Caillois e la scrittura delle pietre
Le pietre ci sono prima dell’uomo e ci saranno dopo che gli uomini saranno scomparsi. Forse è per questo che, come ha scritto Roger Caillois, “L’uomo invidia ad esse la durata, la durezza, l’intransigenza e lo splendore, il fatto di essere lisce e impenetrabili, ed intere anche se spezzate. Sono il fuoco e l’acqua in un’unica trasparenza immortale, visitata a volte dall’arcobaleno o da un velo di vapore. All’uomo, alla misura della sua mano, esse offrono la purezza, il freddo e la distanza dagli astri, e varie forme di serenità” (Pietre). Nel 1942 questo scrittore, saggista, filosofo, inventore del “pensiero diagonale” inizia a osservare con determinazione le pietre che avevano attirato la sua attenzione sin dagli anni infantili.
Roger Callois è stato un personaggio che ha attraversato la cultura del Novecento in un modo assolutamente originale e unico. Vicino per qualche tempo al movimento avanguardista Le Grand Jeu e poi a quello dei Surrealisti, fonda con Georges Bataille Michel Leiris il “Collegio di Sociologia”, costretto a restare in Argentina per lo scoppio della Seconda guerra mondiale, è lì per conferenze, diventa traduttore e promotore degli scrittori latino-americani – è lui ad aver inventato J. L. Borges in Europa. Caillois, i cui libri sono stati pubblicati in Francia soprattutto nel dopoguerra, è stato un maestro di immaginazione con opere dedicate a temi della sua scienza diagonale: Il mito e l’uomo, I giochi e gli uomini, L’incertezza dei sogni, Nel cuore del fantastico, L’occhio di Medusa, La vertigine della guerra e molti altri.
Uno degli aspetti più affascinanti e anticipatori nella sua opera sono gli scritti dedicati alla contemplazione e descrizione delle pietre, delle loro superfici colorate o in bianco e nero, lisce e corrugate, uniformi e variabili. I due principali s’intitolano: Pietre, edito da Gallimard a Parigi nel 1966 e La scrittura delle pietre del 1970 stampato dalle Edizioni di Albert Skira a Ginevra. Quest’ultimo, tradotto in italiano per la bellezza delle immagini che contiene e per l’affascinante prosa con cui descrive agate, ametiste, rodocrosite, paesine, septarie, onici, diaspri e altre pietre figurate, è incluso nell’elegante volume Scritto nella pietra. Minerali collezionati e descritti da Roger Caillois, a cura di Stefano Salis (Franco Maria Ricci), che comprende testi di François Farges, Carlo Ossola, Marguerite Yourcenar e dello stesso Salis, a cui di deve anche l’ampia e ricca introduzione.
Si tratta delle pietre appartenute allo scrittore francese di cui si racconta la storia e le peripezie anche dopo la sua scomparsa avvenuta nel 1978 (era nato nel 1913 a Reims). Di cosa si tratta? Di meravigliose pietre in cui Caillois legge, attraverso una descrizione tra il poetico e il filosofico, le figure che vi appaiono. Sono pietre non preziose bensì insolite, come scrive l’autore, che attirano per l’irregolarità della loro forma e per i significati bizzarri del disegno e del colore. Lì, su queste rocce provenienti da diversi angoli del mondo, Caillois legge qualcosa di inatteso e sorprendente, come se fossero delle pitture con segni, striature, macchie e colori. Il punto di partenza di questo mondo che appartiene al cosiddetto Regno minerale, uno dei tre regni di un tempo, oggi cresciuti a cinque (Piante, Animali, Moneri, Protisti, Funghi), è proprio la sua immobilità: appartengono a un regno a sé ben poco curato se non dagli studiosi di geologia o mineralogia, ma presente come un fantasma rimosso in tanta letteratura di tutti i secoli. Lo scrittore francese vi coglie una bellezza unica, intima, immediata e infallibile che non deve niente a nessuno e che esclude da sé l’idea di perfezione.
