Kim, il successore

8 Aprile 2013

Raramente il successore è (o è ritenuto, o è ritenuto subito) all’altezza di chi lo precede, specie se questi è stato un fondatore; ce lo insegnano la storia e la letteratura. Nella tradizione occidentale la memoria corre ai bistrattati successori dell’imperatore Ottaviano Augusto e alle tormentate procedure di successione. Così i grandi capitani d’industria sembrano spesso destinati ad eredi che dissipano o si disinteressano della costruzione paterna, mettendo forse inconsciamente in gioco meccanismi di sottrazione alle “angosce dell’influenza”.

 

Anche nel campo della cultura il pericolo dell’epigonismo nei confronti del maestro si dimostra spesso fatale. Certo le difficoltà aumentano in proporzione alla crescita della quantità di potere da gestire sotto gli sguardi, pieni di riserbo e di giudizio, dei navigati collaboratori che attorniavano chi è venuto prima; di fronte alle attese di una folla abituata a credere il leader figura poco meno che divina. Ce lo ha raccontato benissimo Vargas Llosa in La festa del Caprone dedicato a Trujillo, padre della patria di Santo Domingo venuto dal niente, e alla sua famiglia di affamati inetti. Forse ce lo sta raccontando ora la vicenda di Kim Jou-un, nipote di Kim Il-sung, guerrigliero fin dagli anni trenta e durante l’occupazione giapponese, nonché segretario generale del partito, presidente della repubblica e comandante supremo delle forze armate; figlio di Kim Jon-il.

 

 

Per il giovanotto dal cranio rasato, un po’ sovrappeso nel cappottone nero, furiosamente applaudito dai militari in adunanze oceaniche, sfidare i capitalisti del sud e minacciare di uno “spietato attacco nucleare” gli Usa, loro potente protettore, sembra un fattore genetico, un’assicurazione d’immortalità nel tempo che non passa.

 

Il rischio sotteso a tale comportamento lo si potrebbe leggere attraverso la favola di Eco. La ninfa Eco, già punita da Era perché aveva coperto le scappatelle di Zeus con un difetto di voce, si innamorò invano di Narciso fino alla consunzione. Posto che ogni fondatore sia dotato di un’imprescindibile carica narcisistica, il successore non ha nemmeno bisogno di un rifiuto per non riuscire a fondersi con l’oggetto della propria venerazione. Il suicidio della personalità di Eco a fronte di Narciso avviene per mera ripetizione stentata della parola altrui. Stentata perché, a differenza che nel mito, nella storia le condizioni cambiano.

 

Gli antichi sponsor politico-ideologici, Urss e, soprattutto, Cina da cui la Corea dipende per la stretta sopravvivenza, non sembrano molto favorevoli all’esasperazione dello scontro. Nonostante ciò per ora prevale l’effetto eco, caratterizzato alla fine dall’estinzione, che va appesantendo infatti la già penosa situazione economica della popolazione e la mette in totale rischio di un’eventuale reazione americana. Stante un’impossibile rimozione per via interna ed una non auspicabile attraverso un conflitto, l’unica soluzione consiste nel risveglio del successore dall’incantamento della copia.

 

 

Dato che ci siamo ormai inoltrati sul terreno scivoloso della psicopolitica (per altro non del tutto arbitraria quando si ha a che fare con un uomo solo al comando e nemmeno disprezzata dagli antichi storici) conviene arrivare fino in fondo, e cioè alla psicoterapia. L’emancipazione dalle attese dinastiche, cortigiane e popolari, dall’intemporalità del sacro ruolo, che porti viceversa a considerare la prova di forza con il nemico tradizionale soltanto un rito di passaggio all’età adulta, sarebbe consigliato da un Seneca vegliante accanto al lettino dove si è sdraiato il tiranno. I coreani del sud del resto non dimostrano il nostro stesso timore per un conflitto nucleare; forse è l’abitudine alla tensione, forse perché sanno meglio rilevare, sotto alle minacce, un gioco di finzioni, un dato di pragmatismo politico.

 

La strada dell’autonomia e dello scarto, di cui solo i successori non più ricordati come tali trovano l’entrata, non è facile da imboccare frastornati dagli effetti d’eco che provengono dai fantasmi. Si dice che, ricevendo un campione dello sport americano, il giovane Kim auspicasse (lagnandosi o arrabbiandosi di tale mancanza) una telefonata di Obama: una voce maieutica da Washington (o da Pechino) non potrebbe risvegliare il successore dalla folla delle sue ripetizioni monche e distorte?

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