Speciale

Origliare

29 Giugno 2015

Leggere è faticoso, lo è sempre, lo è sempre stato per me. Invidio la gente che, non dirò in coda alle poste e in treno ma alla fermata dell’autobus o in metropolitana, tira fuori un libro dalla tasca della giacca (e che tasche hanno, oltretutto), ne sfoglia qualche pagina, legge. Io non ci riesco: non riesco a staccare la voce dello sguardo dal bisbidis dell’indistinto, il quale tende poi a ridefinirsi come entità singola, comunque disturbante: la conversazione al tavolo, nel sedile accanto. C’è quel momento in cui le storie disperse s’incuneano nelle nostre: l’inizio della cura è stato far rientrare nei libri quelle frasi di straforo, recuperare il brusio alla letteratura, alla poesia, finanche (lo chiamano eavesdropping). È la sola religione possibile per un ateo e l’unico esercizio praticabile per un egoista narciso come lo scrittore: non puoi avere cultura di te se non in mezzo a chi vuole e può impedirtelo, oppure, semplicemente, è fuori da te, che esiste, e lo impone col suo prevaricare te, ipocrita, che pensi altro, sei oltre, e non ti muovi da lì, da loro.

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