Condotta
L'argomento del voto di condotta, che negli ultimi tempi sta occupando la discussione pubblica sulla scuola, sembra ricalcare il cosiddetto argomento dello spaventapasseri, quell'artificio già noto ad Aristotele per cui, quando non si è in grado di argomentare su un dato oggetto, si rivolge il proprio attacco contro una proposizione diversa: come il sofista Licofrone, che invece di tessere un elogio della lira (lo strumento musicale) trattò della costellazione della Lira (Confutazioni sofistiche, 174 b 30-33). "Condotta" dovrebbe designare l'insieme dei comportamenti, tanto del singolo quanto della comunità: con tutto ciò che di problematico vi è, oggi, dello stare in situazione scolastica; il voto di condotta è una sua valutazione quantitativa, la cui effettuazione è limitata dalla sola dimensione sanzionatoria, che di per sé non ha quel potere performativo, cioè di determinare un mutamento della situazione o dello stato del mondo, che gli si attribuisce a priori, con una falsa analogia con altre forme di sanzioni penali o detentive. Ma quello scambio scorretto in cui consiste l'artificio di Licofrone si arricchisce, nel dibattito pubblico odierno, di un ulteriore elemento: lo scambio di termini o proposizioni diventa una sorta di osso lanciato all'opinione pubblica affinché questa, concentrandosi sul diversivo, si distragga dal tema che dovrebbe essere in oggetto. È ovvio, ma non banale, che parlare del voto di condotta esonera dalla necessità di occuparsi dei perché di quelle condotte che si sanzionano, se non all'interno di un'istruttoria che è già limitata a monte dal procedimento sanzionatorio. Aggiungo che dietro le cause delle condotte scolastiche c'è – anche dove non si vede – una diversità di economie morali dei diversi soggetti: studentesse e studenti, insegnanti, famiglie. Quello di "moral economy" è un concetto basilare forgiato dallo storico britannico E.P. Thompson per indicare quell'insieme di norme, obblighi sociali, funzioni economiche che all'interno di una data comunità fanno sì che certe pratiche siano considerate lecite o meno: ad esempio, i food riots inglesi dei poveri nel XVIII secolo, scatenati dall'impennata dei prezzi. Differenti comunità hanno differenti codici di economia morale, differenti e difformi valutazioni su ciò che è lecito o non lo è: basti pensare agli strumenti di resistenza dei subalterni, nella storia considerati come violenti da chi sfruttava i subalterni detenendo il potere.
Per comprendere cosa c'entra Thompson col voto di condotta è necessaria una solo apparente divagazione, che parte da un acuto – come d'abitudine – intervento di Eraldo Affinati, "Il voto di condotta e l'importanza di un 'no'" (Repubblica, 20 settembre 2023). Affinati prende lo spunto da un episodio accaduto a don Milani e ai suoi studenti, invitati a una proiezione di Roma città aperta (è il 30 marzo 1962); accadde che gli studenti delle altre classi disturbarono, con chiacchiere e risate, la visione, a differenza dei ragazzi di Barbiana; sicché don Lorenzo dovette intervenire, con un plateale rimprovero. Il giorno dopo però, dopo averne discusso con i suoi studenti, don Milani scrisse una lettera all'organizzatore della proiezione, Marcello Inghilesi (la lettera è nel secondo volume del Meridiano don Milani alle pp. 862-64), rovesciando la prospettiva: non gli studenti, ma i docenti erano da rimproverare, perché «quella non è una scuola, è una pubblica piazza. Ognuno tira per la sua strada disinteressandosi del prossimo». E aggiungeva: «Vi siete forse illusi di poter fare una scuola democratica? È un errore. La scuola deve essere monarchica assolutistica e è democratica solo nel fine cioè solo in quanto il monarca che la guida costruisce nei ragazzi i mezzi della democrazia». Ciò che don Milani rimproverava alla scuola che aveva organizzato la proiezione era la mancanza di «tensione politica e sociale», necessaria per comprendere un film quale Roma città aperta, della quale gli insegnanti «dovevano farne il pane quotidiano della scuola», e la mancanza di un'educazione sessuale (che a Barbiana c'era) che avrebbe evitato reazioni scomposte alla vista di frammenti di nudi dei personaggi.
Affinati sottolinea queste «parole dure da accettare», e perciò spesso rimosse nella trasformazione di don Milani in un'icona dell'«egualitarismo indifferenziato»: icona che si è rivelata utile alla denigrazione reazionaria del parroco di Barbiana da parte dei tanti nemici dichiarati della scuola; laddove «dovrebbe essere questo il cuore di ogni possibile I care!». La stessa accettazione della necessità della punizione è finalizzata al rischio educativo che consiste nel non lasciare campo libero, al non far fare al discente tutto quello che vuole.
Non condivido tutto quello che Affinati scrive – a partire dall'utilità del valutare la condotta e usare questo voto come strumento educativo – ma riconosco che le questioni sono poste con chiarezza, senza infingimenti: e dunque, hic Rhodus, hic salta.
