Let my people go / Alda Espírito Santo, Alda Lara e Noémia de Sousa: poesia e decolonizzazione

17 Novembre 2020

Se canticchiamo mentalmente “Let my people go”, improvvisamente sembra suonare un pianoforte, accompagnato dalla voce graffiante di Paul Robeson. Per qualcuno di noi, ancora più familiare sarà l’evocazione della voce profonda di Louis Armstrong, che nel 1958 registrò una versione di Go down Moses cantando, anche lui: “Let my people go/ Oppressed so hard they could not stand”. 

 

Quando scrisse la poesia Deixa passar o meu povo, nei sobborghi di una Lourenço Marques (oggi Maputo) ancora sotto dominio coloniale portoghese, la mozambicana Noémia de Sousa non poteva prevedere che il gigante del jazz avrebbe interpretato, quasi dieci anni più tardi, quel vecchio spiritual a New York, con arrangiamento di Melvin James Oliver. Noémia veniva da un posto in cui il tempo disponibile per la romanticizzazione dell’esperienza nera, africana, era poco. Le sfaccettature del secondo dopoguerra, lì, erano altre: così come l’Angola, Capo Verde, la Guinea Bissau e São Tomé e Principe, il Mozambico faceva parte delle colonie portoghesi, poi definite, a partire dal 1951, “Territori Ultramarini”. 

 

Gli anni ’50 corrisposero con l’intensificazione del popolamento di massa di questi territori da parte dei coloni portoghesi, costituiti da una minoranza di amministratori coloniali e una grande maggioranza di piccoli commercianti e di cittadini comuni in estrema miseria. Il processo di assimilazione che, come in altri sistemi coloniali, non rispettava le usanze dei i popoli autoctoni e obbligava la maggioranza della popolazione nera a rinnegare la propria cultura, qui fu estremamente violento: il lavoro, di fatto semi forzato, dei contratados per produrre cacao, caffè o per l’ estrazione di diamanti, le violenze fisiche come la palmatória, che consisteva nel percuotere i palmi delle mani dei lavoratori neri con bastoni o oggetti contundenti,  e la razzia di terre erano alcuni tra gli abusi che vennero normalizzati nel contesto della colonizzazione in Africa. Il Portogallo, oltretutto, viveva da ormai decenni nel regime dittatoriale di Salazar, che lasciò il paese in condizioni di estrema povertà ed arretratezza fino alla Rivoluzione dei Garofani del 25 di Aprile de 1974.

 

In questo complesso contesto, nacquero le creazioni poetiche di tre donne destinate a diventare, ognuna nella sua particolare accezione, simboli dell’amore che nutrivano per i suoi rispettivi popoli e, al contempo, della lotta per la sua liberazione: Alda Espírito Santo, Alda Lara e Noémia de Sousa. Tutte e tre passarono da Lisbona, dove frequentarono la Casa dos Estudantes do Império (C.E.I), un’associazione accademica che riuniva gli studenti universitari che, dalle colonie, si recavano nella “Metropoli” per la sua formazione, essendo vietate le università nelle colonie. Ben presto, l’associazione divenne un luogo di aggregazione la cui esistenza fece da fulcro per la diffusione delle rivendicazioni coloniali: vi transitarono nazionalisti africani del calibro di Amílcar Cabral, Agostinho Neto e Mário de Andrade. Nel 1957, alla C.E.I si tenne una conferenza proferita dall’ideologo della negritudine Léopold Senghor, grazie anche ai contatti di De Andrade con Présence Africaine, fondata a Parigi da Alouine Diop dieci anni prima.

 

Diversamente da molti dei suoi colleghi uomini, queste donne non parteciparono attivamente alla lotta armata dei movimenti di liberazione, ai quali contribuirono tramite l’attività culturale e intellettuale. 

Ci troviamo di fronte a tre personalità molto diverse tra loro, per origini, inclinazioni e percorsi: Alda Lara, nata a Benguela (sud dell’Angola), morì nel 1962 all’ età di trentadue anni, solo un anno dopo l’inizio della Guerra Coloniale.

 

Alda Espírito Santo.


La sua produzione poetica, pubblicata in giornali e raccolta in Poemas solo postumamente, dialogava liricamente con l’esperienza delle donne angolane. “Alla prostituta più giovane / del quartiere più vecchio e scuro, / lascio i miei orecchini, ornati / di cristallo limpido e puro”, diceva Alda Lara in Testamento (la traduzione mia come tutte le successive dove non espressamente indicato). In Prelúdio, descrive la Mãe Negra che scende una via mentre la notte scende sulla città, stanca, con le lacrime a solcare il volto. Figlia di coloni, Alda ama l’Angola e, soprattutto, riconosce le profonde ingiustizie sociali che la caratterizzano. È cosciente del suo privilegio, riconosce che le donne nere non hanno diritto ai suoi orecchini, ai suoi vestiti floreali, a contemplare le bouganvilles rosse, ma solo a stringere le mani e continuare a camminare. 

