Pakistan al voto

8 Maggio 2013

Subito dopo l’attentato alla maratona di Boston, i Talebani Pakistani si sono affrettati a negare ogni loro coinvolgimento. “Certo, sono troppo occupati a uccidere i candidati di sinistra per le prossime elezioni” è stata la naturale chiosa di molti cittadini della Repubblica Islamica.

 

La campagna elettorale è stata segnata da un numero crescente di attentati contro le forze secolari del paese. I talebani si sono accaniti contro gli uffici, le case e i comizi dei candidati dei partiti di sinistra e centro sinistra (la coalizione al governo, formata da ANP, MQM e PPP) causando più di 40 morti – e centinaia di feriti – solo nell’ultima settimana.

 

 

Mentre la NATO proprio in questi giorni dichiara ufficialmente di aver vinto la guerra contro i Talebani in Afghanistan, i Talebani Pakistani (noti anche come TTP Tehrik-i-Taliban Pakistan, traducibile come ‘movimento studentesco Paksitano’) hanno reso noto in un video di essersi associati all’“offensiva di Primavera” recentemente lanciata dall’ala Afghana del movimento.

 

Domenica 28 Aprile (una giornata particolarmente cruenta con più di sei attacchi in diverse parti del paese), i Talebani hanno scansato ogni restante dubbio sulla loro linea di azione, dichiarando di voler colpire esclusivamente i partiti secolari, in armonia con quanto deliberato in una shura (‘consultazione’ di stampo coranico). Saranno risparmiati i partiti di centro-destra – vale a dire JUI (Jamiat Ulema-e-Islam partito Islamista e conservatore), PML N (Pakistan Muslim League, partito di centro-destra guidato dall’ex primo ministro Nawaz Sharif) e PTI (Pakistan Tehrik-i-Insaf, letteralmente “Movimento per la Giustizia”, capitanato dell’ex star del cricket e dei rotocalchi Imran Khan), che hanno finora mantenuto un assordante e complice silenzio sulla carneficina dei loro avversari politici.

 

PTI è la novità di queste elezioni, o meglio, si autoproclama come il nuovo (con lo slogan naya Pakistan, nuovo Pakistan) proponendosi fumosamente come alternativa alla vecchia classe politica corrotta e familista. Particolarmente popolare tra la gioventù urbana e borghese, il partito di Imran Khan è in realtà un calderone populista in cui la retorica anticorruzione e anti status quo si salda con posizioni conservatrici che occhieggiano al nazionalismo (con implicite implicazioni settarie ed etniche) e ad una versione Islamica (e quindi non secolare) della democrazia, orientata verso un welfare egalitario in linea con i principi guida dell’Islam. La retorica anti-corruzione e anti-politica di Khan sarà familiare al lettore italiano per le sue sinistre risonanze con l’allegra confusione dei grillini, a partire dalla comune scelta di battezzare “tsunami” gli stracolmi comizi pubblici (jalsa), incessantemente tenuti in tutto il paese da Mr. Khan.

 

 

Al di là delle divergenze, la coalizione al governo – e presa di mira dal terrorismo – è unita sull’importanza del secolarismo e ha sostenuto una battaglia comune per far approvare il Diciottesimo emendamento alla costituzione, diretto ad estendere il potere delle istituzioni civili e in particolare del parlamento. Resta il dubbio che sia forse questa la cosa più insopportabile per l’establishment del paese.

 

In questa campagna elettorale a pagare il prezzo più alto in termini di vite umane è stato l’Awami National Party (ANP), la forza politica che ospita al suo interno le voci più progressiste del paese. Fondato nel 1986 dal figlio di Bacha Khan (figura poco nota in Italia ma personaggio centrale della storia recente del subcontinente, amico e alleato di Gandhi tanto da essere noto anche come “Gandhi della frontiera”), ANP è scisso nella duplice vocazione di rappresentare il nazionalismo Pashtun in Pakistan e la sinistra secolare.

 

 

MQM (Muttahida Quami Movement) è un partito di centro sinistra il cui potere elettorale è per lo più limitato alla megalopoli Karachi e a Hyderabad. MQM è tradizionalmente il partito dei Muhajir (letteralmente “migranti”), vale a dire i discendenti dei musulmani del subcontinente che, dopo la partizione, hanno deciso di trasferirsi in Pakistan (e in particolare nell’ascendente porto di Karachi). I Muhajir sono gli unici per cui la lingua nazionale (l’Urdu ancora ampiamente parlato dai Musulmani e la classe colta d’India) è anche la lingua madre.
 

 

Il Pakistan People’s Party (PPP) nasce nel 1967 su iniziativa di membri del defunto Partito Socialista Pakistano. Dagli anni ’70 la sua storia è inestricabilmente connessa con le vicende della famiglia Bhutto, ed è quindi un partito di tipo “dinastico” con alti livelli di corruzione.
PPP funziona come partito ombrello per voci di centro sinistra e di sinistra ed è particolarmente forte nelle aree rurali, soprattutto nella provincia del Sindh (patria della famiglia Bhutto). Ciò detto, PPP è un partito nazionale, mentre sia ANP che MQM sono partiti regionali con una forte connotazione etnica, cosicché la battaglia tra partiti islamico-conservatori, esentati da attacchi talebani, e partiti di centro ed estrema sinistra ha al suo interno anche una forte tensione etnico-geografica: la ‘nazione’ Pashtun e la borghesia liberal di Karachi contro l’establishment della provincia più ricca e dominante, il Punjab. A complicare ulteriormente il quadro delle tensioni etnico-religiose si aggiungono il fortissimo nazionalismo indipendentista Sindhi e quello del Baluchistan, la provincia più povera e martoriata dagli attentati a sfondo settario e con una capillare presenza dell’esercito sul territorio.

 

Lunedi 29 Aprile PPP, ANP e MQM hanno annunciato in una conferenza stampa comune di essere uniti nella battaglia contro l’estremismo, mentre Human Right Watch urge il Pakistan di garantire sicurezza per tutti i candidati all’elezioni.

 

 

Ci sarà poco di equo, trasparente o regolare in questa elezione Pakistana. Circa 11 milioni di donne non riusciranno a votare perché non sono in possesso di una regolare carta di identità e a molte altre l’accesso al voto sarà sbarrato o dagli estremisti o dallo zelo di sicurezza e rispettabilità dei loro familiari (maschi). Un’intera provincia (Gilgit-Baltistan, l’estremo nord dl paese, nel cuore del Karakoram-Himalaya) è completamente esclusa dal voto perché, in quanto zona disputata con l’India (ma distinta dal Kashmir), gode di uno statuto ancora non pienamente costituzionale. Tuttavia, il regolare svolgimento di questa elezione è prioritario.

 

Il voto dell’11 maggio segnerebbe infatti la prima transizione democratica del paese dal 1947, anno della sua nascita. Il presente governo sarebbe il primo a concludere un mandato e a passare il testimone al successivo governo democraticamente eletto, senza interferenze dell’esercito e colpi di stato. Nonostante la carneficina e la dubbia correttezza, queste elezioni sono una condizione necessaria perché il Pakistan possa provare al mondo e, soprattutto, ai suoi cittadini, di essere davvero un paese con un esercito e non un esercito con un paese.

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