Nobel all’attofisica
Secondo il modello che perlopiù tutti siamo abituati a figurarci quando pensiamo a un atomo, l’elettrone è un oggetto più o meno sferico, che, come fosse un pianeta, orbita attorno a un nucleo carico positivamente. E quest’oggetto si suppone esista, secondo la sua orbita, su livelli ben definiti, con dimensione ed energia misurabili. Questo modello – sostengono le teorie fisiche oggi più accreditate – è da riporsi nell’archivio delle fantasticherie scientifiche, perché un atomo è tutt’altro, e soprattutto, l’elettrone è tutt’altro. Secondo la felice sintesi di Anne L’Huillier, gli elettroni si comportano assai più come onde marine che come particelle. Sicché, quando si tratta di dar conto dei loro misteriosi movimenti, bisogna abbandonare l’idea di un oggetto che occupa un dato spazio in un dato momento, e tentare di individuare una tecnica che piuttosto guardi all’elettrone come fosse la frastagliata cresta di un’onda. Il che, non c’è da dubitarne, complica e di molto il mestiere di chi è chiamato a seguirne le tracce.
Non stupisce pertanto che il premio Nobel quest’anno sia stato assegnato a un trio, composto da Pierre Agostini, Ferenc Krausz e la succitata L’Huillier, per l’impareggiato contributo allo studio degli elettroni su scale temporali particolarmente brevi. Più in particolare, i lavori dei tre autori hanno permesso la nascita e lo sviluppo di una branca della fisica nota come attofisica, che si occupa di studiare l’interazione tra un sistema laser con impulsi dell’attosecondo (10-18s) e la materia. I campi di interesse dell’attofisica sono in primo luogo la fisica atomica, la fisica molecolare e quella dello stato solido, con numerose applicazioni nei settori della chimica e della biologia. La centralità di tale branca risiede nella sua capacità di fornire una tecnologia sorprendentemente efficace nell’isolare i processi elettronici e nel manipolarne la dinamica. Per citare alcuni esempi, essa è adoperata per studiare effetti di fotoemissione, ionizzazione, dinamica elettronica negli stati molecolari, proprietà dei ferromagneti.
La particolare complessità che affatica lo studio delle componenti subatomiche, e nel caso specifico delle proprietà e della dinamica degli elettroni all’interno delle strutture atomiche e molecolari, è dovuta alla loro imponente velocità: circa 3000 Km/s. In teoria dell’informazione, esiste un teorema di capitale importanza, noto come teorema del campionamento di Nyquist-Shannon, secondo cui, per poter ricostruire in maniera appropriata un fenomeno caratterizzato da una certa frequenza f, è necessario misurare tale fenomeno a una frequenza quantomeno doppia, vale a dire 2f. Detto teorema fissa così un criterio specifico in grado di dare un carattere formale all’intuizione secondo cui quanto più rapido è un fenomeno, tanto più veloce dev’essere la misurazione tesa a tracciarne il movimento.
Il teorema di Nyquist-Shannon segnava limiti angusti per lo studio dei fenomeni atomici e subatomici, i cui tempi sono in genere nell’ordine dei femtosecondi (10-15s) o, nel caso degli elettroni, persino delle centinaia di attosecondi. In effetti, fino agli anni Ottanta, si riteneva che le tecnologie disponibili nell’ambito dell’ottica dei laser, utilizzati come strumenti di misurazione, non potessero superare la soglia dei femtosecondi, precludendo quindi lo studio di alcuni di quei fenomeni. A dispetto di ogni rassegnazione, nel 1987, L’Huillier, al tempo di stanza al National Research Council canadese e oggi all’università di Lund, riuscì in una sorta di prodigio: fece balzare in avanti il limite di tale soglia sfruttando un fenomeno fisico prodotto dall’interazione tra un laser, caratterizzato da una certa frequenza, e un gas nobile. Detto altrimenti, lo strumento atto alla misurazione era ora non tanto il laser preso da sé solo, bensì nel suo effetto combinato con il gas. Questo perché, quando l’impulso laser attraversa il gas, e quindi interagisce con gli atomi di questo, si produce una serie di onde, dette sovratoni, ciascuna delle quali è dotata di una frequenza multipla rispetto a quella originaria del laser. L’Huillier ottenne così onde con frequenza assai superiore rispetto a quelle di un tradizionale dispositivo di misurazione, dunque aumentandone la risoluzione temporale (si rammenti infatti che la latenza è inversa alla frequenza).
Gli studi della fisica francese, cui si diede seguito nel corso degli anni Novanta, hanno costituito il punto di partenza per lo sviluppo dell’attofisica. Nel 2001, il fisico francese Pierre Agostini, oggi emerito presso l’Università dell’Ohio, assieme al suo gruppo di ricerca, si concentrò sulla produzione e l’analisi di una serie di impulsi di luce consecutivi, detti nel loro insieme “treno d’impulsi”, attraverso un’opportuna interazione con un laser, ottenendo in tal modo impulsi da 250 attosecondi. Infine, e in contemporanea con gli studi di Agostini, il fisico ungherese Ferenc Krausz, oggi di base all’Università Ludwig Maximilian di Monaco, andava sviluppando, assieme al suo gruppo di ricerca, una tecnologia in grado di isolare, all’interno del treno d’impulsi, un singolo impulso della durata di 650 attosecondi.
La possibilità di documentare il movimento dell’elettrone è di centrale importanza proprio per la natura elusiva di un componente tanto decisivo del nostro mondo materiale: poterlo seguire nelle sue dinamiche, fino ad oggi misteriose, promette di dirci di più a proposito di quella sua natura che ancora costituisce uno degli enigmi irrisolti della fisica quantistica, vale a dire l’effetto per cui, proprio allorché si crede di poterlo fermare nella sua posizione, l’elettrone si tramuta, direbbe Francis Ponge, “in un’unica ribalta di farfalle”. Ma tutto questo, come si potrà immaginare, attiene non già al nostro spirito immancabilmente voyeuristico, che pure dell’elettrone vorrebbe conoscere tutti i vizi e tutte le virtù, bensì ai potenziali effetti trasformativi che le ricerche dei tre fisici potranno esercitare sul nostro mondo tecnologico. In particolare, le future evidenze sui fondamenti della meccanica quantistica e il perfezionamento dei sistemi metrologici attraverso le tecniche di spettroscopia fotoelettronica promettono risultati senza precedenti in ambiti, decisivi per l’esistenza dell’essere umano e della società, come la diagnostica medica e l’industria dei semiconduttori.