Piove. O anche no

26 Aprile 2024

Qualche decennio fa, a commento della votazione di fiducia di uno dei primi governi della Repubblica sostenuto anche dagli esponenti dell’allora Partito Comunista Italiano, un ispirato Giorgio Forattini, nella sua quotidiana vignetta-editoriale in prima pagina del quotidiano la Repubblica, titolava: Piove, opposizione ladra! A conferma di due luoghi comuni: il primo, che in politica la colpa, di tutto, a prescindere, è dell’avversario; il secondo, che la pioggia è segno che il tempo, i tempi, non sono granché. 

Errore! 

Il Mare Nostrum, il bacino del Mediterraneo, che “è casa” per 510 milioni di persone, si sta scaldando del 20% più velocemente rispetto alla media globale. Se questa media si attestasse al 2%, la riduzione di precipitazioni sul Mediterraneo sarebbe del 10/15%; se invece la crescita di temperatura oscillerà tra il 2 e il 4%, pioverebbe (non solo, non esattamente, ci torniamo) il 30% in meno: che non significa, semplicemente, banalmente, che le precipitazioni diminuirebbero. In realtà, “… è stato recentemente dimostrato che a causa dei cambiamenti del ciclo idrologico, l’incidenza delle precipitazioni estreme in un clima più caldo può aumentare anche in aree dove la precipitazione media è prevista diminuire […] In buona sostanza, mentre la quantità totale di precipitazione diminuirà sul Mediterraneo, tempeste con elevate precipitazioni interesseranno sempre di più le nazioni del suo bordo settentrionale […] in Italia, Portogallo, Spagna e parti della Grecia e della Turchia, la pioggia durante la stagione calda e secca, da aprile a settembre, è prevista diminuire del 10 per cento entro il 2030 e del 20 per cento entro il 2050. Entro il 2050 le condizioni di siccità potrebbero prevalere per almeno sei mesi ogni anno. Ciò significa mancanza d’acqua, incendi della vegetazione e malattie sempre più diffuse”. In buona (!) sostanza: addio al dolce clima mediterraneo. Stanno per arrivare climi, e tempi, duri. Catastrofismo? “Innanzitutto, la temperatura media del pianeta è cresciuta di 1,1°C dal 1880 e questo è dimostrato dalle osservazioni satellitari e da centinaia di migliaia di stazioni metereologiche su tutta la Terra. Questo tasso di riscaldamento è almeno un ordine di grandezza più veloce di qualunque tasso di riscaldamento abbiamo trovato nei dati paleoclimatici degli scorsi 65 milioni di anni. Questo sia detto per sgomberare il campo da equivoci generati da affermazioni molto dubbie che ancora si sentono anche nel mondo scientifico”.

Ce n’è abbastanza per recuperare i virgolettati nel bel testo di Vincenzo Levizzani, dirigente di ricerca dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del CNR di Bologna, dal titolo Quando fuori piove. Storia e futuro della pioggia, edito questo 2024 da il Saggiatore.

Testo bello e prezioso, ma che all’emergenza climatica dedica solo le ultimissime pagine, che la recensione ha usato a bella posta come trailer e “consiglio per la lettura”. Che è invece consigliabile, altamente raccomandabile, più che altro per la quantità e la qualità di informazioni che il lettore non esperto e non addetto può raccogliere su un fenomeno, la pioggia appunto, sul quale ci sembrerebbe di conoscere a sufficienza, di sapere abbastanza: che mai si potrà scrivere sul fatto che piove? Indipendentemente da chi governa, va da sé!

Sorpresa! Non per tutti, ovviamente, ma da scrivere e da leggere ce n’è in abbondanza, una piacevolissima pioggia di conoscenza (se il gioco di parole non è troppo scontato), giacché il tempo piovoso, letteralmente e metaforicamente “è quanto di più necessario e utile possiamo sperimentare”, perché “senza questa noiosa pioggerella i problemi sarebbero molto grossi”.

C’è da capire, prima di tutto, fin dal titolo, perché la pioggia cade “là fuori”: magari chiedendosi se per caso piova anche nello spazio; o che cosa sia una nube (se pensate già di saperlo… leggete il quarto capitolo), cosa siano la pioggia, la neve e il ghiaccio. Non è solo curiosità: è importante capire come si formano i temporali, come “la pioggia si organizza”, come si misura e, infine, cosa si intenda con “ciclo dell’acqua” e quanto possa/potrà essere condizionato dal cambiamento climatico. Prima delle preoccupate avvertenze che abbiamo riportato all’inizio (nel testo, al capitolo 12: Piove troppo o troppo poco: il clima), trovate quello sulle previsioni, e certo – come potevano mancare?! – con tutti i proverbiali riferimenti all’inattendibilità di chi ci racconta “che tempo fa!”. Che però è anche un grande business… leggere per capire. Ci sono, in chiusura, le parole importanti, le sigle da conoscere, e una serie di preziosi consigli per un salto in libreria e anche a spasso per il web. C’è, evidentemente, tutta la passione di chi lo ha scritto per una materia sulla quale, sbagliando, pensiamo di saperne di più che sul bosone di Higgs. La verità, banale come qualche volta per fortuna si ricorda, è che non si finisce mai d’imparare.

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Renoir, Gli ombrelli, 1881-86ca, olio su tela, 180×115 cm, Londra, National Gallery.

Nel caso di Quando fuori piove, anche divertendosi. Alle informazioni si alternano infatti aneddoti, notazioni storiche e una quantità di belle, interessanti e chiarissime illustrazioni che impongono un ringraziamento, non di rito, anche all’editore.

