Elezioni, Nepal al bivio

19 Novembre 2013

In pochi anni il Nepal ha conosciuto una trasformazione radicale: da monarchia Indù a repubblica secolare, dal conflitto alla pace, dal nazionalismo monolitico e monopolizzato della valle di Kathmandu, a una cittadinanza più inclusiva. Ultima sfida, quella di queste elezioni, è diventare uno stato federale. Processi che spesso richiedono decadi, quando non secoli di maturazione hanno sconvolto un paese che può sembrare piccolo e irrilevante, stretto com’è tra India e Cina, ma il cui futuro ha un ruolo notevole negli equilibri geopolitici ed economici dell’intero subcontinente.

 

Monarchia assoluta dal 1762, Il Nepal lo resterà fino al 1990, quando il re Birendra, messo sotto pressione dal crescente movimento per i diritti civili, ha dovuto arrendersi alla monarchia costituzionale. Birendra sarà assassinato insieme a sua moglie nel giugno 2001, tra intrighi di corte e avvelenamenti che paiono usciti da un libro di storia moderna. Il massacro di palazzo Narayanhiti, costato la vita di dieci membri della famiglia reale, è stato un passo cruciale verso l’eliminazione della monarchia e l’evento fondante del passaggio definitivo del paese nell’età contemporanea (si veda Dimenticare Kathmandu di Manjushree Thapa per una lucida analisi critica di questi eventi e delle loro conseguenze).

 

L’attuale chairman del partito maoista, Pushpa Kamal Dahal, meglio noto col nome di battaglia “Prachanda” (che significa ardito, fiero), ha guidato nel ruolo di comandante supremo l’esercito di liberazione del popolo attraverso dieci anni di guerra civile (1996-2006), che hanno restituito un paese profondamente mutato. Il Nepal diventa ufficialmente repubblica nel 2008. L’assemblea costituente eletta in questa occasione viene sciolta 4 anni dopo per non essere riuscita a raggiungere un consenso sulla costituzione della neonata repubblica parlamentare. A parte l’ovvio gioco delle parti nella spartizione del potere politico, le questioni più spinose su cui accordarsi vertono sul re-inserimento degli ex combattenti maoisti e sulla natura del sistema federale. All’inizio del 2013 viene formato un governo provvisorio guidato dal capo della Corte Suprema di Giustizia con il compito di condurre il paese a nuove elezioni, le seconde dopo la fine del conflitto.

 

Martedì 19 Novembre i cittadini nepalesi sono chiamati a scegliere tra più di 100 partiti politici, in un’elezione frammentata e dispersiva che non lascia intravedere chiaramente una coalizione vincente. Il proliferare di partitelli e fazioni si deve ad una generale disillusione verso la capacità dei partiti maggioritari -i Maoisti (UCPN), il Partito Comunista del Nepal (UML) e Il Partito del Congresso Neplaese (NC)- di mantenere la parola data trovando un accordo sulla costituzione e garantendo lo sviluppo e la prosperità del paese.

 

Lo scopo principale di queste elezioni è dunque quello di eleggere un’assemblea costituente di 601 membri che aiuti il paese a superare l’attuale vuoto di potere che ha portato anche a una notevole perdita economica, dato che molti progetti di aiuto allo sviluppo e schemi di finanziamento non sono stati rinnovati o sono stati ritirati a causa della crescente instabilità politica, che rende il paese un luogo poco sicuro per investire.

 

 

Il Nepal è il paese più economicamente arretrato del subcontinente. Nonostante il suo immenso potenziale per la produzione di energia idroelettrica, la mancanza di infrastrutture (si pensi che nel paese dell’Himalaya non esiste un solo tunnel!) costringe i suoi cittadini a un continuo razionamento dell’energia che arriva a toccare le 18 ore al giorno. La tabella settimanale dei razionamenti dell’elettricità definisce e scandisce la vita dei cittadini – Alcuni ironizzano dicendo che il vero significato della parola Nepal è No Electricity Production Always Load-shedding, niente produzione di energia elettrica, sempre razionamento. All’energia si aggiungono frequenti tagli dell’acqua e il razionamento estenuante di benzina e diesel che costringono a interminabili code.  Sempre più i nepalesi migrano per migliorare le proprie condizioni di vita e Il 25% del prodotto interno del paese - una cifra enorme- è costituito dalle rimesse dei migranti,  costretti spesso a lavorare (soprattutto nel Golfo) in condizioni di sfruttamento terribili che confinano con la schiavitù. La confederazione dei sindacati per il lavoro JTUCC ha recentemente rivendicato il diritto al voto per i migliaia di nepalesi che lavorano all’estero, ma senza successo.

 

La questione cruciale è qui la natura del federalismo: Sarà un sistema federale basato sull’etnia o sulla geografia? Quanto spazio lasciare all’autonomia regionale? La costituzione deve essere approvata da 2/3  dell’assemblea, in un paese con più di 100 etnie e circa 122 lingue (il Nepalese e la prima lingua per il 44%  della popolazione).

