Il futuro dell'Europa / Il patrimonio culturale

8 Dicembre 2017

Il 2018 sarà l’Anno europeo del patrimonio culturale. “Cartaditalia”, la rivista edita dall’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles e da Treccani, ha dedicato a questo argomento un numero speciale in due volumi quadrilingui con testi e saggi di grandi studiosi europei. Pubblichiamo per gentile concessione dei responsabili e dell’autore, che ringraziamo, l’Introduzione di Pier Luigi Sacco.

 

Il tema del patrimonio culturale è, tradizionalmente, uno dei punti fermi dell’identità europea. L’Europa è stata il luogo di incubazione delle prime istituzioni culturali moderne, delle teorie e delle tecniche della conservazione e della salvaguardia, delle stesse politiche culturali. Ed è la storia stessa del nostro continente a dare al patrimonio un ruolo centrale non soltanto nella trasmissione della cultura da una generazione all’altra, ma anche nella creazione di nuova cultura. La consapevolezza del rapporto tra cultura e identità europea è anche fortemente radicata nei cittadini di tutti gli Stati membri dell’Unione: nell’indagine sui valori culturali europei condotta da Eurobarometro nel 2007, l’89% per cento del campione dichiarava che la cultura e lo scambio culturale dovrebbero avere un peso rilevante nelle politiche comunitarie in modo da favorire la reciproca comprensione tra Europei di diversi Paesi. La cultura e il patrimonio culturale sono anche un elemento chiave della stessa idea portante da cui nasce l’Unione europea.

 

Il terzo comma dell’Articolo 3 del Trattato sull’Unione europea recita: “[L’Unione europea] rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo”.

Nei primi due commi dell’Articolo 167, inoltre, vengono delineate con attenzione le linee essenziali della politica europea della cultura e del patrimonio culturale:

 

“L’Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità regionali e nazionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune. L’azione dell’Unione è intesa a incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e a integrare l’azione di questi ultimi

nei seguenti settori: miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei; conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea; scambi culturali non commerciali; creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo”.

 

Carta d'Italia.


La decisione di proclamare il 2018 Anno europeo del patrimonio culturale, in un momento particolarmente delicato e difficile della storia dell’Unione, e riprendendo in via eccezionale la programmazione tematica degli Anni europei iniziata fin dal 1983 e interrotta nel 2015, appare quindi molto lontana da un intento autocelebrativo, e indica chiaramente nel patrimonio uno dei pilastri indispensabili a un rilancio e a un consolidamento dell’identità europea e della stessa idea di Europa come base di un progetto comune di sviluppo economico e sociale. Rifuggire dall’auto-celebrazione vuol dire però guardare al patrimonio non come a una realtà monolitica, ma al contrario come a un universo estremamente variegato, tanto nella sua ricchezza che nelle sue problematicità.

Così come la nozione di identità è soggetta a un continuo processo di adattamento storico, la stessa nozione di patrimonio culturale è in perenne evoluzione e riflette in modo complesso e sottile i cambiamenti sociali, economici e tecnologici, e non soltanto quelli di natura culturale.

 

Nell’attuale contesto globale caratterizzato dalla diffusione ubiquitaria delle tecnologie digitali, ad esempio, il patrimonio culturale diviene una delle più interessanti aree di sperimentazione dell’uso di tali tecnologie, non soltanto nella ricostruzione virtuale di ambienti, monumenti e oggetti scomparsi da tempo, ma anche nelle forme di accesso e catalogazione della sterminata quantità di informazioni, oggetti e idee di cui esso si compone, nello stimolo alla produzione di nuova cultura che nasce da una rivisitazione intelligente e visionaria degli archivi, e nello stesso ripensamento dei modi e delle forme attraverso cui le nostre esperienze possono essere arricchite e migliorate dall’accesso simultaneo a tante diverse fonti e tipologie di conoscenza. Il patrimonio culturale non va quindi pensato in una chiave nostalgica e rassicurante, ma al contrario come una fonte straordinaria di energie di cambiamento e innovazione. Il patrimonio culturale, in ultima analisi, ha a che fare con il presente e il futuro ancora più che con il passato.

 

Nel corso del tempo, la stessa concezione del ruolo culturale, sociale ed economico del patrimonio nel contesto europeo è profondamente evoluta. In una prima accezione, che riflette la lunga fase della storia preindustriale europea, il patrimonio è stato visto come una sfera che andava il più possibile preservata e protetta dalle logiche e dalle priorità dello sviluppo socioeconomico, come una sorta di oasi arcadica di coltivazione dello spirito, che però inevitabilmente finiva per riflettere,

in termini di capacità di accesso e di cittadinanza, le stratificazioni sociali e le differenze di opportunità educative, e quindi per acquistare una connotazione elitaria che continua tuttora a mantenere tanti cittadini europei lontani da una esperienza diretta e assidua del “proprio” patrimonio culturale. Al contrario, con la scoperta relativamente tarda dell’industria creativa e con l’esplosione globale del turismo culturale, il patrimonio è stato successivamente visto come una grande “macchina dell’intrattenimento” che ha purtroppo prodotto effetti deleteri e tuttora preoccupanti in tante città d’arte europee, sempre più tristemente somiglianti a parchi tematici che mettono in pericolo non soltanto la preservazione materiale del patrimonio, ma la stessa trasmissione intergenerazionale del suo valore culturale e del suo significato.

