Cultura: Roma attende

26 Settembre 2013

Quando la crisi diventa la norma, cos’altro resta al mondo dell’arte contemporanea se non la sua tendenza alla spettacolarizzazione? A Roma questo implica mantenere la fiducia nella possibilità della scena artistica contemporanea di continuare a crescere: una scena artistica contemporanea non è niente se rimane statica. Una difficoltà è rappresentata dal fatto che crescita vuol dire novità e novità implica cambiamento. Ma il cambiamento richiede energia e l’energia richiede un input di risorse pari almeno all’output ottenuto da una certa azione. In una recessione economica l’output inizia a recedere e in una depressione economica, ancora peggio, l’output è costantemente inferiore all’input.

 

La crisi economica attuale è in qualche modo peculiare perché la sua ampiezza è senza precedenti dalla seconda guerra mondiale in qua, ma non è ancora classificata come depressione. Non è chiaro se questo sia dovuto alle manipolazioni dei dati economici o alla complessità del modello finanziario, che è stratificato, astratto e difficile da circoscrivere. In effetti, la mancanza di chiarezza è divenuta un aspetto centrale della crisi che stiamo vivendo. Molti vagoni dell’economia europea hanno deragliato, ma in gran parte dell’Europa occidentale il treno continua a viaggiare.

 

L’inevitabilità delle fasi alterne dell’economia – in cui la crescita e la recessione si alternavano con rassicurante regolarità – è tanto lontana da noi oggi quanto il sistema politico bipolare che le accompagnava. Quelle che sembravano – ed erano in realtà – aspre battaglie politiche motivate da un ciclo economico crudele, sembrano oggi emanare un nostalgico sentimento di prevedibilità.

 

In una depressione economica l’arte può muoversi in due direzioni. Da una parte si scontrerà frontalmente col sistema finanziario e ai suoi accoliti, facendo arte politica a ogni costo – e spesso a costo zero –, mentre dall’altra si rivolgerà al residuo mercato del lusso. Benché questi atteggiamenti esistano oggi in Italia come altrove, il sistema commerciale dell’arte continua a seguire il suo corso e ciò non sembra né impraticabile né di cattivo gusto, laddove la rivoluzione politica sembra al contrario un sogno distante. In altre parole, non è chiaro come precisamente si debba reagire a una macchina economica in stallo ma non ancora implosa in senso classico.

 

La precarietà, termine associato con il lavoro e le condizioni materiali di vita, mina l’occupazione e la sicurezza economica. Intere aree dell’Europa occidentale vivono in una totale precarietà o un tipo di precarietà a metà strada tra la depressione e un malessere angosciante. Per gli italiani, non si tratta di un territorio inesplorato, nel senso che generalmente sanno come ottenere il massimo da molto poco. Il tipico freelance urbano, che lavora tutto il giorno per mettere insieme di che vivere, alternando lavori pagati male con lavori non pagati affatto ma utili a creare contatti e a mantenerli, è la norma in un paese che ha mantenuto il suo PIL annuo quasi costantemente negativo dagli anni novanta a oggi.

 

MACRO

 

Oggi il risultato di questa mentalità a Roma è una sorta di scena artistica fantasma: fumo e giochi di specchi mantengono in aria una bolla formatasi alla fine dell’ultimo boom economico europeo e ormai scoppiata da tempo. I progetti per la costruzione del MAXXI, aperto nel 2010, e per il rinnovamento del MACRO, iniziati in un periodo di intenso ottimismo, sono stati realizzati quando si stava ormai profilando il declino economico. Questi spazi museali di livello internazionale hanno dato vita a gallerie internazionali: Monitor, Federica Schiavo, T293, Frutta, per nominarne solo alcuni. Roma è diventata nota come un centro per l’arte contemporanea, ma l’eccessivo entusiasmo – riecheggiato nelle riviste d’arte – è stato forse un po’ esagerato: la scena dell’arte contemporanea a Roma è una frazione di quelle di altre città, come Milano o Torino in Italia o Londra, New York, Parigi e Berlino.

 

Il martellamento pubblicitario è continuato fino al 2012, quando è apparso chiaro che Roma possedeva spazi che dovevano essere riempiti, bilanci che dovevano essere finanziati e gallerie votate a mantenere livelli di attività difficilmente plausibili anche prima della crisi economica. Se si aggiunge il cambio di dirigenza sia del MAXXI che al MACRO, la ricetta per un disastro difficilmente evitabile è completa.

 

Teatro Valle

 

Negli ultimi due anni entrambi i musei hanno affrontato voci di chiusura imminente. Il fatto che il MACRO – il cui precedente direttore, Luca Massimo Barbero, è stato sostituito nel giugno del 2011 da Bartolomeo Pietromarchi – sia riuscito a sviluppare un programma degno di questo nome è la testimonianza delle capacità di quest’ultimo. Il museo – che ha due sedi – è una struttura comunale e non uno spazio culturale indipendente, e questo rende difficile l’accesso ai finanziamenti. Un tipico esempio delle pastoie che spesso mettono le istituzioni d’arte italiane in difficoltà: per un certo periodo – da gennaio a marzo di quest’anno – il MACRO è stato gestito da uno staff ridotto all’osso, formato solo dal direttore e dal personale di guardia, per via di un problema contrattuale che ha lasciato curatori e personale amministrativo in un prolungato congedo non pagato.