Il centro della sua ricerca visiva e immaginativa è proprio questo concetto di bellezza che Caillois definisce naturale. Guardando l’ametista con cui si apre il testo La scrittura delle pietre, che affianca il testo scritto nel libro di FMR, ci si rende conto che si tratta d’una bellezza che non riguarda l’abilità o l’invenzione, come nel caso dell’opera d’arte, e che possiede “suggestione oscure ma irresistibili”. Per Callois esiste una “bellezza generale” che prescinde dall’uomo, di cui si può godere attraverso lo sguardo. Una forma di lettura che rinvia a quella che si effettua attraverso le lettere e le parole: non a caso il titolo del libro è La scrittura delle pietre. Nel caso di questi sassi affascinanti si tratta, come scrive nelle prime pagine del testo l’autore, di una perfezione minacciosa proprio perché si basa sull’assenza di vita, sulla “immobilità visibile della morte”. Se qualcosa si può paragonare a questa indagine visiva del mondo minerale, qualcosa che tutti almeno una volta nel corso della vita hanno compiuto, è l’osservazione e contemplazione delle nuvole. Stesi in un prato sulla cima di una montagna, o sdraiati su una spiaggia marina, le nuvole appaiono meravigliose forme in cui leggere altre forme: animali, cose, esseri umani, o altre immagini ancora. Solo che le nuvole fuggono, si trasformano e scompaiono rapidamente, mentre la perfezione delle pietre guardate con occhio acuto e attenzione paziente da Caillois, e da lui descritte in una prosa elegante e sinuosa, sono fisse, immutabili, immobili. Esse hanno valore di per sé e non rimandano a nulla di esterno.
Lo scrittore le connette a sé stesso, alla propria immaginazione, tuttavia il culmine del suo sogno a occhi aperti è segnato dal gioco del riconoscimento, perché nelle pietre sono misteriosamente iscritte forme che si possono interpretare come riferite a oggetti o persone esistenti o esistite, per quanto il fascino mirabolante di queste immagini create dai movimenti tellurici della Natura dipende proprio dal loro mistero. Caillois non è il primo che si è immerso nella lettura di questo universo che aveva affascinato gli antichi. È stato preceduto da personaggi come Atenasius Kircher, da mirabolanti ammiratori del fantastico, poiché queste pietre figurano nelle Wunderkammer di collezionisti curiosi e in luoghi sacri come le chiese e le cattedrali, i palazzi e i ponti, come elementi decorativi inattesi. Jurgis Baltrusaitis, lo straordinario storico dell’arte medievale, in Aberrazioni. Saggio sulla leggenda delle forme (Adelphi) ha dedicato uno specifico capitolo alle vicende delle pietre figurate nella storia della visione culturale tra Occidente e Oriente, come argomenta Carlo Ossola nel suo saggio, Estasi minerale. Roger Caillois scrittore e lettore di pietre, incluso nel volume di Franco Maria Ricci, dove ne ricostruisce con attenzione la genealogia storica.
Le due categorie retoriche e immaginative della metafora e della analogia guidano le descrizioni di Caillois in un campo del fantastico che è unico nella letteratura del Novecento, che spazia dalle ali delle farfalle alle paesine, i marmi ruiniformi provenienti da una zona di Firenze, in cui l’autore legge quadri mai dipinti e figure mai introdotte da mano dell’uomo. Come scrive “il sognatore si compiace di riconoscervi nel calco imprevedibile e, a questo punto stupefacente, quasi scandaloso, di una realtà ignota”.
L’ignoto si connette al fantastico, ne è un motivo ispiratore, e il grande merito di questo filosofo del mondo naturale, vivo e morto insieme, è quello d’aver fatto uscire le pietre figurate dal regno minerale per proporle come forme di un linguaggio universale avviando un antropomorfismo alla rovescia come ha detto Marguerite Yourcenar nel discorso a lui dedicato, quando gli è succeduta alla Académie française: "Caillois esaltava un antropomorfismo alla rovescia, nel quale l’uomo, lungi dall’attribuire, e a volte con condiscendenza, le sue proprie emozioni agli altri esseri viventi, partecipa con umiltà, forse anche con orgoglio, a tutto ciò che è incluso o era infuso nei tre regni”.
