Venere
In Pakistan, il tasso di fecondità (il numero medio di figli per donna)
è sceso da 6.3 a 3.5 negli ultimi 20 anni
Una madre. Figurina preistorica in carne e ossa che vive un’esistenza postuma al suo esaurito potere di fertilità. Dieci figli sono usciti dal suo ventre.
Dà ancora da mangiare a quattro di loro. Seduta su un seggiolino cubico foderato da una stampa floreale, china sulla tawa nella cucina buia per l’interruzione della corrente - un matterello in una mano, un roti pronto per la cottura nell’altra, impressionante donna-catena di produzione. Suda e maledice quei bhenchod del governo per l’estenuante razionamento della luce quotidiana.
Parla tra sé, a volte canta con una voce fresca di ragazzina in fiore, disperata per un amore impossibile. Una voce sopita, schiacciata e imprigionata nella sua mole matriarcale. Roti - questo è quanto si limita a produrre oggi. Come simulacri di bambini (ricorda i loro nomi? li ha mai saputi?), potere della serialità. Ultimo sprizzo di fertilità dal suo corpo stanco. L’unica forza capace di muoverla dall’adiacente camera da letto, dove giace gran parte della giornata. Guarda la tv, fissa il ventilatore, ignora la presenza del diafano marito che tossisce accanto a lei.
Il resto del pasto è preparato dalla figlia-serva. Forma, età e mente indefinita. In tempi non troppo remoti, in Occidente, sarebbe finita in convento. Sdraiata sul divano all’ingresso della casa in penombra, si copre il viso con le braccia. Sembra sempre come appena alzata dal letto, eppure va in palestra regolarmente sfidando gli impietosi quarantacinque gradi centigradi.
Ha perso più di dieci chili nell’ultimo anno - combatte problemi di ventre basso.