 

Decisamente diverse sono le esperienze di Noémia de Sousa e Alda Espírito Santo che, seppur integrate nell’élite coloniale, vivono le ingiustizie razziali sulla propria pelle. La loro opera letteraria è militante, spurgata dal lirismo (a volte quasi idealista) di Alda Lara. Con Noémia, la lingua ronga entra prepotentemente nel testo. Sousa sfida la narrazione coloniale di una patria portoghese unica e pluricontinentale, evocando le ferite insanabili della schiavitù e gridando: “Torturata e magnifica/ altezzosa e mistica/ Africa dalla testa ai piedi/ Ah, questa sono io!”. Perseguitata dalla PIDE, la polizia politica del regime salazarista, la giovane scrittrice, traduttrice e giornalista è costretta nel 1951 a lasciare il suo paese per l’esilio, recandosi prima in Portogallo, poi in Francia. 

 

Nel frattempo, a Lisbona la rete di resistenza intellettuale di giovani africani si intensificava. È qui che Noémia conobbe Alda Espírito Santo, una professoressa di São Tomé che viveva a casa di sua zia, dove venne fondato il Centro de Estudos Africanos (sempre a partire dal 1951). Autrice di varie poesie ma anche, come testimoniano del resto gli archivi della PIDE, di saggi femministi e di riflessioni sul ruolo della gioventù nera in Africa, in Europa e nel mondo, la scrittrice garantiva la circolazione di giornali anticoloniali, così come la corrispondenza tra vari intellettuali nazionalisti, come nel caso di Noémia de Sousa e dell’angolano Viriato da Cruz. Oltre ad essere emblematica per il ruolo fondamentale che ebbe nella lotta anticoloniale, la sua poesia è forse quella più evidentemente militante, anche in virtù della sua pubblicazione successiva alla Rivoluzione dei Garofani e all’Indipendenza del suo paese.

 

“La battaglia”, diceva, “si prospetta dura e sanguinosa/ un lungo canto di pugni chiusi/ sarà la risposta dell’uomo agli squali dei mari.” Quelle “isole al sud del Sahara” che compongono l’arcipelago di São Tomé e Principe, dove si produceva cacao tramite il lavoro forzato di uomini e donne costretti a emigrare senza prospettive di rivedere la loro terra d’origine, era ricca ma legata alla sofferenza del popolo costretto a mangiare banane senza pesce. Sono le donne, ancora una volta, a rappresentare la speranza di una solidarietà femminile trasversale. Sono le palayés, le venditrici ambulanti di São Tomé, che scalze camminano chilometri. Sono le donne che hanno le mani sempre sporche dal duro lavoro nella cucina, ma che riescono a vedere la bellezza e la ricchezza della loro terra, a stringere le mani e parlare il loro crioulo. Riescono a valorizzare la loro cultura e, tramite essa, il futuro del loro paese, libero dal colonialismo.

Mentre queste donne stringevano le loro mani e resistevano, altre gli davano voce, esclamando come Noémia de Sousa: “Deixa passar o meu povo” (Lascia passare il mio popolo). Ispirandosi all’Harlem Renaissance e al panafricanismo, al movimento della négritude o a un umanismo cattolico e internazionalista, queste tre scrittici gridavano, ognuna a suo modo: “Let my people go”.

 

Nota di lettura

- Alda Espírito Santo, É nosso o solo sagrado da terra, Ulmeiro, Lisbona, 1978.

- Lara, Poemas, Vertente, Porto, 1984. Prima edizione: Imbondeiro, Sá da Bandeira, 1966.

- Noémia de Sousa, Sangue Negro, Kapulana, San Paolo, 2016. Prima edizione Associação dos Escritores Moçambicanos Maputo, 2001.

 

Alcune poesie dell’epoca sono state pubblicate in traduzione italiana nei volumi:

- Giuseppe Tavani (org), Poesia africana di rivolta. Angola, Mozambico, Guinea, Capo Verde, Sao Tome, Bari, Laterza, 1969.

- Mário de Andrade (org), Letteratura negra, volume 1: Poesia, Roma, Editori Riuniti, 1961. Prefazione di Pierpaolo Pasolini.

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