Alessandro Zaccuri: libri che pregano

20 Ottobre 2024

È possibile cogliere nella biblioteca dell’umanità tracce di preghiera, intesa come dialogo con un Altro al quale ci si può sempre rivolgere, magari per protestare contro di lui, per contraddirlo o negarlo? E dove cercarle? Non ci aspetteremmo, per esempio, di reperire queste tracce nella parodia del Padre Nostro messa in bocca a un personaggio di un desolato racconto di Ernest Hemingway, con l’iterazione quasi paranoica dello spagnolo nada, ossia “niente, nulla”: “O nada nostro che sei nel nada sia nada il nome tuo nada il regno tu e sia nada la tua volontà così in nada come in nada…”. Parole che sembrano riecheggiare il componimento più oscuro dell’intero Salterio biblico: “Ti invoco, Signore, tutto il giorno, verso di te protendo le mie mani. Per i morti fai forse prodigi? O le ombre sorgono forse per lodarti? Si narra forse il tuo amore nel sepolcro, la tua fedeltà nel luogo di perdizione?” (Salmo 88,10-12).

Domande paradossali, all’insegna di una vera e propria “lotta con Dio”, ma domande che, appunto, seppur in forma di protesta (di rifiuto?), possono essere rivolte solo a Lui: l’orante vive una disperata speranza, quella di chi, con gli ultimi residui di energia corre il rischio di perdere la vita nel chiedere la vita, perdere la vita nello sperare la vita. Chi parla si sente abbandonato dal Signore, eppure sente di potersi rivolgere solo al Signore stesso! O chi penserebbe di trovare echi di preghiera, con puntuali riferimenti cristologici, nella poesia di François Villon, antesignano dei poeti maledetti? E la preghiera può forse germogliare dall’errore, dal buio estremo, come accade nel dialogo tra due giovani, l’omicida Raskol’nikov e la prostituta Sonja, protagonisti di Delitto e castigo di Dostoevskij?

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Ebbene sì, tutto questo è possibile. Basta avere la capacità di scovare queste pepite preziose tra le pagine della letteratura universale, comprese ben inteso quelle a prima vista più luminose, in cui le si cerca più abitualmente. Lo ha fatto per noi Alessandro Zaccuri, nel piccolo gioiello Preghiera e letteratura, collocato all’interno della collana “Insegnaci a pregare” (2024), ideata dall’Editore San Paolo. Narratore, saggista e vincitore di numerosi premi letterari, l’autore conosce dall’interno, per esperienza, la materia di cui tratta. Perciò non stupisce l’ampio ventaglio dei testi presi in esame e passati al vaglio del suo discernimento letterario: in un elenco solo parziale, si va dai capolavori della tradizione induista (Veda, Mahabharata, Bhagavadgita), dall’Iliade, dal De rerum natura di Lucrezio, fino a La strada di Cormac McCarthy, a Il Regno di Emmanuel Carrère e a Jon Fosse, Nobel per la letteratura nel 2023, passando per grandi classici come la Commedia dantesca (e i suoi insospettabili epigoni), il Don Chisciotte, alcuni assaggi di Shakespeare, I promessi sposi, il Diario di un parroco di campagna, e molto molto altro.