Per lo scrittore francese la visione che lo sguardo registra nella nostra attività visiva appare sempre “povera e incerta”. A sorreggerla, come è nel pensiero artistico e filosofico del Novecento francese – si pensi a Gaston Bachelard –, è l’immaginazione stessa, che arricchisce la visione e la completa attingendo anche al ricordo come alla conoscenza, come ha scritto al riguardo del tema immaginativo Italo Calvino nella sua lezione americana dedicata alla Visibilità. La cultura, l’esperienza, la stessa storia arricchiscono ciò che si inventa o si sogna, suggerisce Caillois. Nelle pagine finali della Scrittura delle pietre l’autore parla del fantastico naturale come strumento per avventurarsi nella lettura di questi meravigliosi marmi o calcari o diaspri che lasciano a bocca aperta osservate sulle pagine di questo libro per i colori e le sfumature, per forme concentriche o invece per i profili geometrici. Tutto ciò che si scorge in questi manufatti inconsapevoli della natura fa pensare all’arte del Novecento, all’informale e alla pittura geometrica dei concettuali o ancora al gesto sovversivo di Pollock.
L’idea di fondo di Caillois è quella di un’unità della natura “nella quale un’identica trama regge la forma della pietra, dell’albero e dell’animale, nonché dell’uomo e dei progetti della mente” (Giuseppe Zuccarino, Emblemi latenti, in R. Caillois, Pietre, Graphos). Per tenere insieme i vari campi dello scibile e dell’immaginario, del visivo e del fantastico, Caillois ricorre a una rete di analogie che non sempre è in grado di saldare una scienza a un’altra, una disciplina con una forma di sapere, come fa giustamente notare Zuccarino, eppure riesce a mobilitare idee e figure che oggi nel momento in cui l’idea goethiana e romantica di un cosmo interconnesso è diventata importante e decisiva anche rispetto ai problemi dell’ecosistema Terra. Poi c’è questo aspetto diagonale, che è per noi oggi una delle eredità straordinarie di Caillois, che le traduce sempre in un linguaggio poetico unico. Si tratta della riscoperta del mondo minerale, delle pietre, dei sassi, dei ciottoli, che si scorge all’orizzonte. Dopo che il mondo vegetale, in particolare quello delle piante e degli alberi, è diventato un mondo vitale, dotato di intelligenza e sensibilità, di linguaggio oltre che di forme, dopo che tutto questo è divenuto quasi di senso comune nella cultura popolare, e non solo degli intellettuali e dei colti, Callois ha molto da insegnarci come atteggiamento e immaginazione sul regno delle pietre.
Per accompagnarci nella riscoperta di un autore i cui libri non sono ancora stati tutti tradotti in italiano e che spesso sono difficili da trovare perché esauriti, ci si può utilmente riferire a una frase di Jean Starobinski, autore a cui anche il Calvino del visibile e dell’immaginazione deve molto. Lo studioso svizzero, un altro caposaldo della cultura di lingua francese, leggendo uno degli ultimi scritti di Caillois, Tre lezioni sulle tenebre (Editrice Zona), arriva a segnalare come la malinconia, quella che nell’osservazione e nella descrizione delle pietre si attiva immancabilmente, “va di pari passo con la felicità contemplativa”. Come Caillois racconta nel volume Pietre, già gli antichi saggi cinesi erano catturati da questo aspetto che scaturiva dal mondo immobile dei sassi. Che la felicità del vivente nasca da un “corpo morto”, o quanto meno apparentemente inerte, è un paradosso incredibile e sorprendente. Eppure è così, come sa chi ama raccogliere sassi e ciottoli lungo le rive di un torrente, di un fiume o del mare. Le umili pietre danno con il loro stare, permanere e protrarsi oltre il segno temporale del tempo di vita degli umani, qualcosa d’affettivo. Una proiezione dell’uomo? Forse no, piuttosto una forma di anti-antropocentrismo che oramai è divenuto indispensabile praticare in varie forme e luoghi, perché la Terra, la grande roccia, non sia distrutta e l’umanità dispersa su questo corpo celeste sospeso nel vuoto pieno dell’Universo.
Tutte le pietre della collezione Caillois presentate in questo libro sono conservate al Musée National d’Histoire Naturelle di Parigi
Crediti fotografici: François Farges.
Domani sabato 16 marzo in occasione di "La Storia in piazza" Genova, alle ore 15 presso l'Archivio Storico, Stefano SALIS e Marco BELPOLITI parleranno di Le Pietre di Caillois