Maribor, capitale europea della cultura 2012.


Se queste nuove forme di esperienza hanno cancellato un timore reverenziale verso il patrimonio e la cultura, ne hanno però allo stesso tempo anche stravolto il senso, precludendo buona parte dei più importanti effetti socio-psicologici del rapporto con la cultura, esaltandone la dimensione più immediatamente edonica a spese di quella, fondamentale, di natura eudaimonica. Oggi assistiamo però all’emergere di una nuova concezione del senso sociale ed economico del patrimonio centrata sul suo radicamento comunitario, ovvero sulla possibilità, e anzi sulla necessità, di vedere nel patrimonio un bene comune che ci permette di migliorare la qualità sociale e anche economica dei territori europei attraverso nuove forme di cittadinanza attiva: in altre parole, una concezione del patrimonio come luogo non soltanto, come già ricordato, dell’innovazione tecnologica, ma prima ancora, e più fondamentalmente, di innovazione sociale. In tutta Europa stanno infatti fiorendo nuove iniziative attraverso le quali le collettività locali non soltanto “riscoprono” il proprio patrimonio in termini di identità e consapevolezza, ma soprattutto si rendono capaci di ridargli spazio e importanza nella vita e nelle pratiche quotidiane. Ed è da questo nuovo senso di possibilità che l’Anno europeo del patrimonio culturale può e deve partire per dare il suo contributo ad un nuovo ciclo di sviluppo socioeconomico europeo. 

I testi contenuti in questo doppio volume vogliono offrire una piccola guida ragionata ad alcuni dei principali temi di questa nuova agenda di politica culturale, sociale ed economica. Da un lato, essi ci presentano il punto di vista e le prospettive di alcune delle più importanti istituzioni che, a livello europeo e globale, proteggono e promuovono il patrimonio culturale.

Dall’altro, essi ci offrono una panoramica che spazia da questioni note ma non per questo meno urgenti ed attuali, dai modelli di gestione alla conservazione, all’impatto socioeconomico, al dialogo interculturale, ad altre normalmente meno associate alla sfera del patrimonio ma sempre più importanti e sfidanti, quali ad esempio il cambiamento climatico globale, i conflitti, la coesione sociale, e persino la diplomazia culturale – una sorta di new entry nell’agenda delle politiche europee il cui ruolo appare però di giorno in giorno sempre più promettente e decisivo per la collocazione dell’Europa nello scacchiere internazionale. Questa raccolta di brevi saggi non può naturalmente proporsi di offrire una trattazione specialistica ed esaustiva di temi tanto complessi. D’altra parte, però, essa si propone di fornire una prima indicazione sulla complessità e sull’articolazione concettuale e pratica dei temi che ruotano oggi attorno al patrimonio culturale e ne fanno, come si potrà intuire anche soltanto scorrendo l’indice dei contenuti, una sorta di nodo di scambio di tante delle questioni chiave della nostra contemporaneità. Saremo capaci, in quanto cittadini europei di questo primo scorcio di ventunesimo secolo, di cogliere al meglio questa opportunità di valorizzare nell’interesse collettivo queste risorse straordinarie nelle quali il nostro continente da sempre si identifica e viene identificato? E saremo in particolare capaci di intendere questa “valorizzazione” non tanto nel senso più letterale e meno interessante, quello del “mettere a reddito” il patrimonio culturale come uno dei tanti settori delle economie regionali europee, ma in quello decisamente più interessante e foriero di impatti di lungo termine del fare del patrimonio un tassello chiave nel nostro modello di qualità della vita, di civiltà delle relazioni, di promozione dello sviluppo umano, di promozione e coltivazione delle diversità. Ci troviamo ad affrontare cambiamenti sempre più rapidi e su scala sempre più ampia, che mettono a dura prova non soltanto le nostre capacità di adattamento come specie, ma anche la nostra stessa capacità di comprender ed abitare il mondo in cui viviamo in modo intelligente e responsabile. Il nostro patrimonio culturale è anche il risultato collettivo di generazioni di intelligenze e di pratiche materiali e sociali che hanno reso l’Europa quell’ecosistema culturale unico che è oggi. È qui che possiamo trovare non tanto le risposte alle grandi sfide che dovremo affrontare negli anni a venire, e che ci richiederanno con tutta probabilità un ulteriore salto di qualità delle nostre capacità di ingegno e cooperazione sociale su grande scala, quanto piuttosto il materiale di costruzione per elaborarle.

Sta a noi fare del 2018 un piccolo, grande spartiacque della politica culturale comunitaria nel contesto delle politiche comunitarie tout court, e più in generale nel contesto della storia di questo luogo straordinario che chiamiamo Europa.

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