Un libro, due voci / Il futuro del sesso?
Due voci contrastanti su uno stesso libro.
Anita Romanello:
Quando ho letto il saggio di Emily Witt mi sono sentita tirata in causa. Non perché io concordi con tutto ciò che l’autrice sostiene (ammesso che sostenga davvero qualcosa), ma perché in Future sex si parla davvero della mia generazione. Lo stile è limpido e brillante, ironico senza eccedere, mai banale. Pensare che Future sex sia un saggio sulla sessualità è limitante. È la nostra società l'indiscussa protagonista di queste pagine. Il sesso è solo un filtro attraverso cui guardarla, un filtro che offre molti spunti.
Da bambini obbedienti degli anni Ottanta e Novanta eravamo consapevoli dei fallimenti della controcultura, era una lezione implicita tramandata dai nostri genitori, e così eravamo rimasti in ostaggio di medie scolastiche, leggi antidroga, assicurazioni sanitarie, debiti contratti per studiare, ammissioni al college, lauree, tirocini, preservativi, creme protettive per la pelle, antidepressivi, aree fumatori separate, espressioni politicamente corrette, chiusure antibambino, abbonamenti in palestra, piani telefonici, caschi per andare in bici, esami preventivi contro il cancro, rate bancarie da saldare e scalate professionali. Avevamo una percezione sfumata del rischio.
Emily Witt e il suo background sono il prodotto di una cultura post anni Sessanta e Settanta e nonostante io abbia una decina d’anni meno di lei mi ritrovo perfettamente nella sua descrizione. In ostaggio di una media scolastica e con tre appuntamenti fissi in palestra alla settimana. Siamo un metaforico secondogenito che gioisce della libertà ottenuta da un fratello maggiore che per poter “uscire la sera” ha faticosamente combattuto. Siamo quel secondogenito che gode di una libertà per cui non ha lottato, che è consapevole poiché non ripeterà gli errori del fratello maggiore, ma a cui manca qualcosa. Forse di tutta questa libertà non sappiamo nemmeno più che farcene. La Witt ha deciso di interrogarsi su quello che siamo. Entra in profondità e scardina gli stereotipi uno ad uno. L'autrice di Future sex infatti non indaga la società e la mia generazione con il presuntuoso distacco dello psicologo cinquantenne, che espone il problema degli adolescenti e del cyberbullismo col taglio moralistico di chi è lontano anni luce dal problema, non racconta di filtri Instragram e di stories su Snapchat in termini di semiotica o di filosofia estetica; la Witt si immerge col corpo e con la mente, sviscera senza troppi giri di parole alcuni importanti aspetti della società. Prova, sperimenta, mette a nudo le fragilità e spesso fa emergere le grottesche contraddizioni che ci caratterizzano come quando ci descrive come mangiatori di tofu in salsa di soia, come ingegneri google che al Burning man bruciano (strafatti di alcool e droghe) il gigante pollicione in gomma piuma simbolo del like su Facebook. La catarsi anti-capitalistica di chi il capitalismo lo sostiene giorno per giorno. Le pratiche espiatorie e carnevalesche volte ad affermare con scarsa convinzione che ‘non siamo vittime del sistema’. Ma veniamo al sesso.
Emily Witt è una donna intelligente e colta. Ha trentasei anni, è sessualmente aperta (nel senso che non disdegna il sesso occasionale), non è omofoba e razzista e crede nell'amore. Crede nell'amore come valore assoluto, come qualcosa che ti cambia la vita. Impregnata di femminismo di beauvoiriana memoria, nata nell’”aperta” società bianca e maschilista di oggi, la Witt oscilla tra un impulso e l'altro e alla fin fine crede ancora nelle istituzioni; al matrimonio ad esempio. Purtroppo per lei l'amore non arriva e presa dallo scoraggiamento (lo scoraggiamento che muta in stimolo, cosa che rende la Witt una donna intelligente) decide di scoprire cosa ha da offrirgli il future sex. Il future sex a prima vista fa abbastanza spavento e io che (in modo simile all'autrice) sono sessualmente aperta ma credo nell'amore come valore assoluto (sono stata anche io educata in una famiglia di sinistra, rispetto l'ambiente, uso i social ma con moderazione, tengo alla carriera ma anche agli ideali, seguo la moda ma non troppo eccetera eccetera) non mi sono potuta esimere dall'avere un primo rigetto rispetto a certe pratiche, detto in altri termini, ho avuto un atteggiamento moralista. Infatti quei famosi bambini nati negli anni Ottanta e Novanta celano pensieri tradizionalisti sotto la loro apparente apertura, sono spesso e volentieri politicamente corretti e ricercano una funzionalità anche per le esperienze più estreme. Ad esempio usano droghe per parlare di filosofia e toccare irraggiungibili vette empatiche, non per “sfasciarsi” e basta come si faceva nei rave anni ‘90 e inizio ‘00. Il future sex, dicevo, ha dei tratti spaventosi. La Witt lo racconta in nove capitoli provando a liberarsi dal nostro inconfessato perbenismo. L’autrice si mette in discussione ricercando un nuovo lessico del corpo, cercando di comprendere e di spiegare le infinite varietà di nuove esperienze sessuali improvvisamente alla portata di tutti; le scopre liberandosi dai retaggi della sua cultura.