C’è una bella sezione tra mito e storia, tra diluvi universali e pioggia sui campi di battaglia. Tanta (supposta) da rimandare il D-Day di un giorno (era stato fissato per il 5 Giugno); tanta, più di un secolo prima, da salvare Washington nel 1812 dall’incendio appiccato dagli inglesi alla Casa Bianca e al Campidoglio; tanta, tre anni dopo, da indirizzare l’esito a Waterloo, determinato – forse, anche – dall’acquazzone della notte precedente il fatale, per Napoleone, 18 Giugno 1815, che non solo rallentò la cavalleria francese ma impedì l’uso dei cannoni a tiro radente i cui proiettili, rimbalzando più volte sul terreno, facevano molte più vittime tra la fanteria nemica. Che poi in quello scorcio di inizio XIX secolo, tutto, com’è noto, e anche quel freddissimo1815 pieno di piogge, fosse dipeso dalla ciclopica eruzione del vulcano indonesiano Tambora nello stesso aprile, è la dimostrazione ante litteram di ciò che quasi centocinquanta anni dopo (nel 1962, per esattezza) ebbe a notare Edward Norton Lorenz, sulla New York Academy of Sciences, chiedendosi se il battito d’ali di un gabbiano sarebbe stato sufficiente ad alterare il corso del clima per sempre. Quell’E.N. Lorenz che, dieci anni dopo, in una conferenza che lo ha reso famoso, decise che l’immagine della farfalla era più poetica del gabbiano (condivisibile, ma non lo sapevo: l’ho imparato leggendo questo libro), e cambiò il titolo in “Può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”. Di qui, appunto, la difficoltà delle previsioni del tempo.

Ma gli aneddoti storico-mitologici, a parere del recensore, non sono la pietanza più gustosa. È che – ebbene sì! – piove anche nello spazio, anche se non proprio acqua: su Giove e Saturno potrebbero piovere diamanti: pensa te! È che di acqua liquida, a -90°C, se ne vedono due, con una che galleggia sull’altra. La pioggia – ci crederemmo? – può provocare eruzioni vulcaniche. Ci sono “piogge strane”, e non tutte sono “pure”: tutt’altro! (Sicuramente abbiamo sentito di quelle acide, ma non sono le sole). Possiamo saperne di più sul temporale… o sarebbe meglio usare il plurale? Se oggi possiamo dare una risposta è anche grazie a un gruppo di ardimentosi che alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, in Ohio, programmarono una serie di voli aerei all’interno dei temporali: fatti non fummo…, come i “cacciatori di temporali”, temerari che si mettono in strada alla ricerca di quelli a “supercelle”, probabilmente perché ne sono affascinati: fatto sta che le loro osservazioni possono prevedere, anche con largo anticipo, l’area in cui si registrerà una instabilità atmosferica potenzialmente pericolosa.

Il chicco di grandine più grande mai misurato è caduto a Vivian nel Sud Dakota, il 23 Luglio del 2010: 28 centimetri di diametro per un peso 880 grammi. Qual è la dinamica per cui si forma il chicco (magari più piccolo di quello di Vivian) all’interno della nube? Qui le opinioni e le osservazioni divergono: a dimostrazione che anche sulla pioggia, la grandine, la neve e i temporali, la scienza ha consistenti margini di conoscenza da colmare. In ogni caso, è bene capire che differenza ci sia tra la Graupel e la grandine. E, a prescindere, è bene sapere che pioggia, neve, Graupel e grandine “sono nientemeno che gli spazzini dell’atmosfera”. Si impara cos’è l’AR, l’Atmospheric river, e il MCS, il Mesoscale Convective System (e anche i suoi tipi particolari). Al capitolo su come misurare la pioggia si trova la conferma che, anche per quanto riguarda il termine stesso di meteorologia, il riferimento obbligato è a Aristotele, che alla Meterologica dedica uno scritto del 340 a.C.: c’è qualcosa di cui Aristotele non si sia occupato? Ma se ne preoccupavano anche in India, in un trattato di scienze politiche, economiche e di strategia militare, e in Palestina, con il libro della Mishnah, che riporta dettagliate misure di pioggia e umidità del suolo. E poi Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia, Wang Chong, durante la dinastia cinese di Han, nell’80 d.C., e Avicenna per il mondo arabo. Tuttavia, proprio con riguardo allo specifico delle misure sistematiche, si deve guardare alla Corea e arrivare al periodo tra il 1418 e il 1450, giacché a seguito di fenomenali periodi di siccità nel 1441, e volendo misurare la quantità di pioggia effettivamente caduta così da modulare l’importo delle tasse a seconda della maggiore o minore fortuna di chi l’aveva sofferta, fu lo stesso Principe Munjong a disegnare il primo “pluviometro”, un recipiente montato su un supporto di pietra, che anticipa di almeno 200 anni il primo pluviometro occidentale, disegnato dall’abate italiano Antonio Benedetto Castelli. E il fatto che a metà del ‘400, in Corea, venisse progettato anche il supyo, un idrometro per misurare il livello dei fiumi, cercando una spiegazione “scientifica” dei fenomeni atmosferici, mentre il civilizzato occidente metteva al rogo le streghe, capaci di influenzare il tempo per volontà del Maligno… è notazione che Levizzani correttamente sottolinea.

Solo alcune, solo poche, pochissime delle informazioni e delle conoscenze che la lettura di questo godibilissimo volume regala ai suoi fortunati lettori.

Che poi in esergo ci sia Italo Calvino, La fantasia è un posto dove ci piove dentro, beh…! Quest’anno, a coloro che leggono, e anche a quelli che collaborano con Doppiozero, regala un aggiuntivo, gratuito sorriso. 

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