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Le leggi dell’universo? Semplici

15 Marzo 2025

Secondo l’etimo, “divulgazione” è l’atto con cui una certa informazione, notizia o comunicazione viene resa nota al pubblico – il “vulgo”, categoria storica molto ampia, che non necessariamente sottintende un’accezione deteriore. Il divulgare risponde infatti all’intenzione, sommamente illuminista, di produrre sapere pubblico attraverso la “traduzione” di saperi specialistici. Il periodo del Secondo dopoguerra, quantomeno nei paesi occidentali, ha registrato gli effetti più felici di questa retta intenzione emancipativa, tesa a costruire una cultura politica solida e su larga scala, facendo uso di strumenti capaci sì di raggiungere gli interstizi più remoti della società, ma certo meno potenti degli attuali. All’opposto, oggi, a dispetto di un’assai maggiore capacità di penetrazione dei canali d’informazione, la divulgazione sembra aver cambiato natura. Se dovessimo allora rivedere il significato del termine “divulgazione” alla luce delle odierne pratiche divulgative, dovremmo dire che essa corrisponde all’atto con cui una certa informazione, notizia o comunicazione viene resa nota al volgo perché rimanga volgo nella sua accezione meno edificante. In altre parole, i modi e le tendenze della divulgazione odierna sono gravati da un male che sembra incurabile, là dove la semplificazione dei contenuti non tanto li sbroglia e appiana, quanto li svilisce e mortifica. E sarà bene ammettere sin da subito che, per un problema tanto ingente, chi scrive non intravvede alcuna soluzione.

Di detto problema offre un esempio paradigmatico il recente libro del noto fisico statunitense Sean Carroll: Spazio, tempo, movimento. Le leggi fondamentali dell’universo (Raffaello Cortina, 2024). L’intenzione espressa dall’autore sin dalle prime pagine fa tremare i polsi – nonché mangiare i gomiti a chi ha dovuto affrontare anni di formazione universitaria per riuscire a comprendere questioni che, Carroll promette, i suoi lettori potranno brillantemente afferrare con la sola lettura del suo libro. Egli si premura così di dar conferma al lettore desideroso di cogliere “l’essenza della fisica moderna”, epperò non disposto a confrontarsi con la sfiancante sequela di teorie, esercitazioni e laboratori di un corso universitario in fisica, che questi si trova “nel posto giusto” (p. 10).

L’obiettivo, a tutta prima commendevole, è quello di promuovere un allettante compromesso tra una mera descrizione stemperata della disciplina e il raffinato ma gravoso specialismo richiesto dalla confidenza con i formalismi più avanzati. La strada intrapresa a questo fine, tuttavia, segue le derive tipiche di molti settori della cultura contemporanea, dalla letteratura alla psicologia, passando per la musica e il cinema, in cui si cerca di fornire un accesso un po’ troppo agevole a interi campi del sapere. Si tratta perlopiù di brevi e innocue incursioni che, con gesto carezzevole e rassicurante, danno a credere di poter trasfondere un sapere laborioso e articolato senza quel sovrappiù di sforzo che si sarebbe richiesto ai suoi fruitori già solo venti o trent’anni fa. In tale chiave di ecumenismo affabile – Carroll ci garantisce – le equazioni che figurano nelle teorie fisiche non dovrebbero produrci alcun turbamento, poiché altro non sono se non convenienti metodi (certo ricercati e di fatto inaggirabili) per esprimere quanto in ultima istanza è una semplice “relazione tra quantità diverse” (p. 11). Ancora, l’autore ci assicura che una puntuale ma sempre agile caratterizzazione dei simboli contenuti nell’equazione di Einstein sarà sufficiente per far cogliere, al lettore volenteroso, il significato e la portata della teoria della relatività generale. Detto altrimenti, purché si convenga sull’ineluttabile differenza tra mera comprensione ed effettiva risoluzione (la quale ultima presuppone la capacità di affrontare incognite, integrali, numeri immaginari e giù per li rami), Spazio, tempo, movimento si promette come silloge tanto rigorosa quanto accessibile della fisica che va dalla meccanica classica di matrice newtoniana fino alle congetture di Einstein su spaziotempo curvo e buchi neri.

Ma c’è di più. L’ambizione divulgativa di Carroll si spinge al punto di proporre una panoramica onnicomprensiva della fisica contemporanea, e di lambirne così gli ambiti più avanzati, scandita in un progetto tripartito che, insieme al primo in ordine di tempo (Spazio, tempo, movimento), prevede altri due volumi. Il secondo, già disponibile in inglese col titolo Quanta and Fields: The Biggest Ideas in the Universe, introduce allo studio dei fenomeni quantistici, dalle prime, malcerte formulazioni della teoria dei quanti fino alla definizione del modello standard delle particelle elementari. Il secondo, ancora in fase di stesura, sarà dedicato ai sistemi complessi, e a tutto quell’insieme di fenomeni in cui il numero delle componenti coinvolte gioca un ruolo dirimente per le loro proprietà e la loro dinamica.