Inizia con le app di incontri e il famigerato tinder. Scopre che un astuto algoritmo è capace di mettere in relazione persone compatibili negli interessi, nel livello culturale e sociale, ma che è però ancora incapace di comprendere le leggi segrete dell'attrazione. Frequenta un set a luci rosse in cui gli spettatori sono invitati ad interagire con gli attori. Prova la meditazione orgasmica promossa da una 'setta' di ricchi hippie americani che pensano che l'orgasmo femminile prescinda dal partner e consista esclusivamente in un atto meccanico dotato di mistica energia. Conosce alcuni curiosi membri di Chaturbate e parla con dei coetanei che praticano il poliamore. Le sue (dis)avventure, raccontate con estrema intelligenza e autoironia, oltre a rappresentare una precisa lezione sulle pratiche sessuali correnti (alcune cose ammetto di averle imparate qui) portano a due conclusioni, paradossalmente antitetiche.
Da una parte Future sex racconta la degenerazione del nostro sistema economico. Racconta di un’aridità emotiva e spirituale che chiama a gran voce la scrittura di una nuova mitologia. Una bulimica fame di narrazioni, la ricerca di una rinnovata spiritualità che stravolga il mondo dell'immagine e della pubblicità. Quando la Witt descrive uno dei due motivatori di OneTaste (la setta che pratica la meditazione orgasmica) lo descrive come un uomo che possiede la neutralità umana di un negozio della Apple o dell'IKEA; se fosse stato un mobile sarebbe stato una costruzione di legno chiaro, robusta ma elegante. La razionalità consumistica disindividualizza – il bel motivatore, la bella libreria IKEA – eliminando le peculiarità individuali e creando squilibri profondi. Lo stesso tinder è costruito su un'idea di consumo, basti pensare che se uno dei volti proposti dall'app non ci piace lo buttiamo in un cestino virtuale. Pensando alle parole di Adorno si assiste all'estrema necessità di rinnovamento di elementi mitopoietici, esperibili ad esempio nella rigenerazione linguistica. Non si trovano però termini adatti a descrivere alcune abitudini del nostro tempo, proviamo ad utilizzare quelli di prima, ma i nostri rapporti sono cambiati senza che però siano cambiate le parole per descriverli: i vocaboli usati infatti ci facevano sentire fuori sincrono dice la Witt riferendosi a espressioni come single, uscire con qualcuno, compagno/compagna. Ed è proprio l’urgenza di un nuovo vocabolario che a mio parere ha dato vita alla contemporanea fissazione di sfornare sinistri neologismi preceduti da post - (post internet, post verità, addirittura post post modernismo ecc.) Il contenuto mitopoietico represso può esplodere però in forma deviante. L'omologazione, soprattutto in un contesto metropolitano come quello di San Francisco in cui ogni sorta di radicamento identitario è spazzato via dall'incessante produzione commerciale delle aziende della Silicon Valley, chiama rinnovamento; urge ripristinare il senso più funzionale del mito. Da qui il ritorno spirituale delle buffe sedute di meditazione orgasmica in cui attraverso il piacere fisico si approda a una metafisica pacificazione spirituale, l'amore cosmico, le energie positive. Da qui il festival del Burning Man dove persino le star hollywoodiane (il biglietto è molto costoso e l'evento decisamente esclusivo) frequentano incontri sull'eco sessualità, il tantra dei flussi mestruali, workshop su sesso, droga e musica elettronica e si votano al veganesimo. Nuovi riti da praticare. Nuove divinità in cui alienarsi.
Anche il tempio era una piramide. Dentro, oggetti provenienti da tradizioni religiose diverse erano stati rimossi dalla propria storia, mescolati in un calderone pan-spirituale. Un altare buddhista dominava il centro della stanza, attorno alla quale diverse centinaia di persone stavano sedute sul pavimento a meditare in silenzio. I gong sui muri venivano suonati a intervalli regolari.