Uno dei capitoli più suggestivi è quello dedicato ad alcuni grandi romanzi del XIX secolo, di cui uno già evocato. In particolare, lascio al lettore o alla lettrice il gusto di cogliere l’arte della preghiera tra le pieghe della semplice richiesta del trovatello protagonista di Le avventure di Oliver Twist, di Charles Dickens (1837): “Si alzò da tavola e, dopo essersi avvicinato al maestro, con la scodella e il cucchiaio in mano, disse, alquanto allarmato dalla sua stessa audacia: ‘Per piacere, signore, ne voglio ancora’”. Le conseguenze di questa audacia, ai nostri occhi così innocente, saranno tragiche, il che stride ancora di più con il sottile filo che nell’originale inglese lega le parole del ragazzo a testi liturgici della Chiesa cattolica. Si trova dunque preghiera in una ineludibile richiesta di giustizia, sotto forma di diritto al cibo, ben più che in formule religiose ripetute senza convinzione, le quali finiscono per rivolgersi contro chi le pronuncia. Senza dimenticare che, dietro a quel “Ne voglio ancora”, si cela qualcosa di più di una mera richiesta di nutrimento. È cifra simbolica dell’inesausto desiderio di amore che accompagna l’incedere sulla terra di ogni umano ed è la verità ultima anche di ogni preghiera, secondo le parole ancora del Salmista: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così il mio essere anela a te, o Dio. Il mio essere ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò a vedere il volto di Dio?” (Salmo 42,2-3).

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Doge Alvise Mocenigo (1507–1577) Presented to the Redeemer, Jacopo Tintoretto ,1577.

In una recente intervista, alla domanda “Che cosa accomuna letteratura e preghiera?” Zaccuri ha risposto con aurea concisione e, nel contempo, apertura a un orizzonte sconfinato: “L’uso della parola. Nella tradizione cristiana e in tante tradizioni spirituali la parola è presenza reale nel divino nelle vicende degli uomini. Quando facciamo letteratura usiamo le parole nel tentativo di comunicare con un interlocutore che non conosciamo. Questa speranza che un interlocutore ci sia, è molto vicino all’atteggiamento di chi prega”. In altri termini, è qui contenuta per intero la dinamica dell’incarnazione del Logos, della Parola originaria, nell’uomo Gesù Cristo, colui che non a caso ha insegnato a vivere e a pregare – o forse a fare della vita la forma più autentica di preghiera – anche e soprattutto mediante la narrazione delle parabole: congegni letterari perfetti e aperti verso gli ascoltatori prima e i lettori poi; racconti grazie ai quali egli ha mostrato il suo talento sublime e umanissimo di “creatore”, ovvero, in purezza etimologica, di “poeta”.

Il filo rosso che lega questo appassionante viaggio tra le pagine, fatto per assaggi che ci incuriosiscono, spingendoci a proseguire la lettura dei testi citati e allusivamente discussi, è ben espresso proprio dall’autore, in una dichiarazione programmatica posta all’inizio dell’opera, che per una volta vale la pena citare con una certa ampiezza:

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The Miracle of the Loaves and Fishes, Jacopo Tintoretto, 1545–50.

Sono gli scrittori a pregare oppure i loro libri? … La letteratura non sarà invece un passatempo che toglie spazio alla preghiera? … Questa la “strana e paradossale natura della poesia: una preghiera che non prega e che fa pregare” (Henri Bremond). Sembra un indovinello, in realtà è la descrizione perfetta di quello che accade nel dialogo a distanza fra chi scrive e chi legge. Una comunicazione sottile e spesso imprevedibile, che sta sotto il segno dell’esperienza.

All’altro capo del saggio, in una sorta di inclusione magnetica, apprendiamo che la letteratura è in grado di testimoniare una “vera presenza” nelle nostre vite, anche se ci sembra di patire l’assenza di qualcosa che non conosciamo e di cui pure abbiamo nostalgia, una nostalgia indefinita e infinita. È così che possiamo entrare nella preghiera intesa come un vero e proprio mistero, categoria che l’autore evoca spesso, con accurata cognizione di causa, lungo la sua traversata del pelago letterario. Lasciamoci dunque prendere per mano dalle pagine di Zaccuri: una guida sicura e discreta attraverso altre pagine, quelle della grande letteratura, alla scoperta della nostalgia di una presenza-assenza che ci precede e sempre ci attende. Un viaggio che ricomincia ogni giorno, e non finirà mai: nero su bianco, verso orizzonti sterminati, “di inizio in inizio, attraverso inizi che non hanno mai fine” (Gregorio di Nissa).

In copertina, The Finding of Moses, Jacopo Tintoretto, 1560.

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