Design, controllo e creatività
“Invention, it must be humbly admitted,
does not consist in creating out of void
but out of chaos.”
Mary Shelley
Come muta il controllo del processo che coinvolge le discipline creative all’affermarsi dei paradigmi della complessità?
Questo tema richiede un approfondimento di alcuni meccanismi legati al funzionamento biologico delle relazioni tra gli elementi parte di un sistema e le conseguenze in termini cognitivi, epistemologici e tecnologici che ne derivano.
Partendo dall’osservazione di uno stormo di uccelli in volo, Craig Reynolds mise a punto nel 1986 un programma in grado di simulare il movimento di uno sciame (swarm intelligence). Modellando semplici regole di comportamento definite algoritmicamente e uguali per ogni individuo, Reynolds ha ottenuto un sistema le cui proprietà a livello globale - il movimento in stormo - non erano comprese nelle regole da lui inizialmente programmate, dimostrando quanto le proprietà di un sistema non siano riducibili a quelle delle sue parti costituenti ma emergano invece come risultato di un’interazione globale. Questo assunto porta alla luce il concetto di emergenza, o emergence, vale a dire l’emersione di proprietà di un sistema non possedute dai singoli elementi costituenti. Se – grazie a studi come quello di Reynolds - da un lato è ora possibile descrivere matematicamente le dinamiche del volo di uno stormo di uccelli, rimane pressoché impossibile tentare previsioni durature sulla sua evoluzione nello spazio-tempo. In un contesto in cui costruire un sistema previsionale risulta infattibile, rappresentare un sistema tentando di tracciarne un diagramma globale si tramuta in un obiettivo non più utile. I sistemi dominati dalla caoticità, elemento comune a tutti i sistemi e i fenomeni complessi ossia tutti quelli che riguardano noi e l’universo, sono definiti non-lineari. La non linearità è quella condizione intrinseca di un sistema di cui non è possibile conoscerne la configurazione o lo stato a un dato istante se non passando attraverso tutti quelli precedenti. Lo strumento di studio dei sistemi non lineari è la simulazione, la quale consente di apprezzare l’evolversi delle dinamiche intrinseche a un sistema nello spazio-tempo e coglierne il significato globale. Rispetto al fenomeno simulato, parte della capacità decisionale che avrebbe l’uccello nel suo muoversi in stormo si trasferisce direttamente alla simulazione, e si attua tramite la creazione di “agenti” - entità in grado di prendere decisioni autonome - le cui semplici interazioni portano un risultato nel suo insieme complesso in grado di esprimere un proprio ordine dinamico e non prevedibile.
L’ecologia è lo studio delle interrelazioni tra gli organismi e il loro ambiente e del funzionamento degli scambi – le economie - tra questi due elementi. L’informazione è il bene cruciale scambiato in queste economie e rappresenta ciò che costituisce e organizza materia ed energia in patterns, sequenze spazio-tempo secondo cui le informazioni si distribuiscono e organizzano in maniera analoga negli organismi e nei computers. Gli organismi stessi possono essere definiti come wet computers, o, da un altro punto di vista, i computers come oggi li conosciamo possono essere visti come forme primitive di una nuova specie organica: così come programmiamo computers, è possibile programmare organismi, utilizzando un codice.
Per capire in che modo lo scambio d’informazione nei sistemi biologici ha a che fare con i processi di tipo creativo-progettuale è necessario concentrarsi sulla prima operazione di tipo architettonico che noi organismi biologici inevitabilmente compiano: l’analisi della realtà che ci circonda. Secondo Henry Markram, neuroscienziato che presiede il Blue Brain Project, attraverso il nostro cervello costruiamo perpetuamente sistemi di simulazione della realtà, spazializzando l’informazione e modellandola continuamente in sistemi predittivi. Il modo in cui processiamo questi sistemi influenza il nostro modo di interagire con la realtà che abbiamo modellato, la quale a sua volta ci influenza reciprocamente, ma non simmetricamente. L’elaborazione di un nuovo pensiero non ci cambia solo a livello psichico, ma altera anche la struttura fisica del cervello e i patterns neurali che in esso avvengono, una capacità detta neuroplasticità. Il nostro processo di conoscenza è l’esito della Embedded Embodiement Cognition, intreccio tra mente, corpo e l’ambiente. I nostri limiti, come la struttura del nostro corpo e le sue modalità di spostamento nello spazio, definiscono e proiettano sull’ambiente i patterns con i quali ne leggiamo le caratteristiche. La nostra incapacità biologica di volare, ad esempio, la nostra velocità di movimento o le modalità con cui accediamo alle risorse stabiliscono i patterns con cui occupiamo il territorio e costruiamo la nostra nicchia ecologica. Volatili ed insetti vedono patterns notevolmente diversi.