D’altra parte il lettore impara a conoscere un nuovo mondo e si accorge che dietro alle stranezze sessuali di oggi si cela anche (oltre a tanto squallore fine a se stesso) una rivalsa intellettuale. C’è qualcosa che occorre osservare; analizzare, abbandonando il giudizio. Se sentiamo il dovere di interrogarci e provare a leggere la contemporaneità penso che non sia intellettualmente onesto chiudersi in un ottuso rigetto. In ogni epoca si muove qualcosa che vale la pena comprendere; soprattutto se, come in questo momento, si assiste ad una fase delicata, di crisi e rottura. Certi mutamenti, anche nell’ambito della sessualità, possono dare vita a nuovi spunti. Tra le pagine di Future sex si annida un ragionamento, una curiosità fertile che si muove a tentoni rigettando una cinica e sterile chiusura. Chaturbate, OneTaste, i porno con interazioni del pubblico, i poliamorosi e tutte le altre “oscene pratiche” descritte dalla Witt nascondono qualcosa di più delle consuete degenerazioni capitalistiche. La Witt, come me, detesta i porno, li trova maschilisti, violenti, diseducativi e anti-femministi. Le femministe sessantottine erano contrarie ai porno e portarono avanti diverse battaglie contro lo sfruttamento delle pornostar e contro l’inaccettabile mercificazione della donna. Se le proteste delle femministe non scalfirono di una virgola l’industria pornografica condizionarono il pensiero delle donne e il loro modo di sentirsi nel guardarla. Il porno è pensato per gli uomini, perché le donne in quanto esseri delicati e profondi, hanno bisogno di rapporti veri, di intimità. Ma allora viene spontaneo porsi una domanda: che sesso fa una femminista? Quali sono i desideri delle donne? È possibile visualizzarli? Se la pornografia è da considerarsi un nemico in quanto tale, l’unico risultato sarà far vergognare molte più donne dei propri desideri sessuali, sarà imporre ancora una volta un modello da rispettare. Cosa una donna deve essere e come deve pensare. Perché la donna è obbligata a dover essere un essere superiore? E se fosse invece intenzionata a rendere oggetto l’uomo? Da qui l’idea che la reificazione sia chiaramente inammissibile su un piano sociale, ma che sul piano personale ed intimo di una donna tutto debba essere lecito e accettabile, persino un tipo di sessualità che implichi la sottomissione.
La Witt ci pone di fronte a queste domande e inizia a scardinare certezze. Le certezze progressiste, femministe e di sinistra di una certa cerchia di persone nate negli anni Ottanta e Novanta. OneTaste risulta ridicolo, un’accozzaglia di filosofie orientali male interpretate, ma tramite OneTaste alcune persone stavano cercando di raggiungere una forma di apertura sessuale più stabile e autentica, un’apertura che era la conseguenza di un desiderio immanente, e non il frutto dell’ansia di appagare qualcuno. Il loro metodo era strano, ma almeno credevano che una cosa del genere fosse possibile. Anche il poliamore è una sorta di teorizzazione intellettuale che consente di vivere la propria sessualità e i propri sentimenti in maniera più libera e forse coerente ad una società i cui equilibri sono cambiati, in cui gli input sessuali sono diversi e in cui la tecnologia ha prepotentemente invaso le nostre esistenze. Per non parlare del momento (che ho trovato sotto alcuni aspetti persino commovente) in cui una donna, membro di Chaturbate, definisce il sito “il paradiso degli introversi”. Con alle spalle un’educazione pregna di tabù e vivendo una sessualità “reale” inibita e insoddisfacente, la donna spiega alla Witt che esibirsi in chat la fa sentire al sicuro, protetta. Lì, può finalmente esprimersi. Possiamo condannare la cosa, dire che un sistema de-responsabilizzante e virtuale non può portare a nulla di positivo, ma anche vero è che ognuno ha il diritto di esprimere in libertà la propria identità sessuale. E se questa donna è felice nel farsi penetrare con un dildo gigantesco davanti a centinaia di followers, io, personalmente, non me la sento di arrabbiarmi con lei.
È difficile tirare le fila di questo lungo discorso. Lo stesso saggio di Emily Witt non arriva a nessuna conclusione. Si limita a raccontare il presente e a parlare di noi, nati tra gli anni Ottanta e Novanta, divisi tra la memoria virtuale dei social e una vita fuori da internet. La Witt sostiene che i nostri successori non penseranno a se stessi come uomini e donne, si fonderanno con le macchine della loro epoca. Non avranno imbarazzi né le nostre limitanti idee di autenticità. Quest’idea un po’ mi spaventa e spero che non andrà così. Sarà però un nuovo mondo, qualcosa di completamente diverso da come lo conosciamo ora. Riuscire ad accettare ad oggi una simile prospettiva sarebbe come provare a spiegare che cos’è twitter a un uomo di Neanderthal. La società in cui viviamo su tante cose fa paura. Mi interrogo su come potrei spiegare ad un futuro figlio che il sesso che fanno le persone non è quello che propongono i porno. Mi interrogo su come potrei insegnargli a sviluppare uno spirito critico per difendersi dalla rete e da tutte le sue insidie. Però, credo anche che gli direi che in ogni rivoluzione e rottura col passato c’è fermento, gli direi di non fermarsi al perbenismo dei suoi genitori. Gli direi di indagare la strana realtà in cui è capitato per comprenderla, ribellarsi, scrivere un nuovo capitolo.