È ineludibile la domanda su quale sia, oggi, la condizione in cui si trova ad operare il sistema-scuola: un oggi che non è limitato all'insediamento dell'attuale ministro, ma dura da un ventennio, a essere buoni; ma che la pandemia, come in molti altri ambiti, ha reso visibile, come fosse un reagente chimico che ha mostrato processi che in pochi, fino a ieri, vedevano. È indubbio che i processi didattici ed educativi che sostanziano la scuola, che ne costituiscono il sistema nervoso e cerebrale, siano in opposizione – e in posizione di evidente minorità – rispetto ai processi che caratterizzano il mondo contemporaneo. Non si tratta di una mera contrapposizione fra diversi e alternativi modelli nel cielo terso degli ideali pedagogici, ma nella dura materialità della società del capitalismo finanziarizzato, col suo portato di individualismo, egoismo, arrivismo, con gli ideali, non importa quanto illusori, di arricchimento e di successo immediati e senza costi da pagare. Una logica che pervade quei settori che un tempo erano chiamati pubblici – sanità, scuola, amministrazione – soggetti a una violenta colonizzazione, in base alla logica che non c'è altra forma di gestione se non quella basata sulle regole del mercato, e non c'è alternativa al mercato. Il conflitto endemico che si registra nella quotidianità scolastica non è il riflesso di quello che accade "fuori", come se la società e la scuola fossero ambiti distinti: è l'effetto di questa colonizzazione in atto. Al sapere insegnato nelle scuole si contrappone un sapere just in time, conseguibile con un click attraverso il quale il possesso di una nozione semplificata viene contrapposto alla dura fatica del concetto e dell'apprendimento; alla necessità di costruire un orizzonte di senso, che è anche un fine da conseguire, si contrappone l'inutilità di un orizzonte alternativo a quello, già dato, nel quale i modelli sono ad apparente portata di mano: Elon Musk, Mark Zuckenberg, Bill Gates; volendo scendere nel vintage, Steve Jobs, l'uomo che ebbe la sfrontatezza di dire «Stay Hungry Stay Foolish!» a una platea di giovani obesi figli della upper class statunitense. Modelli di vita introiettati da studentesse e studenti, ma anche dalle loro famiglie, che rafforzano la pretesa di imporre questi modelli facilitatori con i mille appigli che la distruzione della scuola pubblica in corso ha fornito per introdurre nella scuola l'impresa, i suoi valori e i suoi schemi mentali antitetici all'aumento della complessità, all'interconnessione dei saperi, alla confusione delle acque necessari alla comprensione di un mondo globalizzato. All'opposto, nella forbice sociale che si allarga sempre più, gli strati più bassi della società – quei penultimi che vengono educati all'odio verso gli ultimi –, per i quali quel mondo scintillante non è neanche a (illusoria) portata di mano: per i quali, studenti e famiglie, l'orizzonte scolastico è ancor più privo di senso e di attrattiva. Citando una brava Dirigente Scolastica, Antonella Di Bartolo: come può non esserci la perdita della consapevolezza, da parte di studentesse e studenti, che l'istruzione è un diritto, se le famiglie da cui provengono non hanno (più) questa consapevolezza?
Affinati nomina «l'enfasi libertaria e la deflagrazione del desiderio» novecentesche dalla quale provengono le nuove generazioni: qui si tratta di capirsi, e di mettere le giuste parole in relazione alle cose. La democrazia che don Milani stigmatizzava, quella nella quale ciascuno fa quel che gli pare, è più simile alla demagogia platonica che a quel modello di società nella quale ciascuno possiede e gli strumenti per governare (e lo stesso parroco, monarca assoluto, scriveva la sua lettera dopo aver discusso con i suoi ragazzi: era don Milani, non Giovanni Gentile, dopo tutto): al limite, far sì che ogni cuoca possa partecipare al governo dello Stato. Ma oggi essere cuoco, e non partecipe del governo della cosa pubblica, è un ideale propagandato da contest televisivi e chef archistar, col loro codazzo di pubblicitari e operatori del marketing; e i vari Musk e Zukenberg sono la versione post-novecentesca, vincente e trionfante, di quello Zanardi che Pazienza disegnò non come modello positivo, ma come l'insieme di ciò che lo stesso Pazienza non era. A giusta ragione Bifo gli ha scritto, in una ideale lettera: «Dovevi pensarci prima a quello che stavi facendo, vorrei dirgli. In un certo senso anche quelli che buttano sassi dal cavalcavia li hai disegnati tu». Non è colpa di Andrea Pazienza, ma del mondo nel quale Pazienza è vissuto ed è morto; però è un fatto che quando pensiamo a lui, ci vengono in mente più facilmente Zanardi, lo stronzo vincente, e Fiabeschi, il fancazzista che condensa tutto quello che l'istruzione (universitaria) avrebbe potuto essere e non è stata, piuttosto che Pentothal.
C'è dunque poco da legittimare come ansia di libertà o desiderio – a meno di non voler ricadere nell'artificio di Licofrone – nella pretesa di famiglie e studenti, assecondata e accompagnata anche dalle istituzioni e talora dal personale scolastico, di piegare il processo educativo alla pretesa di un sapere just in time, senza sforzo e senza costi, che non contribuisce a cambiare la società, ma la reitera. Una società la cui economia morale considera accettabile girare la testa davanti al lento annegamento di esseri umani nel Mediterraneo, reintroduce la colpevolizzazione della vittima di stupro in quanto donna, fa della perdita di memoria un valore, considera la guerra di tutti contro tutti e il mors tua vita mea un orizzonte immodificabile. Non sono subalterni che avversano il potere, ma soggetti creati dal potere che quel potere rafforzano, svolgendo il lavoro sporco contro la scuola.
Chi, in nome di una diversa economia morale, considera ancora la necessità della costruzione di un orizzonte di senso come il fine dell'istruzione deve prenderne atto, nella consapevolezza che un patto educativo fra i soggetti del processo educativo non può essere stipulato a qualunque condizione.
Parlare del voto in condotta, invece che del farsi e dell'essere fatte delle condotte, serve solo a eludere questi problemi.