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Se al momento non ci è dato offrire una valutazione complessiva in merito alle aspirazioni, piuttosto ardimentose, di una tanto titanica impresa, sarà tuttavia ragionevole interrogarsi su quanto il primo pezzo della trilogia mantenga la sua promessa. Come si accennava poco sopra, l’obiettivo del libro è fornire una ricostruzione complessiva della fisica classica, a partire dalle idee di Isaac Newton fino alla teoria della relatività generale di Albert Einstein, con il duplice intento di chiarire il significato delle equazioni via via incontrate, mentre si vanno enucleando riflessioni filosofiche sulla natura di concetti fondamentali come ad esempio spazio, tempo, cambiamento. In quest’ottica, la meccanica newtoniana viene presentata quale primo sistema completo di leggi fisiche (fondato sull’idea di un mondo con proprietà definite e misurabili, che evolve in senso deterministico), mentre si propongono le nozioni di funzione, derivata, integrale e si dibatte in merito allo statuto ontologico dello spazio e del tempo quali sostanze o relazioni alla luce di tale teoria. Ancora, Carroll mette a raffronto le tre formulazioni della meccanica classica (newtoniana, lagrangiana e hamiltoniana), mentre espone i rudimenti del calcolo variazionale e riflette sul significato più complessivo dell’evoluzione dei sistemi per come mediata da tali formulazioni. Infine, la teoria della relatività viene prospettata come punto di arrivo di un ben più risalente e articolato processo di unificazione delle teorie fino ad allora disponibili, avviato in particolare dai lavori di James Clerk Maxwell sull’elettromagnetismo, mentre si offre un condensato di geometria non-euclidea e si tratta del rapporto tra i modelli fisici, anche i più ricercati e maturi, e il mondo cosiddetto reale.

Il libro è senz’altro assai godibile, e concede più di qualche spunto riuscito, soprattutto quando si astiene da vane considerazioni di massima e ripercorre piuttosto alcuni passaggi dirimenti per lo sviluppo della fisica classica – penso qui soprattutto alle pagine sulle leggi di conservazione o all’introduzione del concetto di campo. Sul fatto, però, che il divario tra chi studia fisica da puro neofita e chi di tale disciplina ha fatto il proprio mestiere sia “ampio ma non insuperabile” (p. 10), mi si consenta di avanzare alcuni dubbi, specie nella misura in cui è presentato come centrale per il progetto editoriale.

Il libro si rivela invero un Giano bifronte, che per un verso azzarda spiegazioni troppo sintetiche di temi che richiedono competenze significative, e per l’altro imbastisce metafore, volte a sciogliere questioni troppo complesse, in modo inevitabilmente fuorviante. La ciclopica impresa carrolliana di una sintesi tripartita dello scibile fisico scivola così in più d’un punto – soprattutto nei luoghi in cui, agli occhi del lettore esperto, la sintesi risulta giocoforza superficiale, ma non tanto da poter essere compresa dal lettore privo di competenze.

Se non è il caso di attribuire a Carroll il disonore della disfatta – né all’Editore italiano, dato che si tratta di una traduzione – credo però da libri come questo debba trarsi un’importante lezione sugli odierni progetti editoriali in materia di divulgazione. Il problema nodale di Spazio, tempo, movimento, infatti, sta nell’idea di libro che esso incarna e quindi nelle tipiche aspirazioni accattivanti e comode, che chiamano l’autore a realizzare un compito possibile forse solo nel mondo scrollabile dei reels. A tal proposito, vien da pensare a un caustico ma indovinato commento di Valerio Magrelli in Millennium poetry (il Mulino, 2015), quando l’autore, un po’ nello spirito della presente recensione (si parva licet), lamenta l’idea di far precedere l’opera poetica di François Villon da una “prefazione” di Fabrizio De André, l’incipit della quale recitava “Caro François”. “Non era una prefazione”, chiosa Magrelli, “ma soltanto un’amabile letterina”. E sostiene che la responsabilità dell’equivoco si debba attribuire a quegli editori, e editors, che vorrebbero trasformare contenuti molto impegnativi – ma con quanta remunerazione finale – in oggetti esposti a forme di godimento che in psicanalisi si definirebbe acefalo, diretto, immediato perché appunto privo della necessaria mediazione del tempo e della fatica. E Magrelli conclude: “Non si tratta di difendere una concezione elitaria della cultura, ma di condannare la scomposta, grottesca corsa verso l’acquirente”.

Sicché, come si diceva, la dubbia riuscita di Spazio, tempo, movimento non è da imputarsi al prometeismo bonario di Sean Carroll, che pure vanta una stimabile proclività per la divulgazione migliore, quanto alla rovinosa slavina innescata dall’odierna industria culturale del nostro basso impero. Beninteso: il presente non vuole essere un richiamo para-reazionario ai didatticismi, pure apprezzabili ed efficaci, di un Oreste Gasperini, bensì l’invito a pensare che il mondo della produzione culturale non debba solo seguire il gusto del pubblico, ma anche formarlo e indirizzarlo, quindi individuare strade più salde per un più felice ricongiungimento tra discipline specialistiche e sapere socialmente diffuso. Si tratta forse di chiedere al lettore più tempo e più pazienza, senza volerlo persuadere dell’irrealistica balla secondo cui egli possiederebbe già tutte le competenze per decifrare i contenuti più elaborati. Di contro, sciogliere in sintesi forzate o svianti un intero campo della conoscenza, in questo caso la fisica, al solo fine di rassicurare il lettore che potrà goderne appieno senza una sola stilla di sudore non aiuta né la fisica né il lettore. Forse aiuta il mercato editoriale – chissà per quanto ancora, però.

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