Alessandro Boffa / Sei una bestia, Viskovitz
C’è un piacere sottile e intramontabile che ci prende tutte le volte che riconosciamo il noto nell’ignoto, che troviamo parentele strutturali in cose che si presentano davanti a noi nelle forme più varie, secondo una combinatoria di pattern prestabiliti.
Ecco, questo piacere, che è quello delle variazioni sul tema (pensiamo agli Esercizi di stile di Raymond Queneau) è esattamente quello che si prova quando si legge un libro come Sei una bestia, Viskovitz di Alessandro Boffa (Garzanti 1998, appena ristampato da Quodlibet, collana Compagnia Extra).
Se per esempio leggiamo il primo capitolo, Come va la vita, Viskovitz?, ci imbattiamo in un protagonista che snocciola subito una massima tragicomica («Non c’è nulla di più noioso della vita, nulla di più deprimente della luce del sole, nulla di più fasullo della realtà»), e dico tragicomica perché dopo appena due righe si capisce che chi sta parlando è nientemeno che un ghiro appena uscito dal letargo e che non vede l’ora di riaddormentarsi per dimenticare la sua compagna Jana («Era la femmina più brutta e deprimente dell’intera comunità, la più tediosa e sciocca. L’avevo scelta proprio per questo») e tornare a sognare la ghira di cui è follemente innamorato, la bellissima Ljuba (salvo poi scoprire, in un avvitamento onirico borgesiano, che in realtà è lui ad essere sognato da Ljuba e non il contrario).
Quindi, Viskovitz, Jana, Ljuba. Questi nomi ritornano come variazioni sul tema, come un refrain, in ogni capitolo del libro e indicano, quasi fossero nomi di maschere della Commedia dell’arte, sempre gli stessi ruoli che si rifrangono e declinano in nuovi contesti zoologici: lasciando i ghiri e passando per le lumache, le mantidi, i cuculi, le alci, gli scarabei stercorari e altre meraviglie della natura, Viskovitz è sempre la voce in prima persona che ci racconta la sua grottesca lotta per la vita, tra rischi di morte precoce e ossessione della libidine, Ljuba è sempre la femmina ideale, il partner al quale affidare il proprio patrimonio genetico, Jana (o Lara) la femmina disprezzata o con cui qualcosa va storto, Zucotic, Petrovic e Lopez gli esemplari conspecifici, i compagnoni che fanno da spalla al narratore.
Viskovitz, questa sommatoria di voci animali, inizia ogni volta il suo resoconto retrospettivo come se fosse uno straniante mémoir: «Capii di essere un genio ancor prima di esistere» rivela un topo di laboratorio, «Con Ljuba fu amore a prima vista», confessa un pappagallo. L’effetto di straniamento è canonico, è tipico del genere della favola che ha per protagonisti degli animali, da Esopo e Fedro in avanti (ha giocato bene ultimamente in questo campo anche Ugo Cornia, con le sue Favole da riformatorio, del 2019, dove ci sono lupi disoccupati che trovano lavoro come rane e struzzi sodomizzati da facoceri). Come è evidente dai brevi passi appena citati, anche qui abbiamo qualcosa di più del solito Fedro, che è stato come setacciato attraverso il filtro della biologia evoluzionistica di Darwin (non per niente l’autore, Alessandro Boffa, è un biologo), a sua volta filtrata nel cinismo divertente e sprezzante di un battutista e narratore eccellente.
Alcuni incipit e alcune battute, infatti, sono fulminanti. Si pensi per esempio al racconto del Viskovitz lumaca (Ci pensi mai al sesso, Viskovitz?): «Il sesso? Non sapevo neanche di averne uno. Figuratevi quando mi dissero che ne avevo due» (e questo è Woody Allen); oppure alla seguente uscita (Stai perdendo la testa, Viskovitz): «“Com’era papà?”, chiesi a mia madre. “Croccante, un po’ salato, ricco di fibre”», dove il dialogo tra mantide e mantidino è in libera consonanza con lo humor di uno scrittore teratologico come Giorgio Manganelli (incipit del suo Sconclusione: «Con calma, lentamente, rimisi mio padre nel cassetto»).
Inarrivabile, sempre per condensazione di ironia e grottesco in tre smilze paginette, è la disavventura erotica del Viskovitz spugna (Bevici sopra, Viskovitz), dove la storia d’amore con la lontana spugna Ljuba, quasi l’antico amor de lonh dei poeti provenzali, è legata soltanto alla direzione delle correnti marine che veicolano lo sperma in vista della fecondazione:
L’unico modo per coronare la nostra storia d’amore sarebbe stato quello di raggiungerla con qualche spermatozoo, ma la corrente continuava a portarseli dalla parte opposta, verso mia mamma, le mie sorelle, le mie nonne, creando ogni genere di imbarazzo famigliare e di complicazione genealogica.
Tutto ciò viene ulteriormente complicato dai cambiamenti di sesso periodici delle spugne («Non era facile per me accettare il fatto che mio padre fosse la moglie di sua madre, che sua figlia, cioè mia sorella, fosse suo nonno e sua nonna fosse anche suo fratello, cioè mio zio», e qui un lettore manganelliano non può non pensare alla Documentazione detta del Disordine delle Favole, in Hilarotragoedia), per cui quando finalmente la corrente tira nel verso giusto, ormai Viskovitz è diventato una spugna femmina. La citazione delle ultime righe è d’obbligo:
“Dannazione!”, imprecai, “dannazione!”
Anche mia figlia mi aveva messa incinta.
Ero la suocera di me stessa, maledizione, la suocera di me stessa!!!
Ma forse è un bene, sospirai. Chissà che così non cominci a odiare la nuora che è in me. Chissà che così la mia infelicità non mi renda finalmente felice.
Sei una bestia, Viskovitz, è anche un campionario di forme narrative, dal secco dialogato, botta e risposta, di due pappagalli (E lei che disse, Viskovitz?), ai micro-plot di due capitoli come Sei da prendere con le pinze, Viskovitz e Ti sei messo il cuore in pace, Viskovitz: il primo coniuga in salsa western la storia dello scorpione Viskovitz che segue «la legge della coda, la sola legge del West», il secondo è un noir in miniatura ambientato a Chinatown, dove Viskovitz questa volta è un vecchio cane della narcotici coinvolto in loschi affari di droga e omicidi.
Resta da dire (mi sono contenuto dalla voglia di citare brani di questi due ultimi capitoli) qualcosa su Alessandro Boffa, biologo, si è accennato, che dopo aver pubblicato questo libro sembra essersi ritirato, con ariosa sprezzatura, nell’ombra di una vita lontana dai riflettori letterari. Siccome il libro è inaugurato da un Prologo in prima persona, e siccome questa voce narrante è quella di un pinguino che non può essere Viskovitz dal momento che dialoga proprio con lui, e da lui riceve il mandato di trascrivere tutte le storie di cui abbiamo parlato finora, ne consegue l’unica risposta possibile e certa riguardo all’identità di Alessandro Boffa: cioè che l’autore di Sei una bestia, Viskovitz sia un pinguino, o un ghiro, o uno scorpione, il cui vero nome non può che essere Zucotic, Petrovic, oppure Lopez.