesi della rivolta studentesca e operaia, questo libro dal lungo formato rettangolare è stato un decisivo atto d’accusa contro la condizione degli internati negli istituti psichiatrici, un’azione politica intrapresa da Franca e Franco Basaglia contro una vergogna che durava da quasi due secoli nell’indifferenza dei più, e nel dolore di chi vi era rinchiuso a vita senza speranza.

C’è in questi scatti di Carla Cerati, che testimoniano lo spasmo gestuale delle donne, un rispetto e insieme un pudore, qualcosa di difficile da mantenere in presenza di queste creature abbandonate al loro stato di inutili sacchi. Donne che camminano nei cortili a piedi nudi tenendo le mani raccolte dietro la schiena, come se stessero riflettendo su sé stesse, o con gli occhi rivolti verso il basso alla ricerca di qualcosa in terra. La vergogna sembra il sentimento delle donne fotografate come dei due fotografi: vergogna di essere viste così, in questo stato, ma anche vergogna di chi è lì per fotografarle così. Prima ancora che foto “politiche” queste sono foto di commozione scattate con occhi lucidi. Carla Cerati ha inclinato il piano della ripresa, così sembra che le due donne a terra stiano rotolando verso di noi, venendoci incontro, trasportate da una implacabile forza di gravità, la medesima forza che le schiaccia al suolo. Sul piano del pavimento, composto da piastrelle quadrate, ci sono le ombre delle foglie degli alberi lì attorno.

È giorno, ma sembra quasi sera, per quanto sia ben evidente che sono scatti presi in piena luce. Il bianco e nero delle fotografie è un colore emozionale. Trasmette l’immagine della realtà in tutta la sua crudezza, la sua prolungata esasperazione, qualcosa d’irredimibile affidato solo allo sguardo di chi fotografa. Fotografare è testimoniare, un compito così difficile da sconcertare chiunque. Per questo la nostra gratitudine va a Carla Cerati e a Gianni Berengo Gardin per aver visto l’inguardabile e avercelo porto con occhio onesto e retto, come deve essere lo sguardo del testimone, di chi vede e racconta.

Carla Cerati, Morire di classe, Firenze 1968. © Carla Cerati

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