 

MACRO

 

Nonostante queste difficoltà, il museo è stato al centro dalla vita culturale romana, con un programma di esposizioni che ha incluso mostre di Carsten Höller, Jimmy Durham e Sam Durant, tra gli altri, insieme a una ricca programmazione di conferenze, proiezioni e seminari. In seguito all’elezione di un sindaco di sinistra, e secondo il protocollo amministrativo, il MACRO ha attualmente un direttore ad interim, Giovanna Alberti Campitelli. Tuttavia il sentimento predominante a Roma è che sarebbe un errore non riconfermare Pietromarchi, dati i progressi fatti in questi ultimi anni sotto la sua guida e la confusione che un tale cambiamento comporterebbe.

 

Il MAXXI sembrava praticamente spacciato un anno fa. Nel maggio 2012, l’allora presidente, Pio Baldi – nominato dal governo Berlusconi nel 2010 – è stato dimissionato dal Ministero dei Beni Culturali del governo tecnico di Mario Monti sulla base di presunte irregolarità economiche, un’accusa che appare poco fondata, visto che Baldi aveva ottenuto l’80% dei finanziamenti da fonti private compensando il magro contributo dello Stato alla gestione del museo. Il sostituto di Baldi, Giovanna Melandri, non ha nessuna esperienza di gestione dell’arte, ma è stata ministro dei Beni Culturali dal 1998 al 2001, il che ha alimentato le polemiche su una nomina ritenuta puramente politica. In seguito alla nomina di Melandri, le incertezze sul futuro del museo hanno suscitato nervosismo negli sponsor, evidenziando i pericoli di manovre politiche nel settore culturale. Un tale interventismo finisce spesso con lo sconvolgere i piani esistenti, impedendo all’Italia di competere in campo artistico con Paesi dalle economie simili.

 

Giovanna Melandri e Hou Hanrou

 

La fiducia nel MAXXI è stata in parte ristabilita all’inizio di agosto dalla nomina di Hou Hanrou come nuovo direttore artistico, un ruolo che il curatore di origine cinese – che in precedenza ha ricoperto ruoli al San Francisco Art Institute e al Guggenheim Museum di New York – svolgerà per un periodo di quattro anni. La nomina di Hanrou, che ha seguito un periodo di discussioni con un gran numero di curatori internazionali, è senza precedenti in Italia. Se funzionasse, potrebbe stabilire un precedente in grado di accelerare un cambiamento radicale. Per ora, Hanrou ha molto da fare per infondere aria nuova in un museo che ha raggiunto solo un pubblico limitato nei suoi primi due anni di vita. Proprio il suo atteggiamento nei confronti della crisi economica può essere la chiave per riuscirvi. Per Honrou, la crisi in economia è una “crisi del progetto sociale” che il museo come entità ha il compito vitale di affrontare. Il nuovo direttore vorrebbe rispondere facendo del MAXXI un “luogo di dibattito sulla democrazia”, coinvolgendo l’energica nuova realtà artistico-attivista incarnata, in Italia, in particolare da spazi come il Teatro Valle Occupato, Macao, il Teatro Garibaldi Aperto, il disperso Isola Art Center e SaLE.
            

Questi spazi hanno avuto un ruolo di primo piano nel dibattito politico degli ultimi due anni, spesso facendo vergognare i musei per la loro lentezza nel cogliere i temi di dibattito centrali del nostro tempo. Identificando un “panorama di piccole organizzazioni che necessitano di essere collegate”, Hanrou, in un intervista condotta su skype con me il 27 agosto scorso, allude al progetto audace e popolare di mettere l’arte fermamente al centro del dibattito politico e economico.

 

MAXXI

 

Mentre le gallerie iniziano un esodo dal centro di Roma per via degli affitti troppo alti (è ora la volta di Frutta, dopo che T293 e Gallery Apart si sono spostati nel corso dell’ultimo anno), e mentre il Teatro Valle - occupato ormai da due anni - è diventato ormai una realtà assodata che non è più in grado di suscitare lo scalpore di un tempo, ci si aspetta molto dal MAXXI nei prossimi anni. L’occupazione del Teatro Valle e il suo legame con il movimento dei beni comuni è stato centrale nel dibattito di sinistra durante la crisi, benché, per mantenere lo slancio, dovrà dimostrare un impegno concreto per le questioni sociali.

 

Per ora la nozione di bene comune rimane astratta. È in ogni caso di vitale importanza che il centro di Roma, progressivamente svuotato, non venga consegnato alla sola industria turistica. Le istituzioni di Roma devono sostenere iniziative come il Teatro Valle - che si trova nel cuore della città - per fermare questo processo. Ma soprattutto, per riuscire, Hou Hanrou deve sapere che Roma - e l’Italia - vive di gesti simbolici invece che di reali risorse; per ora la sua assunzione è stato un gesto simbolico, sufficiente, per il momento, a tenere la scena artistica romana in movimento. Per quanto riguarda l’arte a vocazione sociale, trasformare le aspirazioni - di cui l’Italia è molto prolifica al momento - in azioni sarà un compito enorme per il nuovo direttore. Il mondo artistico romano spera, ed è pronto a mantenere viva l’illusione con tutta l’arte di arrangiarsi che ha caratterizzato la città in questi anni difficili.

 

 

Questo pezzo è apparso in precedenza su Frieze

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