Maria Nadotti:
Michel Foucault sostiene che “Quel che è caratteristico delle società moderne non è che abbiano condannato il sesso a restare nell’ombra, ma che siano condannate a parlarne sempre, facendolo passare per il segreto”.
Cosa vi aspettereste, lettrici e lettori, da un libro intitolato (tanto nell’originale americano quanto nell’edizione italiana) nientedimeno che future sex?
Una rivelazione sul sesso a venire oppure sul futuro del sesso? Il nostro, il vostro, il loro? Una profetica anticipazione su quel che ne sarà dei nostri variamente sessuati corpi, della loro libido e del loro desiderio, delle plurime, contraddittorie e soprattutto mutanti fantasie che ad essi si accompagnano?
Be’, se le vostre aspettative e le vostre curiosità vanno in questa direzione, questo libro non potrà che deludervi o irritarvi. Intanto perché non parla affatto di futuro, ma di un presente che potremmo considerare ‘tecnicamente’ anche già un po’ passato e a suo modo istituzionalizzato, e di pratiche che di nuovo hanno spesso solo il logo (poliamore) e talora gli ‘strumenti’ (la rete, il porno web, il sexting…), non certo un quadro psichico, sentimentale, emotivo in grado di sgretolare i vecchi schemi e di renderci meno soli, vulnerabili, smarriti.
Nato a ridosso di un amore finito male, il lungo e per niente futuribile me-reportage di Emily Witt (Future Sex, trad. it. di Claudia Durastanti, minimum fax, Roma 2017, pagg. 254, € 19), una trentaseienne nordamericana che vive a New York e scrive per “The New Yorker”, “The New York Times” e altre nobili testate, approda ahinoi al classico copioncino hollywoodiano “trova l’uomo giusto (e te stessa), guardandoti in giro”. La rivoluzione sessuale annunciata, quel future sex che dovrebbe sconvolgere il mondo, sembrerebbe insomma incapace di cambiare in profondità la nostra vita reale e immaginaria e le relazioni che più o meno a termine intrecciamo. Salvo, naturalmente, che non si consideri rivoluzionario il tecno-neo-liberismo sessuale che negli Stati Uniti ha preso ‘virtualmente’ piede a partire dagli anni ottanta del secolo scorso.
Se l’inchiesta condotta con osservazione partecipante da Witt è ricca di aneddoti curiosi che permettono di infilare il naso sui set si-fa-per-dire liberatori del porno su internet o in quella specie di Parco Lambro per ricchi del “Burning Man”, un festival annuale di otto giorni che dal 1991 si svolge a Black Rock City nel nord-ovest del Nevada, quel che manca quasi del tutto in queste pagine è la riflessione critica, in altre parole una visione politica del corpo e dei sentimenti.
Il gruppo di riferimento dell’autrice, che non manca certo di schiettezza, è “la classe media americana del ventunesimo secolo”. Un po’ vago, non vi pare? Ci stanno anche i baby boomer o sono troppo vecchi? E da chi è composta, oggi, la classe media statunitense? Bianchi, neri, europei, asiatici, africani? Cos’è che ne fa una classe? A leggere Witt, verrebbe da dire ‘il potere d’‘acquisto’ o il privilegio di avere un’ampia rosa di scelte in qualsiasi campo: lavoro, amore, sesso, cibo, cultura, collocazione geografica, mobilità.
Viene da pensare alla battuta di uno dei protagonisti di My Wonderful West Berlin (regia di Jochen Hick, 2017), un interessante documentario sul ‘68 omosessuale a Berlino: “Noi gay siamo stati liberati dal capitalismo. Edonisti come siamo, ci hanno accettati perché siamo dei consumatori forti”. Pensiero metonimico come pochi e tuttavia inconfutabile: la parte per il tutto, un sottogruppo privilegiato per un intero gruppo tuttora socialmente sgradito.
Il mercato, si sa, non giudica, non esclude, non censura. Vende. Il suo unico parametro per includere o escludere è la disponibilità/capacità dell’individuo di desiderare, comprare, consumare. Il sesso futuro di Witt è un’enorme bancarella: i prodotti in vendita sono innanzitutto i consumatori, adescati, blanditi, vezzeggiati, promossi a trend setter di un sistema a circuito chiuso. Girare a vuoto, negli interstizi d’amore. Il mondo cambia perché “tutto rimanga come è”.
Emily Witt, Future Sex, trad. it. di Claudia Durastanti, minimum fax, Roma 2017.