Non subiamo passivamente la pressione dell’ambiente che ci circonda ma siamo in primis noi stessi a modellarne le caratteristiche in funzione delle capacità e dei limiti del nostro corpo, inteso esso stesso come ecosistema esteso biologico-tecnologico in quanto risultato emergente dalla simbiosi con numerose specie – ad esempio le colonie di batteri preposte alla nostra digestione - e con il technium, termine coniato da Kevin Kelly per descrivere insieme l’universo tecnologico e la spinta continua a creare nuova tecnologia.
Alla tecnologia abbiamo affidato parte delle nostre funzioni metaboliche. La termoregolazione avviene tramite vestiti ed edifici e la digestione tramite la cottura dei cibi. La comunicazione – che avviene in primis tramite il linguaggio – si propaga tramite la memoria: dai sistemi di registrazione e riproduzione delle informazioni, fino alla simbiosi in tempo reale del nostro sistema mnemonico con i motori di ricerca. Secondo Kevin Kelly, 10.000 anni fa l’umanità ha superato un punto critico oltre il quale la capacità di alterare l’ambiente ha superato la capacità dell’ambiente di agire reciprocamente sull’umanità: quello è stato l’inizio del technium. Ora siamo ad un secondo punto critico, oltre il quale la capacità della tecnologia di cambiarci ha superato la capacità dell’umanità di cambiare reciprocamente la tecnologia. In altre parole, ciò che creiamo cresce e si evolve al di fuori del nostro controllo. Evolvendosi, l’umanità ha cambiato il concetto stesso di evoluzione passando dalla consapevolezza del “survival of the fittest”, coniato da Herbert Spencer per descrivere l’assunto Darwiniano secondo cui l’evoluzione è frutto esclusivamente di generazione casuale e pressioni selettive dell’ambiente, al “construction of the intended”, condizione sostenuta da Andrew Hessel secondo cui la società attuale sarebbe in grado non solo di agire sulle pressioni selettive che determinano l’evoluzione ma anche di guidare lo sviluppo umano a livello genetico.
Le tecniche di fabbricazione digitale additiva o la possibilità di stampare organi, per citare alcuni esempi, ci consentono di informare la materia inerte o vivente. Grazie a questa possibilità, non solo siamo in grado di programmare morfologia e caratteristiche fisiche della materia ma anche di indirizzare la nostra stessa evoluzione agendo direttamente su corpo e mente. Lepht Anonym, una biohacker che grazie ad un body-implant ha acquisito la capacità di percepire i campi wifi come certi uccelli percepiscono il campo magnetico terrestre orientandosi nelle migrazioni, ha dimostrato come sia possibile agire sull’esistente non solo per differenze di grado – cioè amplificandolo – ma anche per differenze di tipo, attribuendo nuovi sensi al corpo umano. Il biologo Craig Ventner ha proseguito oltre, programmando e costruendo organismi viventi ed effettivamente creando vita sintetica.
Perché sviluppare un discorso del genere e che connessione ha tutto questo con le discipline creative?
Focalizzando il discorso all’ambito dell’architettura, programmare sistemi di agenti costruttori significherà in futuro mettere a punto organismi biotecnologici infondendo loro regole di interazione per la creazione di costruzioni o coordinarne i comportamenti collettivi. La ragione più generale sta nel fatto che tutto questo sta già accadendo ed è quindi indispensabile che, come per tutte le innovazioni, se ne esplorino le possibili estetiche, intendendo con estetica non solo ciò che riguarda il “bello” ma soprattutto il territorio di interazione tra forma e struttura, contenuti irradiati e nascosti, implicazioni frutto dell’interpretazione, rielaborazione e propagazione degli stessi, incluse le influenze che ne scaturiscono. Si tratta di un territorio da mappare tramite la creazione, usando come medium creativo la tecnologia, la simulazione di sistemi emergenti ed agency - la capacità di un agente, di prendere decisioni in modo autonomo - per captare o estendere le loro potenzialità espressive. Come lo studio di Reynolds ha dimostrato, ragionare secondo uno schema globale che descriva l’intero sistema in esame alfine di rispondere ad istanze complesse è un approccio obsoleto. Nel mondo del progetto è necessario compiere un salto che porti dall’attuale scissione tra concezione e realizzazione alla propagazione di vettori di esplorazione proattivi a partire dai quali navigare questa terra incognita ricca di dinamiche turbolente utilizzando simulazione ed agency come medium di sviluppo.
Dunque il controllo sparisce? Solo nella forma a noi più familiare. In realtà si ridistribuisce: il grado e il livello di controllo cambiano, andando ad esercitarsi nella fase di programmazione ed in quella di valutazione e feedback in un processo più simile a un dialogo con un interlocutore che non allo sfruttamento passivo di uno strumento. Un dialogo che non è un semplice scambio di input e output, bensì un ciclo che attraversa soggetto e interlocutore, ricco di feedbacks e che evolve con le dinamiche caotiche di un sistema complesso. L’esito del processo creativo non dipende dalle logiche di emergence o swarm intelligence di per sé ma dalle fasi di decisione intenzionale che agiscono anche dall’esterno del design medium; il fulcro sul quale le discipline creative dovranno coalescere risiede nello sviluppo di una nuova estetica della decisione.