 

L’altro importante leader maoista, che è stato primo ministro fino al Marzo 2013 è Baburam Bhattarai. Meno passionale di Prachanda, Bhattarai è da molti considerato la mente più brillante del partito e ha spinto per far prevalere un’idea di federalismo inclusivo, volta a schivare la catastrofe di un federalismo a carattere identitario che potrebbe facilmente alimentare il conflitto, in un paese dove la discriminazione socioeconomica – nonostante l’abolizione formale del sistema delle caste - si trova ancora all’intersezione di casta, etnia, lingua, collocazione geografica e genere.

 

Il Rastriya Prajatantra Party (Partito democratico del Nepal), di centro-destra, incarna la restaurazione e si propone di riportare il Nepal a una monarchia costituzionale con l’induismo come religione di stato. Tristemente, negli ultimi anni il fondamentalismo indù è cresciuto in modo rapido ed è cavalcato da una parte della classe politica -che vuole occhieggiare all’elettorato dei nostalgici della monarchia, principalmente le caste superiori - che si sono viste deprivare dei loro privilegi con lo sgretolarsi del sistema feudale. Tuttavia Il Nepal rappresenta ancora nel subcontinente di oggi un’oasi di sincretismo religioso e di tolleranza, dove la religione è percepita come un’identità fluida, personale e libera.

 

Il sistema dei privilegi di casta si intreccia con l’appartenenza geografica e la fascia non montuosa del Nepal, il Terai, che sconfina nella piana gangetica indiana, costituisce l’area più arretrata, oppressa e discriminata del paese. L’opposizione Pahari (gente di montagna)/Madeshi (abitanti della pianura) ha infatti un significato socio-politico ben preciso e implica una dominazione dei primi sui secondi. Molti Madeshi per esempio (anche se non sono i soli) avranno difficoltà a votare perché’ non possiedono terra o certificato di cittadinanza. Legami culturali e familiari di là dal poroso confine con l’India (il confine tra i due stati è aperto) e il fatto di essere in fondo al sistema delle caste rende ulteriormente difficile per molti madeshi provare la loro identità nazionale. I madeshi sono politicamente organizzati e supportano un modello di federalismo che garantisca una significativa autonomia regionale, ma anche il fronte madeshi è frammentato in diversi partiti e fazioni.

 

Molti nepalesi guardano con sospetto all’ingerenza indiana negli affari interni del Nepal (l‘ambasciatore Indiano a Kathmandu ha un peso politico ben superiore a quello di un comune diplomatico) e ne condannano l’atteggiamento paternalista che considera da sempre lo stato himalayano come una sorta di protettorato indiano.

 

Nonostante la rapida trasformazione e l’attuale stallo politico, occorre ricordare che il Nepal ha bruciato le tappe e ha raggiunto molti obiettivi importanti.  I Dalit (gli intoccabili) hanno finalmente rappresentanza politica (al 49%) e una Commissione Nazionale (la National Dalit Commission) per la difesa dei loro diritti. La discriminazione è ovviamente ancora presente -ma il solo fatto che in pochi anni i Dalit siano passati da essere trattati come animali a sedere allo stesso tavolo e prendere decisioni assieme ai bramini è una rivoluzione che non deve essere data per scontata.

 

In Sud Asia, il Nepal vanta la più bassa censura all’informazione –  dalle radio locali a internet – ed è  il primo paese ad avere decriminalizzato l’omosessualità. Nel 2009 la Corte Suprema ha approvato le unioni gay e ha chiesto all’assemblea costituente che i diritti dei gay fossero garantiti sotto la nuova costituzione. Nel 2001, Sunil Babu Pant ha registrato la prima organizzazione LGBTI  - la Blu Diamond Society - che ha intrapreso una epica battaglia legale per ottenere il diritto ad avere riconosciuto “terzo genere” sui documenti di identità. Pant è stato eletto parlamentare nel 2008 diventando il primo politico apertamente gay del Nepal.

 

Ma forse più di ogni altra cosa, la grande rivoluzione è stata quella portata avanti dal movimento delle donne. In pochi anni la società intimamente patriarcale nepalese è stata scossa profondamente. Tra le molte vittorie istituzionali del movimento si possono contare l’adozione della fondamentale legge contro la violenza domestica, la creazione  della National Women Commission, la rappresentanza al 33% nell’assemblea costituente e la fondazione della National Alliance for Women Human Rights Defenders (NAWHRD), fondata nel 2008 e presieduta da Renu Rajbhandari (nella foto), una delle pioniere e delle più importanti voci del movimento. Chiedo a Renu le sue impressioni sulle imminenti elezioni – E’ sicura che le questioni di genere non possano oggi essere ignorate nell’agenda politica del paese. Tuttavia, non nasconde un po’ di preoccupazione per la febbre di identità’ etnica che serpeggia anche nel movimento delle donne.

 

Ci auguriamo che i cittadini nepalesi non cedano alla tentazione identitaria e optino per chi supporta un federalismo inclusivo. Un vento di restaurazione soffia in Sud Asia, dall’elezione lo scorso maggio di Nawaz Sharif in Pakistan alla pericolosa e controversa ascesa di Narendra Modi in India. Il Nepal potrebbe invertire questa tendenza.

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